venerdì 30 gennaio 2015

Francesco modifica il rito del pallio e guarda alle periferie

Forse le grandi trasformazioni si nascondono nei particolari. Come quello del pallio, la stola di lana tessuta dalle monache benedettine di Santa Cecilia in Trastevere, che ogni anno gli arcivescovi metropoliti ricevono nella basilica di San Pietro. La cerimonia si tiene sempre il 29 giugno, solennità dei Santi Pietro e Paolo, e intende sottolineare il legame delle sedi arcivescovili con Roma, quindi la comunione e insieme la sottomissione dei vescovi nei confronti del Papa. Fino ad oggi il Papa “imponeva” il pallio sulle spalle degli arcivescovi durante la Messa, ma a partire da quest’anno il rito non avverrà più in San Pietro.
Ad annunciarlo è stato il maestro delle cerimonie pontificie mons. Guido Marini. “Recentemente, il Santo Padre, dopo aver riflettuto – così Marini in un’intervista alla Radio Vaticana di oggi – ha deciso di apportare una piccola modifica al tradizionale rito di imposizione del pallio agli arcivescovi metropoliti nominati nel corso dell’anno. La modifica è la seguente: il pallio, generalmente, veniva imposto in occasione della solennità dei Santi Pietro e Paolo dal Santo Padre ai nuovi metropoliti. Dal prossimo 29 giugno, in occasione della solennità dei Santi Pietro e Paolo, gli arcivescovi, come consuetudine, saranno presenti a Roma, concelebreranno con il Santo Padre, parteciperanno al rito di benedizione dei palli, ma non avranno l’imposizione: semplicemente, riceveranno in forma più semplice e privata dal Santo Padre il pallio a loro destinato. L’imposizione, poi, si effettuerà nelle loro diocesi di appartenenza, e dunque in un secondo momento, alla presenza della Chiesa locale e in particolare dei vescovi delle diocesi suffraganee accompagnati dai loro fedeli”. L’intenzione, sostiene il cerimoniere pontificio, è  quella di ridare alle Chiese locali la giusta importanza, conservando al tempo stesso il concetto della comunione con Roma. “Si mantiene – spiega – tutto il significato della celebrazione del 29 giugno, che sottolinea la relazione di comunione e anche di comunione gerarchica tra il Santo Padre e i nuovi arcivescovi; allo stesso tempo, a questo si aggiunge, con un gesto significativo, questo legame con la Chiesa locale”. Il piccolo ma significativo mutamento non va sottovalutato. È eloquentissimo del modo in cui Bergoglio intende il ministero petrino e del suo sguardo rivolto alle periferie, non solo esistenziali, ma anche ecclesiali. Ultimamente Francesco ha concesso la porpora a svariate sedi vescovili dimenticate e anche sperdute nel mondo, come quelle di Tonga, Capo Verde e Myanmar. E nella Evangelii Gaudium, la sua vera enciclica programmatica (anche se è un’esortazione postsinodale!) ha scritto al numero 16 qualcosa di epocale, qualcosa che non era mai stato esplicitato con tale chiarezza: “Non credo – ha scritto – che si debba attendere dal magistero papale una parola definitiva o completa su tutte le questioni che riguardano la Chiesa e il mondo. Non è opportuno che il Papa sostituisca gli Episcopati locali nel discernimento di tutte le problematiche che si prospettano nei loro territori. In questo senso, avverto la necessità di procedere in una salutare ‘decentralizzazione’” (concetto ribadito anche al numero 32 del documento). Curiosamente, poi, la storia del pallio si interseca con uno dei leitmotiv del pontificato. Francesco, nella Messa crismale del 2013, esortò preti e vescovi ad avere “l’odore delle pecore”, e il pallio altro non è che il simbolo della pecorella smarrita che il Buon Pastore si carica sulle spalle.