In un botta e risposta a braccio Papa Francesco, ieri, si è confrontato su diversi temi “sensibili” con una rappresentanza di religiose appartenenti all’Unione delle Superiore maggiori. Purtroppo non esiste una sbobinatura completa dell’incontro, ma solo qualche sintesi ufficiosa e qualche virgolettato giornalistico da prendere con le molle. Si sa comunque che nell’aula Paolo VI si è parlato di argomenti cari a Bergoglio: sensibilità femminile nella Chiesa, servizio da opporre al servilismo, incarichi direzionali, rischio di un clericalismo al femminile e crisi delle vocazioni. A un certo punto, prevedibilissima, è saltata fuori la domanda sul diaconato femminile. Il Papa, riporta un servizio della Radio Vaticana, si è detto disponibile a interessare della questione una Commissione di studio. Sul fronte del diaconato permanente riservato alle donne, probabilmente, Francesco investirà molte energie.
Già in diverse circostanze Bergoglio si è detto convinto di un maggiore inserimento delle donne nella vita della Chiesa. Un trend, del resto, che è in atto, seppur timidamente, da una trentina di anni. Basti pensare che, nel vecchio codice di diritto canonico poi aggiornato nel 1984, persistevano delle “precauzioni” abbastanza opinabili. Ad esempio, il sacerdote era obbligato a confessare le donne attraverso le grate dei confessionali, cosa che non era prevista per gli uomini. Oppure, tra i provvedimenti del sinodo di Roma voluto da Giovanni XXIII prima del concilio, ci fu la norma che vietava a un sacerdote di viaggiare in automobile assieme a una donna.
La porta chiusa. Il sacerdozio femminile
Il tema del diaconato all’inizio fu oscurato da quello del sacerdozio femminile, sorto in ambito anglicano e poi permeato nel tessuto ecclesiale negli anni Sessanta, a seguito del contagio delle varie ideologie femministe. Paolo VI chiarì in maniera inequivocabile che non era possibile ordinare le donne al sacerdozio “per ragioni veramente fondamentali” e pubblicò una dichiarazione a seguito dello studio di una commissione di teologi (Inter Insigniores). Giovanni Paolo II più volte fu costretto dalle circostanze più o meno bollenti (tipo contestazioni di gruppi di suore dissidenti e cose del genere) a tornare sul problema e alla fine pronunciò addirittura una dichiarazione che diversi teologi attualmente considerano infallibile perché “ex cathedra”, pronunciata cioè in maniera solenne e definitoria (come raramente avviene nel Magistero pontificio). La si trova nel documento Ordinatio Sacerdotalis del 1994: “Pertanto – scrive Giovanni Paolo II – al fine di togliere ogni dubbio su di una questione di grande importanza, che attiene alla stessa divina costituzione della Chiesa, in virtù del mio ministero di confermare i fratelli, dichiaro che la Chiesa non ha in alcun modo la facoltà di conferire alle donne l'ordinazione sacerdotale e che questa sentenza deve essere tenuta in modo definitivo da tutti i fedeli della Chiesa”. È a questa dichiarazione che Papa Francesco nel 2013 si è riferito mentre rispondeva in aereo a una giornalista brasiliana, parlando di “porta chiusa”.
La porta aperta. Le “diaconisse”
Il diaconato femminile, invece, è tutt'altra storia. In questo caso esistono testimonianze antiche e anche scritturali (nelle lettere paoline ai Romani e nella prima lettera a Timoteo). All’inizio del II secolo una Lettera di Plinio il Giovane, governatore della Bitinia (Turchia), menziona due donne, designate dai cristiani come ministrae, mentre a partire dal III secolo compaiono i termini specifici di diaconissa o diacona. A partire da questo periodo in alcune regioni della Chiesa orientale è attestato un ministero ecclesiale specifico attribuito alle donne. Inoltre in una compilazione canonico-liturgica, la Didascalia degli Apostoli, il vescovo è descritto come il rappresentate di Dio a capo di una piccola comunità che egli dirige soprattutto con l'aiuto di diaconi e diaconesse. Risulta chiaro, man mano che si va avanti nella storia, che tale ministero non veniva inteso come il semplice equivalente femminile del diaconato maschile. Le diaconesse avevano funzioni loro proprie, che non prevedevano un ruolo durante la Messa e quindi un’associazione con il ministero sacerdotale. La loro presenza era invece necessaria nella liturgia battesimale, come attestano alcuni scrittori ecclesiastici (Epifanio di Salamina), per una questione di pudore: dovevano infatti procedere all’unzione corporale delle donne prima del battesimo. Una raccolta di norme liturgiche del IV secolo della Chiesa siriana prevedeva l’imposizione delle mani da parte del vescovo, e quindi una vera e propria "ordinazione" e una solenne preghiera di consacrazione, tra l'altro molto bella. Poi, con il succedersi degli anni, la figura delle diaconesse (che potevano essere vergini o vedove) andò sempre più confondendosi con quella delle claustrali, e soprattutto con le badesse, fino a scomparire. Fu comunque un fenomeno esteso, tipico della Chiesa orientale, mentre in occidente in genere più tardivo e limitato geograficamente. In un documento molto interessante della Commissione Teologica Internazionale, Il Diaconato: evoluzione e prospettive, firmato dal cardinale Ratzinger nel 2003 e frutto di un lunghissimo lavoro preparatorio durato un decennio, sono stati tratteggiati i principali problemi (ma anche le positive potenzialità) che una reintroduzione di questa figura comporterebbe nella vita della Chiesa e nella riflessione teologica, soprattutto per quanto riguarda l’aspetto sacramentale e il suo rapporto con il sacramento dell’ordine. Il documento lascia aperta la discussione, chiede ulteriori approfondimenti e riflessioni. È su questo testo che comincerà a lavorare il nuovo cantiere voluto da Francesco (che ieri, tra l'altro, ha già messo un paletto ben preciso. Chiarendo, a scanso di equivoci, che non sarà possibile per le diaconesse tenere l’omelia durante la Messa, in quanto l'omelia è riservata a chi presiede, cioè al sacerdote). Tra porte chiuse e porte aperte, la sfida è quella di dare un nuovo slancio al rinnovamento alla Chiesa. Questa volta dipinto di rosa.