Davanti al Sacrario di Redipuglia,
un'imponente piramide a gradoni che conserva le spoglie di oltre
centomila soldati italiani morti durante la prima Guerra Mondiale,
Papa Francesco, prima di iniziare l'Eucarestia, ha alzato lo sguardo
per vedere le tre croci che si stagliavano su un cielo grigio.
É
stato fermo per un attimo a osservare il calvario, pensando
probabilmente a quel Cristo che continua ad essere crocifisso nella
storia e magari ha il volto di ragazzi giovanissimi mandati al
macello per conquistare una collinetta o qualche metro di confine.
“Trovandomi qui, in questo luogo - ha detto al termine dell'omelia
- posso dire soltanto: la guerra è una follia”. Da diversi mesi, a
causa della guerra in Siria e Palestina e dell'escalation militare in
Iraq, Francesco ha moltiplicato i suoi appelli di pace,
riallacciandosi ad alcuni punti fermi del magistero pontificio del
Novecento. Ha citato l'“inutile strage” di Benedetto XV e
soprattutto il celebre radiomessaggio di Pio XII dell'agosto 1939,
affermando che “tutto
si perde con la guerra, tutto di guadagna con la pace”.
In realtà il testo ufficiale di Papa Pacelli è leggermente diverso:
“Con la pace nulla è perduto, tutto può essere perduto con la
guerra”. Questa piccola differenza mi ha subito incuriosito. Pio
XII in effetti lanciò il suo appello quando la bomba atomica non era
stata ancora inventata e la guerra, in base alla dottrina cattolica
classica, poteva in teoria essere ammessa in casi estremi. Pochi anni
dopo, nella Pacem in terris, Giovanni XXIII avrebbe però
messo in guardia l'umanità dal ricorrere a una simile forza
distruttiva, sostenendo che la guerra era ormai qualcosa che andava
contro il buon senso, era “aliena dalla ragione”. Proprio così,
oggi, l'ha definita Papa Francesco. Che, evocando lo spettro di una
“terza guerra mondiale combattuta a pezzi”, l'ha chiamata
“follia” e ha invocato il pianto per le vittime di ieri e di
oggi.