mercoledì 17 marzo 2021

Una lettera apostolica su Dante. L’opportunità per rispondere ai cospirazionisti


È stata annunciata per il 25 marzo prossimo una lettera apostolica di Papa Francesco su Dante Alighieri, ricorrendo i 700 anni della morte del “sommo poeta”. Il cosiddetto “Dantedì”, festeggiato ogni anno da istituzioni culturali di ogni tipo, stavolta sarà reso ancora più solenne dall’importante documento papale che, così almeno si dice, verrà reso noto quel giorno.Bergoglio in verità ha già espresso parole di profonda stima per l’autore della Divina Commedia, ravvisando nelle tre cantiche significati attuali che parlano di misericordia, speranza e possibilità di riscatto dalle “selve oscure” della vita. E del resto il suo intervento si inserisce nel solco di una salda tradizione papale. Da Benedetto XV a Paolo VI, senza dimenticare Ratzinger, molti sono stati gli encomi a firma pontificia per il “ghibellin fuggiasco”. Ma forse, in questo anniversario, il documento, oltre a ripercorrere quei testi magisteriali e a suggerire innovative e attualizzanti ermeneutiche, potrebbe essere l’occasione per sgombrare una volta per tutte le presunte anomalie della “dottrina segreta” dantesca, oggi più che mai di moda per via dei cosiddetti cospirazionisti. Dilettanti o qualcosa di più, che, tuttavia, continuano a sollevare misteri sull’ipotizzata e mai dimostrata appartenenza di Dante alla confraternita dei Fedeli d’Amore, e addirittura di una sua affiliazione nei confronti dei Cavalieri Templari. Che l’Alighieri non stravedesse per Clemente V e Filippo il Bello (il Papa avignonese e il re francese che annientarono il potente ordine dei monaci combattenti) non è un mistero. La Divina Commedia ne è a prova più lampante, essendo questi personaggi nominati assai negativamente più volte (13, un numero che non sembra casuale). Addirittura del pontefice si profetizza la sua dannazione all’inferno. Chiaramente tutte queste suggestioni andrebbero contestualizzate nel tempo in cui visse Dante, così ribollente di scontri tra papato e impero e di eresie per noi assurde. Ma nell’epoca del danbrownismo dilagante, la nostra, non sarebbe superficiale, a mio avviso, una parola di condanna o quantomeno di chiarezza, soprattutto per la sensibilità dei cattolici medi che magari si lasciano trascinare da siffatte teorie, dimenticando le ricchezze teologiche della sua poesia. Dopo aver perso tanti pezzi di cristianità, non solo geografica, ma anche intellettuale (lo dimostra il desolante panorama filosofico e culturale di oggi), magari sarebbe utile per noi cattolici tenerci stretto almeno il "sommo poeta". Chissà.