La normativa sui crocifissi nelle aule scolastiche risale agli anni ’20 del Novecento (regi decreti 965/1924 e 1297/1928, entrambi ancora in vigore) ma si rifà ad una legge ancora più antica del Regno di Sardegna approvata nel 1859, estesa all’intera Italia dopo l’unificazione. I rapporti tra il potere politico e quello ecclesiastico in quel frangente non erano certo distesi, l’idea prevalente era quella cavouriana della “libera Chiesa in libero Stato” (formula classica del liberalismo ottocentesco) ma si avvertì comunque la necessità di appendere i crocifissi nelle scuole rigorosamente laiche del Regno, espressione di quella religione, il cattolicesimo, professata da tutti gli italiani, da Nord a Sud, vero elemento di coesione nazionale. Da allora ne è passata di storia nello Stivale.
Ciò che sembrava un fatto scontato è diventato, in tempi recenti, un elemento di dissidio. Una società divenuta pluralistica e secolarizzata ha cominciato a non dare più molto peso a quel simbolo, che è di fatto scomparso, silenziosamente, nella gran parte delle scuole, nonostante la normativa sia stata sempre riaffermata negli anni. Il pronunciamento più recente è del 2006, quando il Consiglio di Stato ha risposto a un ricorso pretestuoso dell'Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti (UAAR) sottolineando che i regi decreti continuano ad essere validi e non inficiano la laicità dello Stato. “In Italia, il crocifisso è atto ad esprimere, appunto in chiave simbolica ma in modo adeguato, l'origine religiosa dei valori di tolleranza, di rispetto reciproco, di valorizzazione della persona, di affermazione dei suoi diritti, di riguardo alla sua libertà, di autonomia della coscienza morale nei confronti dell'autorità, di solidarietà umana, di rifiuto di ogni discriminazione, che connotano la civiltà italiana”, questo si legge nella sentenza. Ricordo che il mio professore di Letteratura e Storia, un grande uomo di cultura laica e “garibaldina”, non risparmiava in classe le sue stilettate contro il potere temporale della Chiesa, quando affrontava la storia del Risorgimento, ma diceva sempre che il crocifisso andava appeso ancora oggi. Sarebbe stato un errore madornale farlo scomparire. Il crocifisso è infatti un racconto e un appello sempre attuale ad ogni persona, indipendentemente dalle proprie convinzioni religiose. È la storia di un uomo senza colpa, condannato a una morte crudele. Ci ricorda che dobbiamo ricercare la giustizia nei rapporti sociali come in quelli personali. È la storia di un uomo che perdona nel momento in cui viene inchiodato su una tavola di legno. Ci ricorda che l’amore è l’unica misura della vita, senza amore l’uomo non è nulla. È infine la prova di un Dio che non è assente dalla nostra storia, non è il "totalmente Altro" (Rudolf Otto) o un concetto metafisico, ma l’“assolutamente Prossimo” (Papa Francesco), un Dio che arriva fino al limite: e che ci ama oltre ogni limite umano.