Si descriveva come “un cristiano ingenuo”, Giordani, perché sperava nella fine di tutte le guerre, nell’avvento di un mondo di pace, nel rinnovamento di una Chiesa che amava nel più profondo del cuore. Penna sopraffina, apologeta infaticabile, sempre al fianco del Magistero pontificio. Una volta Pio XII, che ne leggeva avidamente gli editoriali sull’Osservatore Romano e su molti altri giornali, gli chiese dove avesse studiato teologia. Lui rispose che aveva letto i Padri della Chiesa (di cui era anche un grandissimo traduttore), e questo gli era bastato. In uno dei suoi primi libri, Rivolta Cattolica, pubblicato nel 1925 all’età di 31 anni, si viene a contatto con la fede di un giovane “rivoluzionario”, che cita con entusiasmo la Sacra Scrittura e Leone XIII, e non sopporta il cattolicesimo dell’ora del tè o dei polsini inamidati. Leggendo quelle pagine, mi è venuto in mente che l’idea di una “Chiesa in uscita” tanto cara a Papa Francesco, che giustamente ne ha fatto l’architrave del pontificato, andrebbe però retrodatata almeno di un secolo o giù di lì, tanto il concetto è espresso da Giordani con chiarezza e profezia dirompente. Riporto un brano che non usa le mezze misure e che prefigura quell’immagine della Chiesa “ospedale da campo” usata spesso da Bergoglio. “Ci sono dei cattolici – scrive Giordani – anche del clero, che per non contrarre infermità spirituali, si separano e escludono dall’umanità bottegaia e ventripeta. In alcuni casi è eroismo d’ascesi; ma in altri è insigne vigliaccheria. È immedesimazione con la grande anima di don Abbondio. L’infermiere accorre dove ci sono piaghe da curare: in un ambiente asettico non c’è merito a rimanerci e a preservarsi”. Continua più avanti anticipando quell’invito a uscire dalle sacrestie sempre di Papa Francesco. “Certo fuori del guscio, fuori della canonica, della biblioteca, degli uffici, della cancelleria, c’è da faticare: ci piove e nevica; e c’è la lotta incessante. Ma questo è l’ordine, e non si discute. A costo d’impicchellarsi e di farsi ingiuriare da tutti i sofi perdigiorno della borghesia scomodata nelle sue egemonie, a costo di rimetterci (non dico la pelle; che non si concia più) ma del ranno e sapone, gli uomini bisogna cercarli, e non aspettare che vengano.” Quindi una citazione di Leone XIII sorprendente: “Scriveva Leone XIII al Vescovo di Liegi: ‘Sono i vostri preti che occorre esortare ad andare in cerca del popolo; essi non possono starsene chiusi nelle loro chiese e nei loro presbiteri’”. Obbedendo a queste parole, osservava il giovane Giordani, “il bene che ne verrebbe per la propagazione dell’evangelo fra i popoli cristiani sarebbe immenso; la politica rinsavirebbe, le guerre possibilmente sarebbero differite e rarefatte; e, a parte l’utile generale, gran giovamento ne risentirebbero gli stessi ecclesiastici”. È un piacere sentire queste parole di 94 anni fa e constatare quanto ampio sia il cammino del rinnovamento ecclesiale attualmente in piena attuazione (un rinnovamento che troppo spesso limitiamo a uno spezzone temporale senza memoria).
Il Blog di Antonio Marguccio. Per difendere la Santa Chiesa Cattolica e il Papa
lunedì 7 gennaio 2019
La Chiesa in uscita… ai tempi del Giordani
Il grande intellettuale cattolico del Novecento, Igino Giordani, un profeta dei nostri tempi di cui è in corso la causa di beatificazione, non finisce mai di stupirmi ogni volta che apro i suoi libri e vengo a contatto con quella prosa ardita, geniale, fiammeggiante. La prosa di un uomo che aveva fatto la prima guerra mondiale sparando sempre in aria, perché non tollerava l’omicidio di un uomo, che definiva “Dio in effige”, e che pure si era reso autore di azioni eroiche al punto da fargli meritare una medaglia d'argento al valore militare.
