Il I ottobre 2013 Eugenio Scalfari pubblicava
su Repubblica la sua prima,
lunghissima intervista a Papa Francesco, lanciata in prima pagina con un titolo
mozzafiato: “Il Papa: così cambierò la Chiesa”. Da quel
momento il pontificato di Jorge Mario Bergoglio non è stato più lo stesso,
almeno se si considera la questione da un punto di vista strettamente italiano.
Sì, perché i virgolettati di quel testo attribuiti al 266mo pontefice della
Chiesa cattolica hanno scatenato un tornado di polemiche, accuse, gialli
curiali, insomma un vero e proprio sconquasso che ancora oggi, a quindici mesi
di distanza, non accenna a diminuire. Anzi. A giudicare da un recente articolo
di Vittorio Messori sul Corriere della
Sera del 24 dicembre 2014, quelle dichiarazioni starebbero gettando una
luce sinistra su un pontificato che, eppure, è coronato da uno strepitoso
successo di popolo e di consenso mediatico. Se affronto la questione nel
mio blog è perché, almeno a mio modesto parere, si è arrivati ormai a un punto
di non ritorno. Ma nessuno sembra accorgersene.
Alcuni circoli cattolici oggi
mostrano segni di perplessità nei confronti del papato bergogliano, e questo,
in teoria, ci può anche stare, visto che la Chiesa è da sempre un luogo di
libertà e di confronto tra i fratelli in Cristo. Il consenso plebiscitario non
è mai stato l’obiettivo di un pontificato, e la pluralità dei punti di vista è
la forza della Chiesa cattolica. Una volta Pio XII affermò che mancherebbe
qualcosa alla vita della Catholica “se le mancasse l’opinione pubblica”. Lo stesso Francesco ha invocato la "parresia" nel corso del sinodo sulla famiglia. La cosa
grave, in questo caso, è però che il “dissenso”, chiamiamolo così, ha assunto connotati
di una virulenza pazzesca, toni che vanno bel al di là della critica
costruttiva e delle ragionevoli e coscienti differenze di opinione. È una
situazione apparentemente molto italiana perché il linguaggio assomiglia a
quello della politica e a quel triste fenomeno della stagione berlusconiana che
fu la delegittimazione dell’avversario. La cosa ancora più strana è che tutto
sembra risalire proprio a quella famigerata intervista che Eugenio Scalfari
decise di sbattere in prima pagina su la Repubblica. Questa intervista è diventata fumo negli occhi per uno
degli intellettuali cattolici più noti, Antonio Socci (autore peraltro di tesi
fantasiose a proposito dell’ultimo conclave), che l'ha ripetutamente additata
come qualcosa di abominevole in diversi articoli sul quotidiano Libero e
sul suo blog. In un post datato 18 gennaio 2015, quindi pochi giorni fa, Socci
è tornato a condannarla pubblicamente. Nel suo ultimo libro, Non è Francesco, il giornalista toscano
ha ideato una specie di Sillabo al contrario, nel quale confronta le
dichiarazioni di Bergoglio con quelle di altri documenti magisteriali del
passato per mettere in evidenza una presunta discontinuità. Qual è il problema?
È giunto il momento di entrare più specificamente nella questione. Il I ottobre
2013 la Repubblica pubblica un'intervista a Papa Francesco nella quale,
a un certo punto, Eugenio Scalfari se ne esce con questa domanda: “Santità,
esiste una visione del Bene unica? E chi la stabilisce?”.
