I fatti possono essere interpretati, contestualizzati, indagati, raccontati, persino vissuti in modi diversi. Le dottrine invece, quelle sì, sono come macigni. Ecco perché l’Islam non si è spostato di un millimetro da quel lontano VII secolo e oggi fa una fatica enorme a pensare la storia, i rapporti sociali, la convivenza internazionale in termini moderni. La sua struttura è di acciaio, il suo Libro è dettato direttamente dall’arcangelo Gabriele a Maometto. Cristo invece, come sappiamo, non lasciò nulla di scritto. La sua storia ci è pervenuta per mezzo di racconti che allo stesso tempo annunciano la fede: i Vangeli. Ben altra cosa che testi dettati da un angelo, ma parole umane che danno voce alle Parole e ai Gesti divini, con tutta la forza di una distanza che continuamente si annulla e si dà. Ecco l’importanza di una tradizione viva, di una Chiesa che custodisce il Depositum e annuncia. Ecco la necessità di un Magistero che guida e orienta. E tutto, nella ricchezza di un evento, la vita e la Resurrezione di Cristo, inserito nella grande narrazione di Israele e proiettato nel futuro dell’umanità e persino del cosmo. Si capisce come, di epoca in epoca, ciò che Cristo disse e fece sia stato accolto, meditato, vissuto, praticato e annunciato in modi e maniere diversissimi, sempre però nell’unità e nell’appartenenza a una Chiesa, senza la quale si è come i tralci distaccati dalla vite. Dunque, per tornare al nostro tema, le tante riviste che si rivolgono oggi a pubblici così diversi e settoriali non sono qualcosa di negativo. La Chiesa è per sua natura pluralista, “è un corpo vivo cui mancherebbe qualcosa alla propria vita, se le facesse difetto l’opinione pubblica” (così Pio XII nel 1950). Il rischio, sempre dietro l’angolo, è che il dibattito interno si tramuti in contrapposizioni e divisioni. Già San Paolo avvertiva questo problema: siamo tutti di Cristo, “è forse diviso Cristo?” (1Cor 1, 13). Le fazioni sono deleterie, lo stesso le apologetiche “ad intra” che non hanno altro scopo se non quello di affossare i fedeli di opposto “colore”, spesso con accenti verbali tutt’altro che moderati. Purtroppo ne vediamo tanti esempi, da una parte e dall’altra. La moderazione è una merce rara di questi tempi. Mi domando: questo fa bene alla Chiesa? Certamente no. La Chiesa non può diventare un arcipelago. Se la tentazione è ridursi a un ammasso di isole, separate da bracci di mare più o meno vasti e senza contatti, bisogna sperare che ciò non avvenga, e la discussione sia sempre dialogante e fondata sull’unità.
Il Blog di Antonio Marguccio. Per difendere la Santa Chiesa Cattolica e il Papa
lunedì 4 dicembre 2017
La Chiesa-arcipelago. Quanto ci fa bene?
Sto sfogliando alcune riviste cattoliche il cui orientamento è sensibilmente diverso, se non opposto. Non mi meraviglio di questo. La Catholica è per definizione universale, plurale, “polifonica”, come ebbe a dire una volta il buon Benedetto XVI. Il motivo è semplice. A differenza di tutte le grandi religioni mondiali, il cristianesimo è innanzitutto un fatto, e i fatti non sono come le dottrine.
