lunedì 26 gennaio 2015

Francesco, Scalfari e l’intervista bomba. Polemiche, bagarre ma nessuno va a leggere il magistero autentico

Il I ottobre 2013 Eugenio Scalfari pubblicava su Repubblica la sua prima, lunghissima intervista a Papa Francesco, lanciata in prima pagina con un titolo mozzafiato: “Il Papa: così cambierò la Chiesa”. Da quel momento il pontificato di Jorge Mario Bergoglio non è stato più lo stesso, almeno se si considera la questione da un punto di vista strettamente italiano. Sì, perché i virgolettati di quel testo attribuiti al 266mo pontefice della Chiesa cattolica hanno scatenato un tornado di polemiche, accuse, gialli curiali, insomma un vero e proprio sconquasso che ancora oggi, a quindici mesi di distanza, non accenna a diminuire. Anzi. A giudicare da un recente articolo di Vittorio Messori sul Corriere della Sera del 24 dicembre 2014, quelle dichiarazioni starebbero gettando una luce sinistra su un pontificato che, eppure, è coronato da uno strepitoso successo di popolo e di consenso mediatico. Se affronto la questione nel mio blog è perché, almeno a mio modesto parere, si è arrivati ormai a un punto di non ritorno. Ma nessuno sembra accorgersene.
Alcuni circoli cattolici oggi mostrano segni di perplessità nei confronti del papato bergogliano, e questo, in teoria, ci può anche stare, visto che la Chiesa è da sempre un luogo di libertà e di confronto tra i fratelli in Cristo. Il consenso plebiscitario non è mai stato l’obiettivo di un pontificato, e la pluralità dei punti di vista è la forza della Chiesa cattolica. Una volta Pio XII affermò che mancherebbe qualcosa alla vita della  Catholica “se le mancasse l’opinione pubblica”. Lo stesso Francesco ha invocato la "parresia" nel corso del sinodo sulla famiglia. La cosa grave, in questo caso, è però che il “dissenso”, chiamiamolo così, ha assunto connotati di una virulenza pazzesca, toni che vanno bel al di là della critica costruttiva e delle ragionevoli e coscienti differenze di opinione. È una situazione apparentemente molto italiana perché il linguaggio assomiglia a quello della politica e a quel triste fenomeno della stagione berlusconiana che fu la delegittimazione dell’avversario. La cosa ancora più strana è che tutto sembra risalire proprio a quella famigerata intervista che Eugenio Scalfari decise di sbattere in prima pagina su la Repubblica. Questa intervista è diventata fumo negli occhi per uno degli intellettuali cattolici più noti, Antonio Socci (autore peraltro di tesi fantasiose a proposito dell’ultimo conclave), che l'ha ripetutamente additata come qualcosa di abominevole in diversi articoli sul quotidiano Libero e sul suo blog. In un post datato 18 gennaio 2015, quindi pochi giorni fa, Socci è tornato a condannarla pubblicamente. Nel suo ultimo libro, Non è Francesco, il giornalista toscano ha ideato una specie di Sillabo al contrario, nel quale confronta le dichiarazioni di Bergoglio con quelle di altri documenti magisteriali del passato per mettere in evidenza una presunta discontinuità. Qual è il problema? È giunto il momento di entrare più specificamente nella questione. Il I ottobre 2013 la Repubblica pubblica un'intervista a Papa Francesco nella quale, a un certo punto, Eugenio Scalfari se ne esce con questa domanda: “Santità, esiste una visione del Bene unica? E chi la stabilisce?”. Risposta di Bergoglio: “Ciascuno di noi ha una sua visione del Bene e anche del Male. Noi dobbiamo incitarlo a procedere verso quello che lui pensa sia il Bene”. Osservazione di Scalfari: “Lei, Santità, l’aveva già scritto nella lettera che mi indirizzò. La coscienza è autonoma, aveva detto, e ciascuno deve obbedire alla propria coscienza. Penso che quello sia uno dei passaggi più coraggiosi detti da un Papa”. Replica di Bergoglio: “E qui lo ripeto. Ciascuno ha una sua idea del Bene e del Male e deve scegliere di seguire il Bene e combattere il Male come lui li concepisce. Basterebbe questo per migliorare il mondo”. Commenta Socci in un articolo per Libero dell’11 gennaio scorso: “Se (…) ognuno può avere una sua idea di Bene e di Male, se cioè non esistono il Bene e il Male oggettivi, e ognuno deve essere ‘incitato a procedere verso quello che lui pensa sia il Bene’, come argomentò Bergoglio, allora, ad essere conseguenti, non si possono condannare nemmeno Hitler e Stalin, così come oggi non si possono più condannare quei terroristi islamici che ritengono con le loro azioni sanguinarie di perseguire il Bene supremo in cui credono”. In questo posiamo concordare con Socci. Messa così, la frase attribuita al Papa non può