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Da "Giovani Pop", numero 5, anno II, marzo 2015, pag. 21
Ciao Antonio e grazie per esserti
concesso alla nostra rivista! Come forse saprai - dato che ci eravamo già
sentiti mentre il libro era in gestazione - mi occupo di beat italiano e la
nostra rivista Storie di Giovani Pop tratta proprio questo genere. Certo, il
tuo libro tratta in prevalenza la musica sacra tradizionale ma c'è una parte
dedicata alla Messa Beat italiana. Prima di parlare di questo vorrei che ci
raccontassi come è partita l'idea di scrivere un libro su questo argomento e se
nel tuo background c'erano già esperienze simili di ricerca sulla musica sacra.
«Innanzitutto vorrei
ringraziarti per avermi dato la possibilità di studiare le riviste che conservi
nel tuo mega-archivio relativo al beat italiano! Quello delle Messe beat è
infatti un capitolo cruciale del mio libro sulla storia della musica sacra e in
un certo senso è cominciato tutto da lì. (...)
"Cantate al Signore! Chiesa e
musica dal gregoriano alla messa beat" ha già il buon pregio di far capire
da subito l'argomento del libro. Ci farebbe piacere avere delucidazioni
maggiori sul capitolo delle messe beat, argomento che ho presentato a più
riprese nei miei lavori, dato che molti complessini in quel periodo (dal '65
fino ai primi anni 70) avevano avuto sporadiche o frequenti esibizioni durante
la messa. Come ti sei mosso a livello di indagine in questo fenomeno?
«All'inizio mi sono avvicinato
a questo argomento come un semplice curioso e appassionato di musica. Quando ho
ascoltato per la prima volta l'lp della famosa Messa dei Giovani dei
Barritas, composta da Marcello Giombini nel 1966 e andata in scena all'Oratorio
San Filippo Neri di Roma il 27 aprile di quell'anno, beh sono rimasto
tremendamente colpito! Quell'opera prima di Giombini all'epoca venne criticata
duramente dal Vicariato di Roma e stroncata dai media, salvo qualche eccezione.
Ci fu un frate domenicano, padre Sinaldo Sinaldi, che venne accusato di
pensarla come i “capelloni” e per questo dovette fare una specie di pubblico mea
culpa sul settimanale Gente. Nel libro ho ripercorso tutti questi
fatti in maniera molto dettagliata, cercando di restituire il clima che si era
creato intorno a quell'evento, un clima arroventato che divideva gli
opinionisti in favorevoli e contrari, e si capisce perché. Quella musica era
qualcosa di veramente rivoluzionario per il cattolico medio degli anni
Sessanta, ancora oggi trasmette un'energia incredibile. Ma era anche una
rottura con tutta la musica liturgica del passato (gregoriano, Palestrina,
organo, ecc.). Adesso sarebbe lungo spiegarti come sia stato possibile che un
genere di questo tipo sia potuto entrare nelle chiese e rimanerci per molti
anni (ancora oggi fondamentalmente i giovani si accostano alla musica liturgica
suonando Giombini e gli altri che sono venuti in seguito), ma una cosa te la
voglio dire. Secondo me, al di là delle contrapposizioni frontali tra
tradizionalisti e “filozazzeroni”, che sono poi il riflesso di un problema di
fondo della Chiesa odierna, la Messa beat italiana è stato un momento unico e
irripetibile, nel quale il cristianesimo è riuscito a farsi clamorosamente
cultura di massa. Alla base c'era l'idea che Beatles e Vangelo potessero
andare insieme, e la cosa ha funzionato, pur con tutte le inevitabili
difficoltà di un processo simile, che non è mai indolore. Mi spiego. Quando la
Chiesa apre le porte alle novità, c'è sempre il rischio che venga travolta e
rimodellata, ma è vero anche il contrario. La cultura non è più la stessa
quando il Vangelo la permea in maniera così profonda e inusuale»
(...)