martedì 5 ottobre 2021

Il blackout dei social specchio delle nuove fragilità digitali

Qualche decennio fa, quando il segnale della nostra gloriosa televisione di Stato veniva a mancare, appariva sullo schermo un cartello blu con su scritta la laconica frase di sapore burocratico: “La trasmissione sarà ripresa il più presto possibile” o cose del genere. A distanza di qualche decennio si è ripetuta questa frustrante scenetta, soltanto che l’interruzione del servizio non ha riguardato la tv (ormai siamo uomini adulti del XXI secolo e non possiamo essere più tacciati di teledipendenza) bensì i social della ditta Zuckerberg whatsapp, facebook e instagram che, nel tardo pomeriggio di ieri e fino a notte fonda, hanno smesso di funzionare in tutto il mondo. Blackout globale senza precedenti nella storia di queste piattaforme che ormai sono diventate imprescindibili per chiunque voglia avere un minimo di vita sociale.

Umberto Eco divideva le persone in due tipologie a seconda del loro modo di porsi nei confronti degli strumenti della comunicazione moderna. Da una parte gli “integrati”, cioè quelli che ne sono entusiasti e li utilizzano senza remore, dall’altra gli “apocalittici”, quegli altri che li condannano addossando loro ogni male. Ora, io non voglio fare né l’integrato né tantomeno l’apocalittico (sarebbe illogico, visto che queste riflessioni le pubblicherò proprio sui social incriminati), ma soltanto segnalare la fragilità del sistema che ci vede tutti parte in causa. Il digitale, questa nuova tecnologia che dagli anni ’80 è entrata nelle nostre vite, dagli orologi casio ai personal computer, dalle tv a pagamento ai cellulari che teniamo in tasca, ci rimodella fortemente non tanto in ciò che pensiamo, ma in come lo facciamo. Essendo un mcluhaniano, dico soltanto che la partita si sta giocando e si giocherà a livello di abitudini di vita, di strutture mentali con le quali interpretiamo il mondo e le nostre relazioni, di istinto digitale, quel processo cognitivo che dicono coinvolga i millennials, le generazioni nate dal 2000 in su le quali non riescono a pensare in termini analogici. Ebbene, ieri il digitale ha crashato rumorosamente, siamo tornati per poche ore tutti “analogici”, più o meno (perché la rete continuava a funzionare dopotutto, così come le tv). Ma questo senso di “interruzione” che si è creato sotto o dentro o intorno a noi, è stato a mio avviso “drammatico” e al tempo stesso prezioso, come il cartello della Rai che ci inchiodava sulle poltrone a fare altro, forse nulla, oppure ci invitava a uscire di casa e a respirare una boccata di aria fresca. L’improvviso blackout potrebbe forse averci svegliato per qualche ora da quella che McLuhan chiamava pittorescamente la “narcosi narcisistica” dell’uomo moderno, quell’imbambolamento tratto dal mito di Narciso, il quale nella grande vastità del mondo contemplava solo e sempre se stesso. Chissà, per poche ore abbiamo curiosato in altro modo intorno alla nostra vita e quella, forse, è stata un’occasione di “libertà”.