ANTONIO MARGUCCIO: Buona sera. Beh, in genere d’estate si leggono dei romanzi un po’ leggeri. Ultimamente vanno di moda dei thriller a sfondo storico-religioso, tipo Dan Brown, che però secondo me non vanno tanto bene, perché diffondono delle teorie fantasiose a dir poco sui Vangeli e sulla Chiesa. Invece, pur restando in questo genere di letteratura che affronta il tema dei Vangeli – ma lo fa con spessore e con del contenuto – consiglierei per l’estate un grande libro che è stato ripubblicato da poco, “Il Quinto Evangelio” di Mario Pomilio.
Io l’ho letto una decina di anni fa e lo sto rileggendo proprio in questi giorni. È la storia di un ufficiale americano, Peter Bergin, che, durante il nazismo, si ritrova in una canonica abbandonata. Rovistando tra le carte segrete del prete che aveva vissuto lì, scopre degli incredibili riferimenti a un “quinto evangelio”. Versetti sparsi citati qua e là, che spingono il protagonista a cercare questo ipotetico Vangelo misteriosamente perduto. È una ricerca che si snoda lungo i secoli, nei documenti che sembrano accennare all’esistenza di questo libro, o nei versetti isolati che riportano le parole dimenticate di Cristo. È insomma una lettura appassionante, altro che Dan Brown! La morale di questo romanzo poi, secondo me, ci dà anche una chiave interpretativa per cogliere quello che agita la nostra cultura odierna. Mi spiego. C’è una frase che mi ha colpito alla fine: “Procura di incontrare il Cristo e avrai trovato il quinto evangelio”. Quindi, la ricerca di qualcosa. Il desiderio di scoprire qualcosa di sensazionale, che però, in ultima analisi, rimanda a un Qualcuno, con la Q maiuscola, magari inconsciamente.
GIANNI MARITATI: Sono contento che citi “Il Quinto Evangelio”, perché è un libro che mi folgorò sulla via di Damasco! Impazzii di gioia quando lo lessi (avevo 16 anni) e fu un libro che rafforzò la mia fede. A me ha colpito un versetto, che credo sia stato inventato da Pomilio: “Chi si stupirà, regnerà”. Lo stupore di fronte al creato ti apre le porte di Dio in qualche modo. Ti ringrazio per aver consigliato questo libro, che nella mia vita è stato fondamentale. Adesso però parliamo del tuo libro, “Cantate al Signore!”.
ANTONIO MARGUCCIO: Sì, è stato un libro impegnativo, ma mi sono divertito tanto a scriverlo, anche perché ho cercato un approccio divulgativo, simpatico. Tuttavia il tema è molto serio. Si parla spesso oggi di scontri che avvengono in seno alla Chiesa su svariati problemi, il più delle volte dai risvolti politici, mentre invece nulla o pochissimo si dice delle polemiche che riguardano la musica sacra. Forse perché si pensa alla musica sacra come a una zona di nicchia, di élite, per cui bisognerebbe essere degli espertissimi in materia. Ma non è così. La polemica verte sostanzialmente su un punto, che cercherò di spiegarvi in estrema sintesi. La musica sacra non è fine a se stessa, non ha come obiettivo (o almeno come obiettivo principale) il piacere dell’ascolto, come avviene nella musica profana, ma deve rimandare a qualcos’altro, o meglio (come dicevo anche prima) a Qualcun altro, a Dio. Ecco perché ho intitolato il libro “Cantate al Signore!”. È un invito che si trova spesso formulato nei salmi. Lodare il Signore è lo scopo della musica liturgica, cioè favorire la preghiera delle persone che partecipano all’Eucarestia (che è la liturgia più importante, diciamo, del culto cattolico). Il problema nasce quando questo non avviene, quando si dà più peso alla musica che non all’autentica preghiera, quando i compositori cercano di esprimere tutto il loro genio musicale a discapito della genuinità del rito. Nella storia, per duemila anni, troviamo traccia di polemiche che si accendono e si riaccendono di continuo intorno a questo problema di fondo. Ad esempio, già alcuni Padri della Chiesa, come San Giovanni Crisostomo e San Girolamo, si lamentavano dei canti troppo elaborati in un’epoca in cui stava avvenendo il passaggio dalle forme semplici della musica ereditata dall’ebraismo al primisssimo “gregoriano”. Sant’Agostino ci ha lasciato delle pagine bellissime a proposito dei “tormenti” emozionali che viveva ascoltando gli inni di Sant’Ambrogio a Milano. Oppure, quando nel Medioevo nacque un nuovo linguaggio, la polifonia, Papi e vescovi fecero notare che la musica troppo complessa non faceva un bel servizio alla liturgia, non si capivano bene le parole, e allora il Concilio di Trento e in seguito altri sinodi presero dei provvedimenti che stimolarono, tra l’altro, un’evoluzione stilistica che culminò nelle stupende Messe del Palestrina. Insomma, quella della musica sacra è una storia avventurosa. E le polemiche arrivano fino ad oggi, al Vaticano II e alle Messe beat. Si tratta di un genere che ha avuto il suo sviluppo massimo negli anni Sessanta-Settanta, ma ancora oggi paradigmatico, diciamo, e che è in debito con la musica leggera, la musica pop. Questo non deve stupire più di tanto perché la musica sacra ha sempre avuto una contiguità, una porosità, con la musica che le sta intorno. E quindi si rinnova, ma quando si rinnova nascono sempre nuove discussioni. In questo caso, oggi il dibattito vede contrapposti due fronti: da una parte i riformatori, convinti che la musica liturgica debba rinnovarsi profondamente e quindi sia autorizzata a fare uso di strumenti moderni presi in prestito dal pop (chitarre, tastiere, batterie, ecc.) per coinvolgere le assemblee delle chiese e fornire loro un habitat sonoro familiare, diciamo così; dall’altra parte chi dice che la musica sacra deve essere sacra, scusate il tautologismo, quindi bisogna che rimanga legata alla tradizione, cioè all’organo a canne, al gregoriano e alla polifonia palestriniana, che in genere (insieme al canto popolare) sono i tre pilastri della musica ecclesiastica, almeno nei documenti del magistero. Relativamente alle Messe beat,poi, ho trovato del materiale inedito sulla prima storica esecuzione della Messa dei Giovani di Marcello Giombini, avvenuta a Roma nel 1966, in un clima fomentato da scontri e discussioni. Successero delle cose curiosissime, addirittura un frate domenicano fu accusato di pensarla come i “capelloni” e fu zittito in malo modo. Dovette fare una specie di mea culpa. Insomma, per concludere, direi che nel libro ci si può fare un’idea di quelle polemiche che investono (a mio parere stimolandola e arricchendola) la Chiesa in un settore poco conosciuto, e che fanno capire molto bene come la Chiesa stessa viva in rapporto alle varie epoche che attraversa nella storia. C’è sempre il dilemma, anche nell’ambito del culto, di come adattarsi ai tempi: se farlo in maniera più generosa oppure se restare più autentica e fedele alla sua tradizione.
GIANNI MARITATI: Quindi un libro di storia ma anche di attualità.
ANTONIO MARGUCCIO: Assolutamente sì.