martedì 9 agosto 2016

Scristianizzazione, pelagianesimo, ideologia del gender. La dura analisi di Francesco sulla crisi dell’Europa. Un Magistero di critica e di visione

Il viaggio In Polonia di Francesco ha coinciso con un momento critico per l’opinione pubblica europea, costretta a confrontarsi con il mostro ormai quotidiano e ineludibile del terrorismo. Le vittime di Nizza e l’orrore del sacerdote sgozzato a Rouen riaprono di continuo il tema della convivenza con l’Islam e delle frontiere più o meno porose. E Francesco, incalzato su questi temi, non ha aggirato il problema e non ha cercato eufemismi. “Questa è guerra”, ha detto sul volo aereo il 27 luglio, chiarendo però, come in altre occasioni (e come disse più volte Giovanni Paolo II al tramonto del suo pontificato dopo l’11 settembre, che segnò il nuovo paradigma di crisi globale), che lo scontro non è di matrice religiosa, che l’Islam non significa automaticamente terrorismo, che le vere cause di questa guerra “a pezzi” vanno cercate altrove.
“Quando io parlo di guerra – così Francesco – parlo di guerra sul serio, non di guerra di religione, no. C’è guerra di interessi, c’è guerra per i soldi, c’è guerra per le risorse della natura, c’è guerra per il dominio dei popoli: questa è la guerra. Qualcuno può pensare: ‘Sta parlando di guerra di religione’. No. Tutte le religioni vogliamo la pace.” In interventi successivi, Bergoglio ha scavato nel profondo di un’Europa che, nel terrorismo, sembra come somatizzare un male più profondo e più grave. Particolarmente degna di nota è stata la riflessione a braccio con i vescovi della Polonia avvenuta sempre il 27 luglio nella cattedrale di Cracovia. Alla domanda dell’arcivescovo Jędraszewski sulle risposte pastorali che la Chiesa intende dare all’ateismo sempre più diffuso, Bergoglio ha risposto con una dura analisi sullo stato di crisi della società europea. “La scristianizzazione, la secolarizzazione, è molto forte”, ha detto, spiegando che il rischio immediato è per la Chiesa stessa, tentata dal coltivare una spiritualità disincarnata e “gnostica”. Ha parlato di sfuggita anche di pelagianesimo, cioè di un ottimismo ideologico sull’uomo che lo espone a pericolosi e fallaci miti. E quindi del problema di una Chiesa non più accettata come canale e flusso dell’incontro con Dio, di un Popolo senza Chiesa e conseguentemente di un Dio senza Cristo, tagliato su misura per qualche suggestione sentimentale e niente di più. La risposta che Francesco ha indicato passa per una Chiesa vicina al mondo contemporaneo, nonostante tutto, nello spirito delle Beatitudini e del “tocco” di Cristo, ovvero del suo incontro permanente e vivo con l’uomo di tutti i tempi. Un tema, questo, che il Papa argentino ha scandito raccontando diversi aneddoti. Come quello della suora ultraottantenne che va a un ospedale africano in canoa, o come quello dei confessori che “perdono tempo” con penitenti che non possono ricevere l'assoluzione (bellissima immagine di una misericordia che non è automatismo né permissivismo, ma crescita paziente e semina della nostalgia di Dio nei cuori feriti). E poi, nel succitato incontro, c’è anche spazio per un secco affondo alle colonizzazioni ideologiche e alla teoria del gender, ovviamente passato sotto una cortina di silenzio dai media internazionali e italiani. “In Europa, in America, in America Latina, in Africa, in alcuni Paesi dell’Asia, ci sono vere colonizzazioni ideologiche. E una di queste, lo dico chiaramente con ‘nome e cognome’, è il gender! Oggi ai bambini, ai bambini!, a scuola si insegna questo: che il sesso ognuno lo può scegliere. E perché insegnano questo? Perché i libri sono quelli delle persone e delle istituzioni che ti danno i soldi. Sono le colonizzazioni ideologiche, sostenute anche da Paesi molto influenti. E questo è terribile”. Bergoglio ha anche raccontato un pensiero “inedito” confidatogli da Benedetto XVI su questo argomento: “Santità, questa è l’epoca del peccato contro Dio Creatore!”. Dio, ha proseguito Francesco, “ha creato l’uomo e la donna; Dio ha creato il mondo così, così, così…, e noi stiamo facendo il contrario”. Il punto da sottolineare è che il pontificato di Francesco, in grande continuità con i suoi predecessori (seppur con sfumature diverse) sta proponendo, davanti ai problemi del terrorismo e del fondamentalismo religioso, un’analisi squisitamente spirituale, di grande forza e di grande visione d’insieme, senza cadere nella trappola di una lettura istintiva, pessimistica e catastrofica come quella nel teorizzato scontro di civiltà di Samuel Huntington, o peggio nella paura di una guerra di religione. Passando dall’epidermide dei problemi alla loro radice, il magistero della Chiesa cattolica può svolgere in questa fase una nuova azione di critica all’interno del pensiero occidentale, di ripensamento dei problemi aperti dalla modernità almeno da un secolo e mezzo (problemi testimoniati anche dai campi di concentramento nazisti, visitati nel corso del viaggio), anche se stavolta nel contesto opposto di una crisi di identità, di una debolezza della ragione e di una decadenza geopolitica del Vecchio Continente. Proprio come scrive Francesco nell’esortazione Evangelii Gaudium citando Platone, l’obiettivo è cercare di non sostituire la ginnastica con la cosmesi. E cioè, non aggirare i problemi ma affrontarli alla radice.