"Quando parlo di periferia parlo di confini". Inizia così l'intervista di Papa Francesco per il giornale parrocchiale di una delle bidonville più malfamate di Buenos Aires. Incredibile ma vero, un sacerdote argentino che vive nel quartiere Villa La Carcova di Buenos Aires, ideatore del bollettino parrocchiale "La Carcova News", ha fatto lo scoop che non è riuscito nemmeno ai più grandi free lance del mondo. Stiamo parlando di un certo padre Pepe, al secolo José María Di Paola, parroco della chiesa di San Giovanni Bosco. Lo scorso gennaio don Pepe ha raccolto domande, idee, sentimenti e problemi dei giovani di strada che vagano nella sua parrocchia, con la speranza di poter presentare i quesiti all'attenzione del Papa. Il 7 febbraio 2015 è stato quindi ricevuto a Casa Santa Marta, residenza "periferica" di Bergoglio in Vaticano, munito di registratore, e due giorni fa ha pubblicato l'intervista con il titolo "Francisco Responde. Dalla periferia di Buenos Aires al Papa delle periferie". Titolo azzecato. Perché Bergoglio, con tono colloquiale, umilissimo come sempre, affronta tanti argomenti, anche delicati (come quello dell'uccisione del Papa), parla di giovani e virtuale, povertà, droga, trasmissione della fede e politica argentina. E spiega in maniera molto originale il concetto che sta dando un'impronta inconfondibile al suo pontificato.
Gli domanda padre Pepe: "Lei parla molto di periferia. Questa parola gliel’abbiamo sentita usare tante volte. A che cosa e a chi pensa quando parla di periferie? A noi gente delle villas?". Risponde Papa Bergoglio: "Quando parlo di periferia parlo di confini. Normalmente noi ci muoviamo in spazi che in un modo o nell’altro controlliamo. Questo è il centro. Nella misura in cui usciamo dal centro e ci allontaniamo da esso scopriamo più cose, e quando guardiamo al centro da queste nuove cose che abbiamo scoperto, da nuovi posti, da queste periferie, vediamo che la realtà è diversa. Una cosa è osservare la realtà dal centro e un’altra è guardarla dall’ultimo posto dove tu sei arrivato. Un esempio: l’Europa vista da Madrid nel XVI secolo era una cosa, però quando Magellano arriva alla fine del continente americano, guarda all’Europa dal nuovo punto raggiunto e capisce un’altra cosa. La realtà si vede meglio dalla periferia che dal centro. Compresa la realtà di una persona, la periferia esistenziale, o la realtà del suo pensiero; tu puoi avere un pensiero molto strutturato ma quando ti confronti con qualcuno che non la pensa come te, in qualche modo devi cercare ragioni per sostenere questo tuo pensiero; incomincia il dibattito, e la periferia del pensiero dell’altro ti arricchisce". Nelle parole, ma soprattutto negli atti concreti, Francesco sta mettendo in pratica questo suo concetto di fondo giorno dopo giorno: sganciare la Chiesa dagli schemi predefiniti per orientarla meglio verso il vero centro che è Cristo. "Chi è auto-centrato - ha spiegato recentemente al concistoro del 14 febbraio nella stupenda omelia dedicata alla carità - cerca inevitabilmente il proprio interesse, e gli sembra che questo sia normale, quasi doveroso. Tale 'interesse' può anche essere ammantato di nobili rivestimenti, ma sotto sotto è sempre il 'proprio interesse'. Invece la carità ti de-centra e ti pone nel vero centro che è solo Cristo. Allora sì, puoi essere una persona rispettosa e attenta al bene degli altri". Anche nell'esortazione postsinodale Evangelii Gaudium ha espresso il desiderio di decentralizzare le strutture ecclesiali, riferendosi soprattutto all'apparato burocratico, per tentare un riequilibro con le Chiese mondiali (e la riforma del C9 sembra aver assunto esattamente questo scopo). Una prova tangibile di questo nuovo indirizzo è stata la modifica del rito di imposizione del pallio agli arcivescovi metropoliti. La nuova cerimonia intende riportare all'attenzione il contesto locale, senza però, ovviamente, tagliare i cordoni con la Chiesa madre di Roma e con il suo Capo.