domenica 24 marzo 2019

Papa Francesco su twitter. La strategia dell'esserci conviene davvero?

Le statistiche dicono che Francesco su twitter va alla grande e non conosce battute d'arresto. Il Papa ha nove account (in inglese, spagnolo, italiano, portoghese, francese, polacco, latino, tedesco e arabo), per un totale di 48 milioni di cosiddetti “followers”, gli utenti che hanno scelto di seguire i suoi tweet giornalieri.
Bene, anzi, benissimo. Poter leggere i pensieri quotidiani del papa sui nostri dispositivi portatili e condividerli sui social è un capitolo tutto nuovo e senz'altro fecondo della e-vangelizzazione 2.0 che stiamo vivendo, seppur da “neofiti”, da una decina di anni. Tuttavia in questo mio post vorrei segnalare un aspetto problematico e fortemente negativo della presenza di Papa Francesco su twitter che non trova mai la giusta attenzione da parte di analisti e commentatori. Si tratta dell'altra faccia della medaglia, quella dei moltissimi utenti che non si limitano a leggere o a mettere un like, ma a commentare i tweet di Sua Santità esprimendo giudizi ben che vada ironici, spesso violenti e dai toni accusatori. Per esempio, il tweet del Papa del 22 marzo che, citando San Francesco, ha invitato a ringraziare Dio per “sister water”, è stato commentato in lingua inglese da centinaia di utenti che non ne hanno capito il senso, usando sarcasmo ed espressioni demenziali. Addirittura qualcuno ha accusato il Papa di essere diventato pagano, altri hanno postato il classico LOL, altri ancora, professatisi ferventi cristiani, hanno invitato Bergoglio a dimettersi. I commenti in italiano sono stati diversi (complice il fatto che da noi il cantico di san Francesco è conosciuto praticamente da tutti) ma non meno stupidi e prevenuti, con beffardi motteggi da osteria (“fratello vino” il più gettonato). A parte il fatto che episodi di demenza collettiva sono pur troppo noti e analizzati dai media studies, a me preme rimarcare il fatto che tutti quei commenti – e sono centinaia e centinaia, spesso molto più offensivi di quelli che ho riportato qui per un minimo di conoscenza – possono essere letti negli account ufficiali di Papa Francesco. Ovviamente so bene che l'uso dei social comporta necessariamente un'esposizione mediatico/popolare con poche difese immunitarie, soprattutto per i grandi leader mondiali o i cosiddetti vip e influencer, ma mi chiedo: è così che il web deve essere e-vangelizzato? L'annuncio cristiano deve convivere pixel su pixel con la stupidità e l'ignoranza? Non rischiamo di banalizzarlo e di relativizzarlo? Di farne un martire alla berlina, sotto il tiro di chicchessia, buotempone e ateo incallito? E si sa che il vero, unico dogma della rete è proprio questo: “puoi essere chi ti pare, anche il Papa in persona, ma la tua opinione conterà sempre esattamente come la mia, qui non ci sono gerarchie”. Io non ho ricette (almeno per ora!) che siano in grado di risolvere questo problema. Chiudere gli account del Papa? No. Limitarli? Nemmeno. Ripensarli? Sì, ma come? Però un episodio del Nuovo Testamento secondo me può aiutare a farci riflettere. Quando San Paolo parlò all'areopago di Atene, usando un linguaggio che non era connaturale al vangelo, molti lo sbeffeggiarono e da quel momento l'Apostolo battè altre strade (ricordo un bellissimo commento di don Oreste Benzi proprio su questo “fallimento”). Stiamo attenti a non ripetere l'errore oggi nei nostri areopaghi virtuali.