La collegialità non poteva esprimersi
meglio di così. Quello che si è appena concluso è stato un Sinodo
molto diverso dai precedenti, durante il quale, come aveva sperato lo
stesso Francesco in apertura, i vescovi hanno parlato in tutta
libertà sui temi più scottanti, divorziati, sacramenti, gay. Questa
volta se le sono dette
di santa ragione, ma la cosa non deve spaventarci più di tanto.
Anzi.
La funzione del sinodo è proprio quella di bruciare le scorie ecclesiali, di aprire tutti al confronto delle proprie idee nelle materie dottrinali riformabili e di coltivare quella “polifonia” che per il credente è attestazione dei multiformi carismi dello Spirito Santo. Un esercizio di pazienza. Anche per questo, il rischio di strappi e fratture è concreto. La mancanza del quorum sui punti più delicati della Relatio finale, che è stata un tentativo di sintesi forse impossibile in questa fase, viste le contrapposizioni frontali tra alcuni settori, è il segnale che il cammino verso la Chiesa sognata da Papa Francesco, una Chiesa pronta a curare e a fasciare le piaghe del mondo contemporaneo, è ancora lungo e complicato. Jorge Mario Bergoglio ne è pienamente consapevole. Nel suo discorso conclusivo è salito letteralmente in cattedra, precisando che “il Sinodo si svolge cum Petro e sub Petro, e la presenza del Papa è garanzia per tutti”. E andando al cuore del problema ha evocato il rischio di tentazioni distruttrici, quelle dei “tradizionalisti” e degli“intellettualisti” che si trincerano nella lettera, e quelle dei “buonisti” che scendono dalla Croce e propalano una misericordia menzognera. “Mi sarei molto preoccupato e rattristato – ha detto – se non ci fossero state queste tentazioni e queste animate discussioni”. Il discorso equilibrato, vigoroso, intensissimo, di Francesco, ha fatto capire due cose molto chiare. Che il Papa ha intenzione di andare avanti con coraggio e pazienza, facendo appello a tutta la sua autorità apostolica in comunione con la Chiesa universale e in continuità con la dottrina, e che il progetto di una Ecclesia del III millennio “da campo” che esce incontro all'umanità, è un cantiere a cielo aperto nel quale tutti i credenti, e soprattutto l'episcopato mondiale e la Curia, sono chiamati a lavorare con spirito di fraternità, di amore e di carità, evitando quelle tentazioni diaboliche che sono le barricate ideologiche.
La funzione del sinodo è proprio quella di bruciare le scorie ecclesiali, di aprire tutti al confronto delle proprie idee nelle materie dottrinali riformabili e di coltivare quella “polifonia” che per il credente è attestazione dei multiformi carismi dello Spirito Santo. Un esercizio di pazienza. Anche per questo, il rischio di strappi e fratture è concreto. La mancanza del quorum sui punti più delicati della Relatio finale, che è stata un tentativo di sintesi forse impossibile in questa fase, viste le contrapposizioni frontali tra alcuni settori, è il segnale che il cammino verso la Chiesa sognata da Papa Francesco, una Chiesa pronta a curare e a fasciare le piaghe del mondo contemporaneo, è ancora lungo e complicato. Jorge Mario Bergoglio ne è pienamente consapevole. Nel suo discorso conclusivo è salito letteralmente in cattedra, precisando che “il Sinodo si svolge cum Petro e sub Petro, e la presenza del Papa è garanzia per tutti”. E andando al cuore del problema ha evocato il rischio di tentazioni distruttrici, quelle dei “tradizionalisti” e degli“intellettualisti” che si trincerano nella lettera, e quelle dei “buonisti” che scendono dalla Croce e propalano una misericordia menzognera. “Mi sarei molto preoccupato e rattristato – ha detto – se non ci fossero state queste tentazioni e queste animate discussioni”. Il discorso equilibrato, vigoroso, intensissimo, di Francesco, ha fatto capire due cose molto chiare. Che il Papa ha intenzione di andare avanti con coraggio e pazienza, facendo appello a tutta la sua autorità apostolica in comunione con la Chiesa universale e in continuità con la dottrina, e che il progetto di una Ecclesia del III millennio “da campo” che esce incontro all'umanità, è un cantiere a cielo aperto nel quale tutti i credenti, e soprattutto l'episcopato mondiale e la Curia, sono chiamati a lavorare con spirito di fraternità, di amore e di carità, evitando quelle tentazioni diaboliche che sono le barricate ideologiche.