lunedì 18 marzo 2019

L'ultima tentazione di Cristo

Leggere il vangelo è bello. Leggerli insieme o, come dicono gli esegeti, “sinotticamente”, cioè incolonnati e affiancati su una stessa pagina, è un'esperienza nuova che ho scoperto di recente e che consiglio a chi non l'abbia già fatto. Si possono scoprire nuovi significati e ci si accorge meglio delle peculiarità di ogni singolo evangelista. Prendiamo il racconto delle tentazioni di Gesù nel deserto, che è stato letto la prima domenica di Quaresima.
L'episodio è riportato da tutti e tre i sinottici ma in Marco è molto sommario (appena due versetti) mentre in Matteo e Luca si articola nei tre celebri inganni del diavolo verso Cristo. Tuttavia il confronto tra i due evangelisti mette in luce una differenza nella scansione delle tentazioni molto interessante. Infatti in Matteo abbiamo questa sequenza: 1) Tentazione della fame; 2) Messa alla prova di Dio; 3) I regni del mondo. In Luca invece, che verosimilmente ha scritto il suo vangelo dopo Matteo, c'è una piccola differenza. Comincia sì con l'invito del diavolo a trasformare le pietre in pane, ma lo fa seguire con la visione dei regni del mondo, per concludere con quello che in Matteo è il secondo scenario, l'inganno a buttarsi giù dal pinnacolo del Tempio, contando sulla protezione di Dio e degli angeli perché il suo piede non inciampi. Perché Luca lo mette alla fine? Il senso di questo spostamento lo si comprende leggendo l'aggiunta che è propria del terzo evangelista: “Dopo aver esaurito ogni specie di tentazione, il diavolo si allontanò da lui per ritornare al tempo fissato” (Lc 4,13). Luca intende dire che le tentazioni non erano finite, dovevano ripresentarsi “nel tempo fissato” e, cosa più sconvolgente, nella stessa maniera. Quando? Satana fa una nuova apparizione nel capitolo 22, versetto 3, nel quale si dice che entrò in Giuda Iscariota per spingerlo a tradire Gesù, e anche più avanti nel versetto 31, nel preannuncio della defezione di Pietro e dei Dodici. Ma l'allusione è anche e soprattutto al momento più difficile della vita di Gesù: quello della crocifissione. Ogni evangelista, non solo Luca, fa infatti, della croce, il punto culminante della sua particolare teologia di racconto e annuncio della fede. Anche in questo caso, una lettura sinottica della passione può rivelare particolari illuminanti, come un prisma che in ogni sua faccia mostra aspetti diversi di una stessa, traboccante Realtà, che in questo caso è il centro di tutta la storia, un evento di portata cosmica (talmente fondante che esso continua a dilatarsi ancora oggi nel nostro presente grazie alla liturgia eucaristica). Nello specifico, Luca rispetto agli altri due sinottici e a Giovanni insiste molto sulle beffe del popolo, dei soldati e di uno dei malfattori verso Gesù inchiodato e sofferente sulla croce, con l'invito a salvare se stesso, se, come dice, è veramente l'eletto di Dio. Allora capiamo che è proprio questa l'ultima tentazione che si è scatenata su Gesù, la stessa che si era materializzata al termine dei quaranta giorni nel deserto. Quella di scendere dalla croce, salvarsi dalla morte, chiamare a raccolta gli angeli perché il suo piede non si faccia neppure un graffio. Gli uomini sarebbero stati lasciati al loro destino già segnato. Ma Gesù, proprio nel segno apparentemente opaco della sua morte, ci ha dato il più grande motivo di riflessione. È infatti, lui, il Dio che per amore di ogni essere umano giunge a umiliarsi al massimo grado. “Non c'è amore più grande di questo”, dirà il vangelo di Giovanni. Non ci sono parole per descrivere la stupenda speranza che infonde.