venerdì 28 maggio 2021

La nuova rotta della Barca di Pietro. Pentecoste, un’omelia indimenticabile di Papa Francesco

Sto “ruminando” in questi giorni la preziosa omelia che Papa Francesco ha tenuto durante la Messa di Pentecoste, in una Basilica Vaticana che è sembrata ripopolarsi di fedeli, proprio come un cenacolo ravvivato dal fuoco dello Spirito. Ci eravamo abituati alle liturgie striminzite sotto la cattedra di san Pietro sfolgorante sì di angeli berniniani, ma semi deserte quanto a popolo di Dio, che era ridotto al’osso. Domenica scorsa il Papa è tornato a celebrare nel cuore del tempio, sull’altare della confessione, come aveva già fatto per l’ordinazione di 9 sacerdoti lo scorso 25 aprile, ma l’effetto è stato ancora più e solenne. Questo mi porta a riflettere trasversalmente su quanto le bellezze artistiche siano funzionali al culto (e non viceversa), e sull’importanza della fede di popolo contro il rischio che la Catholica diventi un museo di oggetti preziosi ma senza vita.  Soprattutto ha destato grande interesse in me l’omelia, certamente una delle più importanti del pontificato insieme a quella di Natale 2020, perché ha espresso in maniera chiarissima la riforma che questo Papa sta portando avanti con umiltà e perseveranza. C’è stato un tempo in cui, giustamente, e sottolineo giustamente, il Papato e la Chiesa prediligevano altre note, enfatizzavano armonie differenti di quel grande e complesso “Spartito” che è il mistero della Rivelazione. Nelle epoche della società cristiana di massa, in cui l’atto di fede era “ufficiale” e per così dire ereditato, bisognava che il clero mettesse l’accento sui doveri morali di una fede tanto facilmente abbracciata. Ma oggi, che la secolarizzazione ha dilagato e la trasmissione della fede si è interrotta, o almeno non è così scontata, il credere rappresenta piuttosto un atto di anticonformismo, di insubordinazione. Ci stiamo riavvicinando, paradossalmente, ai primi secoli del cristianesimo, quando la nuova fede era vituperata e marginale, eppure aveva una forza di attrazione sconvolgente perché coloro che l’abbracciavano si sentivano veramente liberati, diventavano persone nuove con la certezza che questo mondo fosse fondato su un Amore indistruttibile che non consisteva in norme, superstizioni, filosofie etiche astratte, ma in un Dio vicino all’umanità e addirittura fattosi uomo. Il vangelo, la buona notizia era proprio questa in sostanza: quel Gesù di Nazareth aveva salvato il mondo con la sua croce apparentemente infamante, le antiche profezie di Israele, come diceva Tertulliano, si erano realizzate e il bello è che non bisognava fare assolutamente niente per ottenere la salvezza, soltanto una cosa: bisognava credere!. Su questo punto San Paolo ci si era giocato continuamente le ossa del collo contro vari oppositori. La fede è l’atto fondativo, le opere, ovvero tutto il corollario etico, vengono di conseguenza, come quando due fidanzati si amano a vicenda, spontaneamente. Papa Francesco questa cosa l’ha messa a fondamento di tutto il pontificato. Ha detto nell’omelia: “Il Paraclito dice alla Chiesa che oggi è il tempo della consolazione. È il tempo del lieto annuncio del Vangelo più che della lotta al paganesimo. È il tempo per portare la gioia del Risorto, non per lamentarci del dramma della secolarizzazione. È il tempo per riversare amore sul mondo, senza sposare la mondanità. È il tempo in cui testimoniare la misericordia più che inculcare regole e norme. È il tempo del Paraclito! È il tempo della libertà del cuore, nel Paraclito”. La Pentecoste che sta soffiando sulla Chiesa del XXI secolo e che probabilmente è iniziata cinquant’anni fa con il concilio, ha proprio questo di "nuovo". Un ritorno al cristianesimo “intuitivo”, spontaneo, che rompe le catene della sofferenza umana e della paura, un ritorno al Dio che ama e che salva, che consola con indicibile dolcezza le ferite della vita, proprio come sperimentarono gli apostoli il giorno di Pentecoste. Sono parole altrettanto esplosive del Papa argentino: “Guardiamo agli Apostoli: erano soli quella mattina, erano soli e smarriti, stavano a porte chiuse per la paura, vivevano nel timore e davanti agli occhi avevano tutte le loro fragilità e i loro fallimenti, i loro peccati: avevano rinnegato Gesù Cristo. Gli anni passati con Gesù non li avevano cambiati, continuavano a essere gli stessi. Poi ricevono lo Spirito e tutto cambia: i problemi e i difetti rimangono gli stessi, eppure non li temono più perché non temono nemmeno chi vuol fare loro del male. Si sentono consolati dentro e vogliono riversare fuori la consolazione di Dio. Prima impauriti, ora hanno paura solo di non testimoniare l’amore ricevuto”. Sono convinto che così reimpostato (ma non resettato, non si annullano le norme, le ricchezze etiche della dottrina, fanno parte dello Spartito, attenzione!) l’annuncio cristiano possa rivivere una seconda giovinezza di ardore missionario e di forza attrattiva, proprio come già prefigurato dal buon Benedetto XVI (che forse è stato proprio il primo a dare la stura a questo leitmotiv papale con la Deus Caritas est). E allora, citando un passo dell’omelia bergogliana di Natale, “è questo il cuore indistruttibile della nostra speranza, il nucleo incandescente che sorregge l’esistenza: al di sotto delle nostre qualità e dei nostri difetti, più forte delle ferite e dei fallimenti del passato, delle paure e dell’inquietudine per il futuro, c’è questa verità: siamo figli amati. E l’amore di Dio per noi non dipende e non dipenderà mai da noi: è amore gratuito”. Una modalità nuova per i cristiani di stare nel mondo, propositiva, certa dell'Amore che sta al fondamento tanto esistenziale quanto cosmico-sociale, rassicurata (non indulgente) sul piano morale. Possa lo Spirito soffiare abbondantemente su questa rotta che la barca della Chiesa ha intrapreso in mezzo ai tempestosi mari che ci aspettano.