L'Europa che non ha più il coraggio di appendere un
crocifisso al muro e che in cinquant'anni è riuscita a creare solo un mercato
unico oggi sull'orlo del tracollo, ha accolto ieri un fervente europeista che
ha parlato di grandi ideali e di valori cristiani. E il paradosso è che si
tratta del primo Papa latinoamericano della storia. A un certo punto, infatti,
del suo discorso all'Europarlamento di Strasburgo, Jorge Bergoglio ha detto
che la relazione tra Europa e cristianesimo non può essere assolutamente
dimenticata e che questa storia bimillenaria “è la nostra identità”. Francesco,
che nei mesi scorsi è stato addirittura accusato di non parlare mai di Europa,
ha dimostrato invece una padronanza ed un'empatia nei confronti delle questioni
di casa nostra assolutamente eccezionale.
Nei due discorsi all'Europarlamento e
al Consiglio d'Europa ha toccato infatti moltissimi temi: lavoro, ecologia,
diritti della persona, “globalizzazione dell'indifferenza”, consumismo,
agricoltura, terrorismo religioso e stragi di migranti nel Mediterraneo. Ma il
dato da sottolineare è che, a fondamento di tutto, ha posto un grande appello a
riscoprire quei valori incancellabili e sacri, inserendosi così nella migliore
tradizione del Magistero europeistico dei pontefici da cinquant'anni a questa
parte. Da Pio XII in poi, i Papi hanno sempre criticato l'idea che i trattati
economici e le alleanze politiche fossero sufficienti per dare vita a qualcosa
di grande. “Nessun materialismo – disse Pacelli nel '53 criticando subito la
CECA – è stato mai un mezzo idoneo per instaurare la pace, essendo questa
innanzitutto un atteggiamento dello spirito”. Questo e i moltissimi altri
appelli di Paolo VI e di Giovanni Paolo II si sono rivelati davvero profetici.
Se oggi Bruxelles e Strasburgo appaiono come istituzioni fredde e senza
passione, se oggi centinaia di deputati “euroscettici” siedono in Parlamento e
politici come la Le Pen mietono consensi, è proprio perché la costruzione
europea è rimasta fondamentalmente incompiuta, senza identità. Francesco ha
preso il toro per le corna. Ha citato nello specifico Giovanni Paolo II a
proposito delle “radici religiose” del continente, tema questo che fu l'ultima
grande battaglia del Papa polacco prima di passare a miglior vita. E anche un leitmotiv
di Benedetto XVI, cioè i “totalitarismi
del relativo”, spauracchio contro il quale il pontefice teologo ha dedicato le
sue migliori armi intellettuali. Quindi Francesco è andato al cuore del
problema ripetendo l'appello che è stato di tutti i suoi predecessori: “Cari
eurodeputati, è giunta l'ora di costruire insieme l'Europa che ruota non
intorno all'economia, ma intorno alla sacralità della persona umana, dei valori
inalienabili”. Interessanti le immagini che ha utilizzato per far passare il
concetto. All'Europarlamento si è servito del famoso affresco di Raffaello, La
scuola di Atene, per suggerire che bisogna essere contemporaneamente
trascendenti e pragmatici. Al Consiglio d'Europa ha citato Il Pioppo,
una poesia di Clemente Rebora che inneggia a un tronco che si inabissa con le
sue radici nella verità. “Per camminare verso il futuro – ha commentato
Francesco – serve il passato, necessitano radici profonde”. “All'Europa – ha
aggiunto – possiamo domandare: dov'è il tuo vigore? Dov'è quella tensione
ideale che ha animato e reso grande la tua storia? Dov'è il tuo spirito di
intraprendenza curiosa? Dov'è la tua sete di verità, che hai finora comunicato
al mondo con passione?”. Parole taglienti. Nonostante sia stato applaudito a
lungo al termine del discorso, alcuni eurodeputati sono rimasti seduti senza
applaudire. Meglio così. Francesco non ama i buonismi, vuole svegliare le
coscienze.