non creare qualche seria perplessità. So per certo che in un ateneo pontificio romano il virgolettato ha fatto saltare sulla sedia parecchi docenti tra cui un professore di teologia morale. Il problema è semplice. Il Papa, in base a questo testo, sembra dire qualcosa di relativistico, qualcosa che oggettivamente non è in armonia con quanto asserito dalla dottrina cattolica “classica” sulla coscienza morale. E questa dichiarazione appare, inoltre, in lampante opposizione con quanto insegnato da Benedetto XVI in tutto il suo pontificato (se solo pensiamo all'omelia della Missa pro eligendo romano pontifice nella quale il cardinale che sarebbe stato eletto Papa di lì a poco condannò la “dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie”). In un altro libro-manifesto del dissenso antibergogliano, Questo Papa piace troppo, un pamphlet firmato da Giuliano Ferrara e da una coppia di giornalisti del Foglio, viene citata anche l'enciclica Veritatis Splendor di Giovanni Paolo II quale controprova di un evidente sconfinamento nel relativismo. Ebbene. Fino ad oggi ci si è concentrati su un aspetto della questione molto delicato. Ovvero sul fatto che la frase incriminata (e insieme a questa molte altre che però non possiamo per ora trattare) non è mai stata smentita dal Papa e quindi farebbe parte del suo Magistero ufficiale. In realtà le cose sono molto più complesse. In base ad alcune dichiarazioni di Eugenio Scalfari successive alla pubblicazione del primo ottobre, in realtà quelle famose frasi Papa Francesco non le avrebbe mai pronunciate! È quanto ha rivelato un articolo del 22 novembre 2013 su Vatican Insider, il sito creato dal migliore vaticanista in circolazione, Andrea Tornielli (che tra l’altro è stato uno dei primi ad esprimere seri dubbi sull’autenticità dell’intervista). Prima di andare in stampa, Scalfari ha fatto pervenire il testo al Papa con una missiva nella quale avrebbe specificato quanto segue: “Consideri che alcune cose che Lei ha detto io non le ho incluse, ed altre che io La faccio dire tra virgolette, Lei non le ha dette, ma io le ho incluse perché consideravo che, facendogli dire certe cose, il lettore poteva capire meglio chi è Lei. Perciò, la legga bene questa ricostruzione”. Incredibile ma vero! E il Papa, in base a quanto riportato da Andres Beltramo Alvarez nel predetto articolo, si sarebbe limitato a dare un'occhiata di massima, fidandosi della ricostruzione del suo interlocutore e facendo pervenire l’OK dal suo segretario particolare. Inoltre si è saputo che Scalfari, novantenne, non ha mai registrato il suo colloquio a Casa Santa Marta e che per buttare giù il pezzo si è fidato, forse troppo, della sua memoria. Un altro fatto da considerare, tutt’altro che marginale, è il seguente. Quando si è deciso, a novembre 2013, di togliere l'intervista dal sito web del vaticano nella sezione riservata agli insegnamenti di Francesco, padre Lombardi ha emesso un comunicato molto interessante: “Non è un testo rivisto – ha spiegato –. E' da considerarsi attendibile nel suo senso generale, ma non parola per parola”. E quindi quelle affermazioni, ne dobbiamo dedurre, non possono essere considerate come parte del Magistero ufficiale del Papa per il semplice motivo che non sono mai state pronunciate come noi le leggiamo. Sono un virgolettato squisitamente e meramente giornalistico. Per fugare ogni dubbio, inoltre, basterebbe fare quello che nessuno si è premurato finora di fare. E cioè andare a leggere gli insegnamenti pubblici ed ufficiali di Francesco. Esiste in proposito un angelus del 30 giugno 2013 nel quale Bergoglio in persona ha dichiarato quanto segue: “Dobbiamo imparare ad ascoltare di più la nostra coscienza. Ma attenzione! Questo non significa seguire il proprio io, fare quello che mi interessa, che mi conviene, che mi piace. Non è questo! La coscienza è lo spazio interiore dell’ascolto della verità, del bene, dell’ascolto di Dio; è il luogo interiore della mia relazione con Lui, che parla al mio cuore e mi aiuta a discernere, a comprendere la strada che devo percorrere, e una volta presa la decisione, ad andare avanti, a rimanere fedele”. Lo ripeto, queste sono parole autentiche di Papa Francesco, è un suo insegnamento ufficiale, ed è molto differente da quanto si legge nell’intervista del primo ottobre, direi quasi che è qualcosa di molto ratzingeriano, in perfetta armonia con la dottrina della fede. E non poteva essere altrimenti. Se solo si prestasse più attenzione al Magistero autentico del Papa, certi equivoci e certe polemiche non avrebbero motivo di esistere.