sabato 13 agosto 2016

La festa dell’Assunta nel segno della misericordia. L’antichissima processione papale della vigilia di Ferragosto continua oggi nella città di Tivoli. È la festa dell’Inchinata, la "Dormitio Virginis" che ricalca cerimoniali e suggestioni di altri tempi

La città di Tivoli, a una trentina di chilometri da Roma, diventa ogni anno il palcoscenico mozzafiato di una delle feste italiane più suggestive in onore dell’Assunta. È "l’Inchinata", un evento che, come ebbe a dire una volta il vescovo tiburtino Pietro Garlato, “tutti, vicini e lontani, ci invidiano”. Perché il cerimoniale di questa processione, che culmina con un solenne inchino tra due icone portate in trionfo la vigilia di Ferragosto, ricalca in maniera fedelissima la liturgia papale, interrotta nel Cinquecento, che vedeva protagonista l’immagine acheropita (“non dipinta da mano umana” e quindi divina) del Santissimo Salvatore del Laterano (ancora oggi custodita nel magnifico Sancta Sanctorum).
Questa processione stazionale, documentata a partire dal pontificato di Leone IV (IX secolo), si qualificava come una sapiente “messa in scena” di sapore fortemente simbolico, una specie di dramma sacro che dava forma e gesto alla tradizione della Dormitio Virginis. “La processione di ferragosto – scrive lo storico Enrico Parlato che ha studiato questo complesso rito – era infatti costruita sulla ‘visita’ in effigie che Cristo tributava alla madre nel momento della sua morte, una sorta di Dormitio Virginis a metà strada tra teatro e pittura”. L’icona del Salvatore attraversava Roma, il Foro e altre zone, esercitando così la sua signoria sulla città e sugli abitanti. Al suo passaggio venivano compiuti diversi atti di venerazione, il più importante dei quali era il lavaggio dei piedi della tavola con unguenti e basilico (rituale ancora oggi eseguito a Tivoli). Il basilico, l’erba regia, confermava la natura sacra e miracolosa dell’immagine, quasi un ponte diretto con il Cristo stesso, mentre l’unzione dei piedi mimava la scena della Maddalena nella casa del fariseo raccontata nel vangelo di Luca, diventando così un forte riferimento alla remissione dei peccati e invito alla conversione. La processione aveva come motivo conduttore la luce. Le strade venivano addobbate con luminarie e fiaccole e il corteo aspettava l’alba davanti alla chiesa di S. Maria Maggiore, quando avveniva l’incontro dell’icona acheropita con quella della Vergine. I due dipinti venivano messi l’uno a fianco all’altro, mimando in questo modo il momento finale della Dormitio, il Figlio venuto incontro alla Madre “addormentata” in una luce senza eguali per accoglierla in Paradiso in anima e corpo, prefigurazione della risurrezione dei credenti. Questo stupendo rituale mostra quanto fosse cristocentrica e adulta (contrariamente ai soliti cliché) la fede medievale anche in relazione al culto mariano. Era infatti il Cristo risorto il cuore pulsante della festa, una festa di tale potenza allegorica e di tale splendore che stimolò diverse sue repliche in scala ridotta, per così dire, nelle periferie. A cominciare dalla sua variante tiburtina, considerata la vera erede del modello romano, soprattutto per la sua elaborazione e raffinatezza. A Tivoli la processione del 14 agosto, detta “l’Inchinata”, è attestata a partire dal XVI secolo (anche se tutto suggerisce un'origine molto più antica, a cominciare dalle icone portate in processione, tra cui lo spettacolare Trittico del Salvatore, un dipinto, anch'esso considerato un’acheropita, risalente al XII secolo e rivestito da una lastra in argento sbalzato, un raro capolavoro quattrocentesco che, nella notte, sembra brillare di luce propria). Il corteo, configurato come una veglia pasquale, parte dalla Cattedrale di San Lorenzo Martire, attraversa la città e raggiunge a tarda notte la chiesa di S. Maria Maggiore (anche questa una eloquente reminiscenza del rituale romano), dove, sulla piazza addobbata con archi di mirto, incontra l’icona della Madonna delle Grazie (un prezioso dipinto su tavola di epoca tardomedievale). Le due macchine processionali vengono poste l’una davanti all'altra per alcuni lunghissimi minuti, nel silenzio generale. Poi il popolo, secondo un’usanza secolare, grida per tre volte “Misericordia!” e nello stesso momento le due icone vengono fatte inchinare dalle rispettive confraternite. La luce di fiaccole e fuochi d’artificio illumina a giorno la piazza festante. La festa tiburtina ricalcata sul modello papale romano, oltre ad avere una struttura chiaramente pedagogica che tra l'altro ben si attaglia al clima ecclesiale di questo Giubileo straordinario (passaggio dalla notte alla luce, dalle tenebre del peccato alla vita divina sulle orme del Cristo risorto, con l’invocazione della misericordia) ha anche una dimensione ecumenica, visti i molti agganci con la tradizione liturgica e l'iconografia orientale. (Su questo argomento ho scritto un articolo per una rivista di divulgazione storico-archeologica, "Il sole e la luna. La Festa dell’Inchinata di Tivoli dal gesto rituale alla poesia dei simboli", in "Aequa" n. 62, 2015, pagg. 51-56, http://www.aequa.org/v1/index.php/2015-numero-62). La sua sopravvivenza si deve anche a un Papa, Benedetto XIII, che nel 1725 ordinò di non trascurare la tradizionale processione nonostante alcuni incidenti ne avessero impedito il regolare svolgimento. L'Inchinata, in programma anche quest'anno secondo un "protocollo" di grande solennità che si ripete sempre uguale, è il bellissimo esempio di una fede che in passato ha saputo produrre arte e cultura e che anche oggi riesce ad essere incredibilmente attuale.