Si descriveva come “un cristiano ingenuo”, Giordani, perché sperava nella fine di tutte le guerre, nell’avvento di un mondo di pace, nel rinnovamento di una Chiesa che amava nel più profondo del cuore. Penna sopraffina, apologeta infaticabile, sempre al fianco del Magistero pontificio. Una volta Pio XII, che ne leggeva avidamente gli editoriali sull’Osservatore Romano e su molti altri giornali, gli chiese dove avesse studiato teologia. Lui rispose che aveva letto i Padri della Chiesa (di cui era anche un grandissimo traduttore), e questo gli era bastato. In uno dei suoi primi libri, Rivolta Cattolica, pubblicato nel 1925 all’età di 31 anni, si viene a contatto con la fede di un giovane “rivoluzionario”, che cita con entusiasmo la Sacra Scrittura e Leone XIII, e non sopporta il cattolicesimo dell’ora del tè o dei polsini inamidati. Leggendo quelle pagine, mi è venuto in mente che l’idea di una “Chiesa in uscita” tanto cara a Papa Francesco, che giustamente ne ha fatto l’architrave del pontificato, andrebbe però retrodatata almeno di un secolo o giù di lì, tanto il concetto è espresso da Giordani con chiarezza e profezia dirompente. Riporto un brano che non usa le mezze misure e che prefigura quell’immagine della Chiesa “ospedale da campo” usata spesso da Bergoglio. “Ci sono dei cattolici – scrive Giordani – anche del clero, che per non contrarre infermità spirituali, si separano e escludono dall’umanità bottegaia e ventripeta. In alcuni casi è eroismo d’ascesi; ma in altri è insigne vigliaccheria. È immedesimazione con la grande anima di don Abbondio. L’infermiere accorre dove ci sono piaghe da curare: in un ambiente asettico non c’è merito a rimanerci e a preservarsi”. Continua più avanti anticipando quell’invito a uscire dalle sacrestie sempre di Papa Francesco. “Certo fuori del guscio, fuori della canonica, della biblioteca, degli uffici, della cancelleria, c’è da faticare: ci piove e nevica; e c’è la lotta incessante. Ma questo è l’ordine, e non si discute. A costo d’impicchellarsi e di farsi ingiuriare da tutti i sofi perdigiorno della borghesia scomodata nelle sue egemonie, a costo di rimetterci (non dico la pelle; che non si concia più) ma del ranno e sapone, gli uomini bisogna cercarli, e non aspettare che vengano.” Quindi una citazione di Leone XIII sorprendente: “Scriveva Leone XIII al Vescovo di Liegi: ‘Sono i vostri preti che occorre esortare ad andare in cerca del popolo; essi non possono starsene chiusi nelle loro chiese e nei loro presbiteri’”. Obbedendo a queste parole, osservava il giovane Giordani, “il bene che ne verrebbe per la propagazione dell’evangelo fra i popoli cristiani sarebbe immenso; la politica rinsavirebbe, le guerre possibilmente sarebbero differite e rarefatte; e, a parte l’utile generale, gran giovamento ne risentirebbero gli stessi ecclesiastici”. È un piacere sentire queste parole di 94 anni fa e constatare quanto ampio sia il cammino del rinnovamento ecclesiale attualmente in piena attuazione (un rinnovamento che troppo spesso limitiamo a uno spezzone temporale senza memoria).
Si descriveva come “un cristiano ingenuo”, Giordani, perché sperava nella fine di tutte le guerre, nell’avvento di un mondo di pace, nel rinnovamento di una Chiesa che amava nel più profondo del cuore. Penna sopraffina, apologeta infaticabile, sempre al fianco del Magistero pontificio. Una volta Pio XII, che ne leggeva avidamente gli editoriali sull’Osservatore Romano e su molti altri giornali, gli chiese dove avesse studiato teologia. Lui rispose che aveva letto i Padri della Chiesa (di cui era anche un grandissimo traduttore), e questo gli era bastato. In uno dei suoi primi libri, Rivolta Cattolica, pubblicato nel 1925 all’età di 31 anni, si viene a contatto con la fede di un giovane “rivoluzionario”, che cita con entusiasmo la Sacra Scrittura e Leone XIII, e non sopporta il cattolicesimo dell’ora del tè o dei polsini inamidati. Leggendo quelle pagine, mi è venuto in mente che l’idea di una “Chiesa in uscita” tanto cara a Papa Francesco, che giustamente ne ha fatto l’architrave del pontificato, andrebbe però retrodatata almeno di un secolo o giù di lì, tanto il concetto è espresso da Giordani con chiarezza e profezia dirompente. Riporto un brano che non usa le mezze misure e che prefigura quell’immagine della Chiesa “ospedale da campo” usata spesso da Bergoglio. “Ci sono dei cattolici – scrive Giordani – anche del clero, che per non contrarre infermità spirituali, si separano e escludono dall’umanità bottegaia e ventripeta. In alcuni casi è eroismo d’ascesi; ma in altri è insigne vigliaccheria. È immedesimazione con la grande anima di don Abbondio. L’infermiere accorre dove ci sono piaghe da curare: in un ambiente asettico non c’è merito a rimanerci e a preservarsi”. Continua più avanti anticipando quell’invito a uscire dalle sacrestie sempre di Papa Francesco. “Certo fuori del guscio, fuori della canonica, della biblioteca, degli uffici, della cancelleria, c’è da faticare: ci piove e nevica; e c’è la lotta incessante. Ma questo è l’ordine, e non si discute. A costo d’impicchellarsi e di farsi ingiuriare da tutti i sofi perdigiorno della borghesia scomodata nelle sue egemonie, a costo di rimetterci (non dico la pelle; che non si concia più) ma del ranno e sapone, gli uomini bisogna cercarli, e non aspettare che vengano.” Quindi una citazione di Leone XIII sorprendente: “Scriveva Leone XIII al Vescovo di Liegi: ‘Sono i vostri preti che occorre esortare ad andare in cerca del popolo; essi non possono starsene chiusi nelle loro chiese e nei loro presbiteri’”. Obbedendo a queste parole, osservava il giovane Giordani, “il bene che ne verrebbe per la propagazione dell’evangelo fra i popoli cristiani sarebbe immenso; la politica rinsavirebbe, le guerre possibilmente sarebbero differite e rarefatte; e, a parte l’utile generale, gran giovamento ne risentirebbero gli stessi ecclesiastici”. È un piacere sentire queste parole di 94 anni fa e constatare quanto ampio sia il cammino del rinnovamento ecclesiale attualmente in piena attuazione (un rinnovamento che troppo spesso limitiamo a uno spezzone temporale senza memoria).