Il Pontificato di Jorge Mario Bergoglio, primo Papa della storia che ha scelto per sé il nome di San Francesco d’Assisi e che è stato eletto dopo una delle più grandi crisi istituzionali del papato contemporaneo, risolta dalle storiche dimissioni di Benedetto XVI, conosce attualmente una popolarità e un apprezzamento mediatico insolitamente elevati, quasi plebiscitari. Addirittura un anticlericale come Marco Pannella, che era solito, nella sua lunga carriera di intransigente dell’ideologia liberale, recarsi in Piazza San Pietro con cartelloni beffardi e spregiudicati, si è riconciliato, prima di morire, con il “suo” Papa, scrivendo a Bergoglio una lettera toccante dal suo capezzale. Quasi, si direbbe, la lettera di un convertito:
“Caro Papa Francesco, ti scrivo dalla mia stanza all'ultimo piano, vicino al cielo, per dirti che in realtà ti stavo vicino a Lesbo quando abbracciavi la carne martoriata di quelle donne, di quei bambini, e di quegli uomini che nessuno vuole accogliere in Europa. Questo è il Vangelo che io amo e che voglio continuare a vivere accanto agli ultimi, quelli che tutti scartano”. Se Francesco riesce a “convertire”, per attrazione spontanea, anche esponenti del liberalismo radicale, un mondo che tradizionalmente è sempre stato contro la Chiesa e soprattutto contro il Papato, un mondo che storicamente, come aveva ultimamente affermato lo stesso Pannella, ha già vinto in Europa la sua battaglia secolare contro il cattolicesimo (prova ne è l’ultima legge del governo Renzi che sancisce un’equiparazione di fatto tra il matrimonio e le unioni civili anche tra esponenti dello stesso sesso), c’è d’altro canto un fatto paradossale. L’unica consistente e tenace voce critica nei riguardi di questo pontificato viene non dall'esterno ma dall'interno della Chiesa (con l'aggiunta degli esponenti della cultura teocon che si facevano belli sotto il pontificato ratzingeriano salvo scoprirsi ora in mutande). Sul piano mediatico, è un fronte multicolore, nel quale si possono incontrare posizioni poco serie e astruse, ma anche riflessioni di un certo livello.
Accanto ai ciarlatani che le sparano grosse per vendere i loro libri, e che hanno fatto dell’antagonismo al Papa semplicemente un business editoriale, una critica abbastanza ragionata (anche se non condivisibile) è venuta ultimamente da un intellettuale come Roberto De Mattei, in un suo intervento al Rome Life Forum svoltosi all’Hotel Columbus di Roma il 6 maggio 2016. Secondo De Mattei da oggi “nessun confessore potrà rifiutare l’assoluzione a chi è in coscienza convinto che la situazione irregolare in cui si trova è l’unica, o quantomeno la migliore possibile. Le circostanze e la situazione, secondo la nuova morale, dissolvono il concetto di male intrinseco e di peccato pubblico e permanente. Se i pastori cessano di parlare di peccato pubblico e incoraggiano adulteri e concubini a integrarsi nella comunità cristiana, senza escludere loro l’accesso ai Sacramenti, con la pastorale cambia necessariamente anche la dottrina. La regola della Chiesa era: ‘i divorziati, risposati civilmente, che vivono in concubinato, non possono accostarsi all'Eucarestia’. La Amoris laetitia stabilisce invece: ‘i divorziati risposati, in alcuni casi, possono comunicarsi’. Il cambiamento non è solo di fatto, è di principio. E’ sufficiente una sola eccezione nella pratica, per cambiare il principio. Come negare che questa Rivoluzione nella prassi non sia anche una Rivoluzione nella dottrina?”. Questo ragionamento ha almeno due punti deboli. Il primo è quello di non riconoscere alla pastorale della Chiesa una sua dinamicità (dinamicità che è confermata dalla vita stessa della Chiesa e dalle posizioni di alcuni Padri dei primi secoli su questo argomento). Il secondo è quello di ignorare un elemento del pensiero teologico di San Tommaso, ricordato esplicitamente nella stessa esortazione, secondo cui tra principi generali (la dottrina) e norme pratiche (la pastorale) non c’è un automatismo, ma una complessità (“tanto più aumenta l’indeterminazione quanto più si scende nel particolare”). L'esortazione cita la quaestio 94 della prima parte della seconda parte della Summa Theologiae. Ma ce n'è un'altra, non richiamata dal documento pontificio, che chiarisce ancora di più questo principio tutt'ora valido in teologia morale, e cioè che la norma generale "non sufficit ad recte ratiocinandum circa particularia" ("non è sufficiente per ragionare sui casi particolari"; è la quaestio 58 della stessa sezione dell'opera di San Tommaso). La Amoris Laetitia rimane senz'altro da approfondire per il suo nuovo approccio al problema, ma i toni alla De Mattei rischiano di ridurre il tutto a polemiche sterili e a contrapposizioni inutili.