Nell’ultimo angelus di tre giorni fa Papa Francesco ha commentato, come di consueto, il vangelo domenicale, avente come tema la missione dei settantadue discepoli (Lc 10,1-12.17-20). Papa Bergoglio, nella sua mini “omelia”, non ha schivato il passo che oggi sembrerebbe più duro, quello in cui Luca riporta il monito di Gesù contro quei villaggi che non hanno accolto l’annuncio della salvezza: “Io vi dico che in quel giorno Sòdoma sarà trattata meno duramente di quella città”.
Non stupisce che il tema della missio ad gentes sia oggi quello più caldo e dibattuto dai teologi, ovviamente per motivi di ordine sociale e culturale, come pure per la compresenza di religioni mondiali le une accanto alle altre e spesso sradicate dai loro contesti di origine, ma anche e soprattutto per il nuovo approccio sulla dottrina della salvezza, che chiama in causa l’identità stessa della Chiesa. Alla domanda ecclesiologica per eccellenza, “perché Gesù Cristo ha fondato la Chiesa?”, si rispondeva una volta nella maniera più semplice possibile con il finale del vangelo di Marco: “E disse loro: ‘Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato'” (Mc 16,15-16). Se la Chiesa esiste per annunciare la “buona notizia” della salvezza ad ogni uomo e santificarlo con i sacramenti, in primis il battesimo, il problema della missione si “riduce” a mio parere solo a un dibattito sullo stile e sulle modalità, che è quanto ha fatto il Vaticano II in effetti. I modelli sono molti e storicamente collaudati, da quello della voce gridata dai tetti a quello del lievito nella pasta che sembrerebbe più opportuno nelle nostre attuali congiunture. Mi sta bene, ma la discussione è aperta com’è giusto che sia. Purtroppo, però, molti pensatori alla moda, oggi, stanno rimettendo in discussione il concetto stesso di missione, quale elemento essenziale della Catholica, preferendo dei “preziosismi” teologici che ne diluiscono o annullano il senso. Dialogo è il classico escamotage verbale che cela una precisa idea di ristrutturazione del concetto. Dialogo non implica l’accettare o il respingere qualcosa. Mentre la missione è sempre performativa, come diceva Benedetto XVI, ovvero richiede una risposta da parte del destinatario, di accoglienza o di rifiuto. Lo ha ricordato Papa Francesco proprio nell’angelus di domenica scorsa. Bergoglio ha detto che la missione è “annuncio e testimonianza; e che richiede anche la franchezza e la libertà evangelica di andarsene evidenziando la responsabilità di aver respinto il messaggio della salvezza, ma senza condanne e maledizioni”.Questo breve ma fondamentale passaggio, che include anche i limiti dell’azione ecclesiale, il suo fermarsi davanti al rifiuto, potrebbe essere utile per impostare una riflessione molto più feconda di quelle che si sentono in giro.