La musica è quella del compositore inglese Paul Inwood, scelto tra una ventina di concorrenti, mentre il testo è opera del gesuita padre Eugenio Costa che, questa settimana, ne ha parlato in un’intervista pubblicata dal magazine Credere (gioiellino editoriale della San Paolo incaricato di divulgare i contenuti del Giubileo straordinario). “Perché il latino?”. Alla domanda Costa ha risposto schivando le tradizionali e annose polemiche, asserendo che la regola d’oro che lo ha guidato è stata la necessità di offrire un canto accessibile alle poliglotte assemblee della Basilica di San Pietro. Niente di meglio, quindi, che il caro vecchio latino (raccomandato in effetti da tutti i documenti magisteriali dal Concilio ad oggi, spesso nell’indifferenza generale, questo va detto). “È il tipico rompicapo posto dalle celebrazioni a san Pietro, dove si riuniscono migliaia di appartenenti a lingue e culture differenti. Che lingue capiscono? Che tradizioni liturgiche hanno? La questione – ha spiegato il gesuita – non è ‘latino sì, latino no’, ma ‘latino tanto quanto. Se utilizzato con circospezione, ad esempio per assemblee così diversificate, il latino svolge la sua buona funzione. Come il Q.B. nelle ricette: ‘Quanto Basta’”. Per favorire la diffusione del brano, il Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione ha comunicato che gli autori hanno donato ogni diritto di sfruttamento, rendendolo gratuito. Ottima iniziativa.
Il Blog di Antonio Marguccio. Per difendere la Santa Chiesa Cattolica e il Papa
venerdì 13 novembre 2015
L’inno del giubileo, parla Eugenio Costa. “Il latino quanto basta e quando serve”
È un canto sobrio e ripetitivo, in do minore, tonalità raccolta e contemplativa. Ed è contraddistinto da un facile ritornello in latino, scelto dal motto del Giubileo della Misericordia (“Misericordes sicut Pater” ispirato a Luca 6,36) e da una forma litanica che alterna versetti in italiano tratti dalle sacre Scritture e un responsum anch’esso in latino, in “aeternum misericordias eius” (“in eterno sarà il suo amore per noi”, dal Salmo 135). L’inno ufficiale del Giubileo della Misericordia è stato inserito da circa tre mesi sul sito ufficiale del Pontificio Consiglio per la Nuova Evangelizzazione, e da lì si può scaricare in formato mp3 nell’esecuzione della Cappella Sistina diretta da Massimo Palombella. Ci sono anche gli spartiti per organo e coro (con l’elaborata coda polifonica) e addirittura gli accordi per chitarra. Stavolta, a differenza di quanto udito in precedenti eventi ecclesiali, il canto che accompagnerà le solenni processioni in San Pietro ha la stoffa per coinvolgere l’assemblea e dare smalto alle liturgie. Perché è nel solco di una tradizione aggiornata con intelligenza
La musica è quella del compositore inglese Paul Inwood, scelto tra una ventina di concorrenti, mentre il testo è opera del gesuita padre Eugenio Costa che, questa settimana, ne ha parlato in un’intervista pubblicata dal magazine Credere (gioiellino editoriale della San Paolo incaricato di divulgare i contenuti del Giubileo straordinario). “Perché il latino?”. Alla domanda Costa ha risposto schivando le tradizionali e annose polemiche, asserendo che la regola d’oro che lo ha guidato è stata la necessità di offrire un canto accessibile alle poliglotte assemblee della Basilica di San Pietro. Niente di meglio, quindi, che il caro vecchio latino (raccomandato in effetti da tutti i documenti magisteriali dal Concilio ad oggi, spesso nell’indifferenza generale, questo va detto). “È il tipico rompicapo posto dalle celebrazioni a san Pietro, dove si riuniscono migliaia di appartenenti a lingue e culture differenti. Che lingue capiscono? Che tradizioni liturgiche hanno? La questione – ha spiegato il gesuita – non è ‘latino sì, latino no’, ma ‘latino tanto quanto. Se utilizzato con circospezione, ad esempio per assemblee così diversificate, il latino svolge la sua buona funzione. Come il Q.B. nelle ricette: ‘Quanto Basta’”. Per favorire la diffusione del brano, il Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione ha comunicato che gli autori hanno donato ogni diritto di sfruttamento, rendendolo gratuito. Ottima iniziativa.
La musica è quella del compositore inglese Paul Inwood, scelto tra una ventina di concorrenti, mentre il testo è opera del gesuita padre Eugenio Costa che, questa settimana, ne ha parlato in un’intervista pubblicata dal magazine Credere (gioiellino editoriale della San Paolo incaricato di divulgare i contenuti del Giubileo straordinario). “Perché il latino?”. Alla domanda Costa ha risposto schivando le tradizionali e annose polemiche, asserendo che la regola d’oro che lo ha guidato è stata la necessità di offrire un canto accessibile alle poliglotte assemblee della Basilica di San Pietro. Niente di meglio, quindi, che il caro vecchio latino (raccomandato in effetti da tutti i documenti magisteriali dal Concilio ad oggi, spesso nell’indifferenza generale, questo va detto). “È il tipico rompicapo posto dalle celebrazioni a san Pietro, dove si riuniscono migliaia di appartenenti a lingue e culture differenti. Che lingue capiscono? Che tradizioni liturgiche hanno? La questione – ha spiegato il gesuita – non è ‘latino sì, latino no’, ma ‘latino tanto quanto. Se utilizzato con circospezione, ad esempio per assemblee così diversificate, il latino svolge la sua buona funzione. Come il Q.B. nelle ricette: ‘Quanto Basta’”. Per favorire la diffusione del brano, il Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione ha comunicato che gli autori hanno donato ogni diritto di sfruttamento, rendendolo gratuito. Ottima iniziativa.