giovedì 16 settembre 2021

La croce al cuore della fede

Il recente pellegrinaggio di Papa Francesco in Ungheria e Slovacchia, che ha coinciso con la festa dell'Esaltazione della Croce, mi ha offerto importanti spunti sui quali meditare. Il magistero bergogliano è ricchissimo di queste sottolineature sull'importanza della croce, così opportune in un'epoca in cui si fa di tutto per accantonare il dolore e le questioni fondanti dell'esistenza umana. C'è il covid? Sarà pronto ben presto un vaccino. C'è un terremoto? Ricostruiremo il giorno dopo tutto il paese. E via dicendo. Mi sta bene il vaccino, mi stanno bene le ricostruzioni, ma diffido dei facili slogan di questo pensiero alla va tutto ben madama la marchesa che hanno ben poco a che vedere con la realtà. La vita non è il Mulino Bianco. A quarant'anni lo posso dire e ribadire con cognizione di causa. Il mondo non è che sia un posticino così perbene. C'è tanta sofferenza in giro. Non lo scopro di certo io. Il libro di Giobbe rimane un manifesto della vita umana. Il fatto è che da sempre il cristianesimo, strattonato dalle filosofie in cerca di legittimazione o bisognose di mantenersi al potere, se anche si sarà qualche volta prestato a tali giochetti, rimane la religione, o la filosofia, per dirla con Giustino, della croce, e perciò dello scandalo. Lo scrisse Giovanni Paolo II nella Fides et Ratio, semmai qualcuno ne abbia ancora qualche memoria. Qualsiasi sistema di pensiero, o di politica, o di società, si scontrerà sempre con la croce, come uno scoglio certamente impegnativo oltre il quale però si apre un oceano di senso a cui il fedele di Cristo può attingere a piene mani e in maniera inesauribile. Affrontare lo “scoglio”, affrontare la croce, significa accettare la realtà per quello che è, con tutto il suo addensarsi di problemi, di ostacoli, di ingiustizie, di infelicità, tanto personali quanto comunitarie. Nel vangelo c'è un momento in cui questo aspetto viene a galla in maniera chiarissima, allorché Pietro si mette a “rimproverare” il proprio Maestro nel quale aveva appena riconosciuto il Messia. Lo “scandalo” è l'annunciata sofferenza della croce, considerata non opportuna, sgradevole, per un Messia di Israele, destinato a un futuro di trionfi e di osanna sociopolitici. E ogni volta, spessissimo, si è ripresentato e si ripresenta nella storia questo senso di imbarazzo per un Dio crocifisso, che ha rifiutato gli onori, la via facile, il tutto andrà bene, che è venuto a dirci di seguirlo con la nostra propria croce (chi non ne ha?), nell'illusione che il mondo possa diventare un paradiso artificiale in terra. La Bibbia inizia e termina con un albero, quello della vita. Nell'Eden è cibo di intimità con Dio ma, in seguito alla trasgressione, diventa inaccessibile per un peccato di vanagloria (Gn 4,22). Alla fine è l'evangelista Giovanni a svelarci la nuova dimensione di questo albero, notando che nel luogo in cui fu crocifisso Gesù vi era un giardino: la porta d'ingresso per il ritorno all'Eden è proprio la croce  del nostro Salvatore (Gv 19,41), che ha pagato, Lui innocente, per i nostri peccati. E certo, attraversare questa porta è difficile per tutti, ma con la grazia di Dio è possibile.