venerdì 26 marzo 2021

Candor lucis aeternae. Papa Francesco reinterpreta Dante

È uscita puntualmente ieri la lettera apostolica di Papa Francesco su Dante, nel settecentesimo della morte, che trae il suo titolo da un brano del libro della Sapienza riferito al Verbo eterno e citato nel Convivio, "splendore della luce eterna". Come avevo scritto nel mio post precedente, desideravo da questo documento una risposta alle tante, troppe voci dissonanti che, negli ultimi tempi, hanno sollevato dubbi e misteri sulle appartenenze segrete del sommo poeta alle sette eretiche del medioevo. Il fenomeno del danbrownismo, così lo avevo chiamato, riferendomi a tutta quella saggistica scandalistica che oramai la fa da padrona con annessi incassi milionari ai botteghini dei cinema. Ebbene, il documento pubblicato contiene alcune importanti dichiarazioni in tal senso.Leggiamo infatti tra le citazioni del magistero dantesco due affermazioni di Benedetto XV e Paolo VI ancora attuali: “In un momento storico segnato da sentimenti di ostilità alla Chiesa, il Pontefice ribadiva (…) l’appartenenza del Poeta alla Chiesa, ‘l’intima unione di Dante con questa Cattedra di Pietro’”. E più avanti, citando Paolo VI: “Nostro è Dante! Nostro, vogliamo dire della fede cattolica, perché tutto spirante amore a Cristo; nostro perché molto amò la Chiesa, di cui cantò le glorie; e nostro perché riconobbe e venerò nel Pontefice Romano il Vicario di Cristo”. Nel prosieguo del documento Papa Francesco propone un’interessante valutazione dell’opera dantesca e in particolare della Divina Commedia in chiave esistenziale. Scrive Francesco che l’Alighieri “si fa così interprete del desiderio di ogni essere umano di proseguire il cammino finché non sia raggiunto l’approdo finale, non si sia trovata la verità, la risposta ai perché dell’esistenza”. Questa salutare boccata di metafisica (merce così rara oggi e in declino persino nelle intellighenzie teologiche, purtroppo) si unisce in Bergoglio alla celebrazione della misericordia e della povertà francescana, con uno spiccato accento mariano. Si tratta di un bellissimo documento che chiaramente risponde, in maniera pacata e soft, alle mistificazioni odierne che isolano Dante dal suo contesto ecclesiastico e dal suo genuino significato: “Dante – conclude Bergoglio – non ci chiede, oggi, di essere semplicemente letto, commentato, studiato, analizzato. Ci chiede piuttosto di essere ascoltato, di essere in certo qual modo imitato, di farci suoi compagni di viaggio, perché anche oggi egli vuole mostrarci quale sia l’itinerario verso la felicità, la via retta per vivere pienamente la nostra umanità, superando le selve oscure in cui perdiamo l’orientamento e la dignità”.