I fatti possono essere interpretati, contestualizzati, indagati, raccontati, persino vissuti in modi diversi. Le dottrine invece, quelle sì, sono come macigni. Ecco perché l’Islam non si è spostato di un millimetro da quel lontano VII secolo e oggi fa una fatica enorme a pensare la storia, i rapporti sociali, la convivenza internazionale in termini moderni. La sua struttura è di acciaio, il suo Libro è dettato direttamente dall’arcangelo Gabriele a Maometto. Cristo invece, come sappiamo, non lasciò nulla di scritto. La sua storia ci è pervenuta per mezzo di racconti che allo stesso tempo annunciano la fede: i Vangeli. Ben altra cosa che testi dettati da un angelo, ma parole umane che danno voce alle Parole e ai Gesti divini, con tutta la forza di una distanza che continuamente si annulla e si dà. Ecco l’importanza di una tradizione viva, di una Chiesa che custodisce il Depositum e annuncia. Ecco la necessità di un Magistero che guida e orienta. E tutto, nella ricchezza di un evento, la vita e la Resurrezione di Cristo, inserito nella grande narrazione di Israele e proiettato nel futuro dell’umanità e persino del cosmo. Si capisce come, di epoca in epoca, ciò che Cristo disse e fece sia stato accolto, meditato, vissuto, praticato e annunciato in modi e maniere diversissimi, sempre però nell’unità e nell’appartenenza a una Chiesa, senza la quale si è come i tralci distaccati dalla vite. Dunque, per tornare al nostro tema, le tante riviste che si rivolgono oggi a pubblici così diversi e settoriali non sono qualcosa di negativo. La Chiesa è per sua natura pluralista, “è un corpo vivo cui mancherebbe qualcosa alla propria vita, se le facesse difetto l’opinione pubblica” (così Pio XII nel 1950). Il rischio, sempre dietro l’angolo, è che il dibattito interno si tramuti in contrapposizioni e divisioni. Già San Paolo avvertiva questo problema: siamo tutti di Cristo, “è forse diviso Cristo?” (1Cor 1, 13). Le fazioni sono deleterie, lo stesso le apologetiche “ad intra” che non hanno altro scopo se non quello di affossare i fedeli di opposto “colore”, spesso con accenti verbali tutt’altro che moderati. Purtroppo ne vediamo tanti esempi, da una parte e dall’altra. La moderazione è una merce rara di questi tempi. Mi domando: questo fa bene alla Chiesa? Certamente no. La Chiesa non può diventare un arcipelago. Se la tentazione è ridursi a un ammasso di isole, separate da bracci di mare più o meno vasti e senza contatti, bisogna sperare che ciò non avvenga, e la discussione sia sempre dialogante e fondata sull’unità.
I fatti possono essere interpretati, contestualizzati, indagati, raccontati, persino vissuti in modi diversi. Le dottrine invece, quelle sì, sono come macigni. Ecco perché l’Islam non si è spostato di un millimetro da quel lontano VII secolo e oggi fa una fatica enorme a pensare la storia, i rapporti sociali, la convivenza internazionale in termini moderni. La sua struttura è di acciaio, il suo Libro è dettato direttamente dall’arcangelo Gabriele a Maometto. Cristo invece, come sappiamo, non lasciò nulla di scritto. La sua storia ci è pervenuta per mezzo di racconti che allo stesso tempo annunciano la fede: i Vangeli. Ben altra cosa che testi dettati da un angelo, ma parole umane che danno voce alle Parole e ai Gesti divini, con tutta la forza di una distanza che continuamente si annulla e si dà. Ecco l’importanza di una tradizione viva, di una Chiesa che custodisce il Depositum e annuncia. Ecco la necessità di un Magistero che guida e orienta. E tutto, nella ricchezza di un evento, la vita e la Resurrezione di Cristo, inserito nella grande narrazione di Israele e proiettato nel futuro dell’umanità e persino del cosmo. Si capisce come, di epoca in epoca, ciò che Cristo disse e fece sia stato accolto, meditato, vissuto, praticato e annunciato in modi e maniere diversissimi, sempre però nell’unità e nell’appartenenza a una Chiesa, senza la quale si è come i tralci distaccati dalla vite. Dunque, per tornare al nostro tema, le tante riviste che si rivolgono oggi a pubblici così diversi e settoriali non sono qualcosa di negativo. La Chiesa è per sua natura pluralista, “è un corpo vivo cui mancherebbe qualcosa alla propria vita, se le facesse difetto l’opinione pubblica” (così Pio XII nel 1950). Il rischio, sempre dietro l’angolo, è che il dibattito interno si tramuti in contrapposizioni e divisioni. Già San Paolo avvertiva questo problema: siamo tutti di Cristo, “è forse diviso Cristo?” (1Cor 1, 13). Le fazioni sono deleterie, lo stesso le apologetiche “ad intra” che non hanno altro scopo se non quello di affossare i fedeli di opposto “colore”, spesso con accenti verbali tutt’altro che moderati. Purtroppo ne vediamo tanti esempi, da una parte e dall’altra. La moderazione è una merce rara di questi tempi. Mi domando: questo fa bene alla Chiesa? Certamente no. La Chiesa non può diventare un arcipelago. Se la tentazione è ridursi a un ammasso di isole, separate da bracci di mare più o meno vasti e senza contatti, bisogna sperare che ciò non avvenga, e la discussione sia sempre dialogante e fondata sull’unità.