Risposta di Bergoglio: “Ciascuno di noi ha una
sua visione del Bene e anche del Male. Noi dobbiamo incitarlo a procedere verso
quello che lui pensa sia il Bene”. Osservazione di Scalfari: “Lei,
Santità, l’aveva già scritto nella lettera che mi indirizzò. La coscienza è
autonoma, aveva detto, e ciascuno deve obbedire alla propria coscienza. Penso che quello
sia uno dei passaggi più coraggiosi detti da un Papa”. Replica di Bergoglio: “E qui lo ripeto. Ciascuno ha una sua idea del Bene e
del Male e deve scegliere di seguire il Bene e combattere il Male come lui li
concepisce. Basterebbe questo per migliorare il mondo”. Commenta Socci
in un articolo per Libero dell’11
gennaio scorso: “Se (…) ognuno può avere una sua idea di Bene e di Male, se
cioè non esistono il Bene e il Male oggettivi, e ognuno deve essere ‘incitato a
procedere verso quello che lui pensa sia il Bene’, come argomentò Bergoglio,
allora, ad essere conseguenti, non si possono condannare nemmeno Hitler e Stalin,
così come oggi non si possono più condannare quei terroristi islamici che
ritengono con le loro azioni sanguinarie di perseguire il Bene supremo in cui
credono”. In questo posiamo concordare con Socci. Messa così, la frase
attribuita al Papa non può non creare qualche seria perplessità. So per
certo che in un ateneo pontificio romano il virgolettato ha fatto saltare sulla
sedia parecchi docenti tra cui un professore di teologia morale. Il problema è
semplice. Il Papa, in base a questo testo, sembra dire qualcosa di relativistico,
qualcosa che oggettivamente non è in armonia con quanto asserito dalla dottrina
cattolica “classica” sulla coscienza morale. E questa dichiarazione appare,
inoltre, in lampante opposizione con quanto insegnato da Benedetto XVI in tutto
il suo pontificato (se solo pensiamo all'omelia della Missa pro eligendo
romano pontifice nella quale il cardinale che sarebbe stato eletto Papa di
lì a poco condannò la “dittatura del relativismo che non riconosce nulla come
definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue
voglie”). In un altro libro-manifesto del dissenso antibergogliano, Questo
Papa piace troppo, un pamphlet firmato da Giuliano Ferrara e da una
coppia di giornalisti del Foglio, viene citata anche l'enciclica Veritatis
Splendor di Giovanni Paolo II quale controprova di un evidente
sconfinamento nel relativismo. Ebbene. Fino ad oggi ci si è concentrati su un
aspetto della questione molto delicato. Ovvero sul fatto che la frase
incriminata (e insieme a questa molte altre che però non possiamo per ora
trattare) non è mai stata smentita dal Papa e quindi farebbe parte del suo
Magistero ufficiale. In realtà le cose sono molto più complesse. In base ad
alcune dichiarazioni di Eugenio Scalfari successive alla pubblicazione del
primo ottobre, in realtà quelle famose frasi Papa Francesco non le avrebbe mai
pronunciate! È quanto ha rivelato un articolo del 22 novembre 2013 su Vatican
Insider, il sito creato dal migliore vaticanista in circolazione, Andrea
Tornielli (che tra l’altro è stato uno dei primi ad esprimere seri dubbi sull’autenticità
dell’intervista). Prima di andare in stampa, Scalfari ha fatto pervenire il
testo al Papa con una missiva nella quale avrebbe specificato quanto segue:
“Consideri che alcune cose che Lei ha detto io non le ho incluse, ed altre che
io La faccio dire tra virgolette, Lei non le ha dette, ma io le ho incluse
perché consideravo che, facendogli dire certe cose, il lettore poteva capire
meglio chi è Lei. Perciò, la legga bene questa ricostruzione”. Incredibile ma
vero! E il Papa, in base a quanto riportato da Andres Beltramo Alvarez nel
predetto articolo, si sarebbe limitato a dare un'occhiata di massima, fidandosi
della ricostruzione del suo interlocutore e facendo pervenire l’OK dal suo
segretario particolare. Inoltre si è saputo che Scalfari, novantenne, non ha
mai registrato il suo colloquio a Casa Santa Marta e che per buttare giù il
pezzo si è fidato, forse troppo, della sua memoria. Un altro fatto da
considerare, tutt’altro che marginale, è il seguente. Quando si è deciso, a
novembre 2013, di togliere l'intervista dal sito web del vaticano nella sezione
riservata agli insegnamenti di Francesco, padre Lombardi ha emesso un comunicato
molto interessante: “Non è un testo rivisto – ha spiegato –. E' da considerarsi
attendibile nel suo senso generale, ma non parola per parola”. E quindi quelle affermazioni,
ne dobbiamo dedurre, non possono essere considerate come parte del Magistero
ufficiale del Papa per il semplice motivo che non sono mai state pronunciate
come noi le leggiamo. Sono un virgolettato squisitamente e meramente giornalistico.
Per fugare ogni dubbio, inoltre, basterebbe fare quello che nessuno si è
premurato finora di fare. E cioè andare a leggere gli insegnamenti pubblici ed
ufficiali di Francesco. Esiste in proposito un angelus del 30 giugno 2013 nel quale Bergoglio in persona ha
dichiarato quanto segue: “Dobbiamo imparare ad ascoltare di più la nostra coscienza.
Ma attenzione! Questo non significa seguire il proprio io, fare quello che mi
interessa, che mi conviene, che mi piace. Non è questo! La coscienza è lo
spazio interiore dell’ascolto della verità, del bene, dell’ascolto di Dio; è il
luogo interiore della mia relazione con Lui, che parla al mio cuore e mi aiuta
a discernere, a comprendere la strada che devo percorrere, e una volta presa la
decisione, ad andare avanti, a rimanere fedele”. Lo ripeto, queste sono parole
autentiche di Papa Francesco, è un suo insegnamento ufficiale, ed è molto
differente da quanto si legge nell’intervista del primo ottobre, direi quasi
che è qualcosa di molto ratzingeriano, in perfetta armonia con la dottrina
della fede. E non poteva essere altrimenti. Se solo si prestasse più attenzione
al Magistero autentico del Papa, certi equivoci e certe polemiche non avrebbero
motivo di esistere.