Il Concilio Lateranense IV si svolse in tre sessioni solenni l'11, il 20 e il 30 novembre 1215 nella Basilica di San Giovanni in Laterano a Roma. È passato alla storia per il termine “transustanziazione” riferito all'eucarestia, usato per la prima volta nella successione dei Concili (poi divenuto dogma a Trento) e per una delle formulazioni teologiche più controverse di sempre, “extra Ecclesia nullus omnino salvatur”, ancora oggi al centro di aspri dibattiti, se si pensa al documento Dominus Jesus firmato dal cardinale Ratzinger nel 2000. Per ricordare gli 800 anni di questo epocale Concilio, che segnò nel profondo la Chiesa medievale e che ancora oggi conserva un’attualità sorprendente, il Pontificio Comitato di Scienze Storiche ha promosso una due giorni di riflessioni alla Lateranense, dal 30 novembre al I dicembre.
Tra gli studi inediti presentati nell’aula magna dell’università, uno ha riguardato i sermoni pronunciati da Papa Innocenzo III durante le sessioni conciliari. Innocenzo III fu in effetti la figura di spicco dell'assise. Personaggio coltissimo, aveva studiato teologia a Parigi ed era autore di numerosi trattati. Definito “stupor mundi” per le sue eccezionali doti e per l'intenso pontificato, Lotario di Segni univa realismo politico e spiritualità, al punto che un biografo moderno lo ha definito “uomo di stato e idealista”. Sostanzialmente attuò la dottrina di Gregorio VII sulla superiorità del Papa rispetto all'Imperatore, divenendo l’attuatore di quella “plenitudo potestatis” che in tempi più recenti il teologo Yves Congar ha identificato come l’atto di nascita della “monarchia papale”, una visione accentratrice del pontificato romano tipica della fine del medioevo e di buona parte della modernità. Proprio come è avvenuto al Concilio Vaticano II con il celebre discorso di Giovanni XXIII, anche all’apertura del Lateranense IV il Pontefice pronunciò un dotto sermone, volto a indicare i temi programmatici dell’assise. Innocenzo III partì da un versetto del vangelo di Luca “Ho desiderato ardentemente di mangiare questa Pasqua con voi prima della mia passione” (Lc 22,15), per sviluppare i temi che gli stavano più a cuore: la liberazione della Terra Santa e la riforma della Chiesa, due Pasque “allegoriche” fortemente attese dal Pontefice. “Con l’ausilio di altri passi biblici – ha spiegato il prof. Riccardo Ferri – Innocenzo presenta la sua visione ecclesiologica. Il sommo pontefice deve passare in mezzo alla Chiesa universale, indagando e verificando i meriti di ognuno, assistito dai vescovi che, seguendo il suo esempio e la sua autorità di capo, principe e maestro, devono comminare vari tipi di sanzioni verso chiunque si dimostri colpevole”. Un passaggio del sermone suona come una dura reprimenda verso i preti del tempo. “Qualsiasi corruzione del popolo – dichiarò infatti Innocenzo III – deriva principalmente dal clero” (impossibile non pensare ai numerosi moniti di papa Francesco contro la corruzione della Chiesa!). Un altro aspetto interessantissimo, evidenziato dal prof. Giovanni Tangorra, è il tema del “decentramento” che, contrariamente a quanto si pensi, questo Concilio cercò di favorire con diverse misure. La figura dei vescovi, sebbene fosse molto diversa da quella odierna (a causa delle pressioni del potere secolare che Roma cercò di contenere con una stretta dipendenza e subordinazione al papato) appare come dinamica e incisiva. “Sostenere che Innocenzo III avesse una bassa concezione dell’episcopato, o che fosse impegnato a oscurarlo – ha sottolineato Tangorra – , sarebbe un grossolano errore”. Al contrario, nei documenti emerge una fisionomia episcopale incredibilmente attuale, incentrata sulla cura delle anime, il “nutrimento della Parola di Dio”, il frequente contatto con le parrocchie, la solida formazione dottrinale. “Innocenzo III si è costruito la fama di centralizzatore – ha osservato sempre Tangorra – tuttavia il Lateranense IV compie un passo importante verso la sussidiarietà, prevedendo forme decentrate del potere. In generale, le disposizioni sulla riforma dei costumi furono molto ambiziose. L’intento fu quello di produrre un balzo in avanti nell’evangelizzazione delle masse. Di certo alcune sue disposizioni hanno giocato un ruolo decisivo nell’autocoscienza ecclesiale, e sono giunte ai nostri giorni, persino in modo inconscio”.