“Chi scrive – spiega – sta avvicinandosi al traguardo dei novanta anni di vita e, per conseguenza, è in grado di parlare sia del prima che del dopo Concilio per esperienza personale”. Padre Papinutti dimostra quanto sensata e aderente ai fatti sia quell’“ermeneutica della continuità” di ratzingeriana memoria. Una visione continuista, e non fratturale, del cambiamento della Chiesa a partire dal Vaticano II. Infatti, continua l’autore, “tutto quello che il Concilio ha stabilito a proposito della musica sacra si inserisce nella serie di riforme, di cambiamenti, di aggiornamenti e di adattamenti apportati alla legislazione musicale dagli ultimi Papi. Per conseguenza, se si vuole interpretare le norme stabilite dallo stesso Concilio, è doveroso richiamare continuamente i documenti anteriori. Ragionare in modo diverso, considerando cioè il Concilio solo come punto di partenza, equivarrebbe svisare del tutto e la lettera e lo spirito delle dichiarazioni conciliari. Sarebbe un inganno. Equivarrebbe tradire il Concilio”. Affermazione profondamente vera. Se si guarda in modo panoramico al magistero dei Papi sulla musica sacra nell’ultimo secolo, e non solo a partire dagli anni Sessanta (cosa che ho cercato di fare nel mio libro "Cantate al Signore!"), si nota chiaramente un progressivo e coerente processo di aggiornamento, che comincia con il motu proprio "Tra le sollecitudini" di San Pio X nel 1903. Tra le molte opportune norme che riformano il canto ecclesiastico caduto in preda alle musiche da operetta e da banda, la Chiesa chiede una maggiore “partecipazione attiva” del popolo alla Messa, ed è questa una vena acquifera fondamentale per comprendere l’evoluzione del magistero susseguente. Il progetto è quello di rendere vivo e partecipato il canto gregoriano, di recuperare la polifonia di stampo palestriniano e l’organo a canne, ma anche di stimolare il canto popolare in lingua volgare.
Effettivamente, come fa notare padre Papinutti, alla vigilia del Vaticano II la legislazione su questa materia è molto avanzata e la costituzione De Sacra Liturgia (1963) non avrebbe senso se presa come punto di partenza, cioè da zero. Vero è che la costituzione liturgica, nel paragrafo dedicato alla musica sacra e nel complesso, introduce anche dei cambiamenti (ad esempio per quanto concerne la Messa solenne, oppure la doppia lingua liturgica latino/volgare). Cambiamenti che, isolati dal contesto e strumentalizzati, produrranno una vera e propria rivoluzione non autorizzata dal magistero. È l’eterogenesi dei fini. Il Concilio auspica un aggiornamento necessario ma fedele alla tradizione. E invece, in pochi anni, la “distruzione” che sfugge di mano agli stessi riformatori: il gregoriano confinato “nei musei”, le chiese trasformate in balere che echeggiano di Messe beat (la prima presentata da Giombini a Roma il 27 aprile del ’66). Padre Papinutti racconta i retroscena di una battaglia drammatica tra liturgisti di nuova tendenza e musicisti di chiesa legati alla tradizione. Gli scontri tra Annibale Bugnini, considerato il deus ex machina della riforma, e i suoi oppositori; le critiche del direttore della Sistina Domenico Bartolucci, sempre più emarginato; le confidenze del cardinale Antonelli, che rimpiange l’equilibrata visione delle riforme di Pio XII.
Un libro, insomma, appassionante e che illustra, con tratti sanguigni ma veritieri, le dinamiche ancora irrisolte della musica sacra di oggi, in balia di repertori di massa prodotti per coinvolgere superficialmente le assemblee (con il risultato che la liturgia non è più il luogo del Sacro, del Mistero e della Bellezza che incanta e trasfigura la vita quotidiana). Per correggere, se possibile, malintesi e abusi. “A chi pensa che la mia visione sia frutto di nostalgia e di pessimismo – conclude padre Papinutti – voglio assicurare che non si tratta di nostalgia ma di tristezza, non è pessimismo ma amore”.