venerdì 21 giugno 2019

“Magnificat”, la poesia giovanile di Karol Wojtyla con quel misterioso presentimento

“Esalta, anima mia, la gloria del Signore, / Padre d’immensa poesia – così buono”. Nel 1939 un diciannovenne Karol Wojtyla, appena iscritto alla Facoltà di Filosofia di Cracovia e lontano dalla vocazione, componeva una poesia sconvolgente per la sua bellezza, e anche a suo modo “profetica”. Riletta oggi, infatti, ottant'anni esatti dopo, sembra la perfetta sintesi della sua spiritualità di Papa, con una goccia di inquietudine e con un presentimento che desta meraviglia.
C’è innanzitutto la devozione a Maria, nella quale il giovane "Lolek" si identifica a tal punto da fondere  la sua voce nel magnificat della Madre. Il canto della Vergine è rimodulato, arricchito, intriso dei colori astratti, metafisici, della sua terra natìa che, scrive, è seminata e arata da Dio. Usa delle immagini particolari per descrivere se stesso: si sente come un tiglio scolpito dall’Onnipotente, oppure un “giovane crinale roccioso dei Tatra”. Non nasconde di essere felice. Ama la vita: “La mia felicità – grande mistero – Ti esalti / perché hai dilatato il mio petto in un canto primordiale, /perché hai permesso al mio volto di tuffarsi nell’azzurro, / perché hai fatto piovere nelle mie corde la melodia / e in questa melodia Ti sei svelato in visione – attraverso il Cristo”. Confessa la propria fragilità quando parla del “combattimento dell’anima”, o dice di essere “un pubblicano ispirato”, un “angelo caduto”. Ma ciò che più mi ha colpito di questi versi, insieme al senso di libertà che trasmettono, è quell’accenno a un “silenzioso presagio”, detto e al tempo stesso taciuto, sul quale si possono fare tante congetture. Possibile che il giovane Karol sentisse di essere un “predestinato”? L’immagine del tronco intagliato da Dio alluderebbe a una missione particolare che sentiva dentro di sé, ad appena diciannove anni? Forse è così, e la cosa non mi stupirebbe per niente. Rimane comunque il fatto che questa poesia vibra non della spensieratezza di un diciannovenne, ma della maturità di un mistico, e ti fa gustare, realmente, le vette dello spirito.