mercoledì 14 novembre 2018

La riforma della Chiesa a partire dal “disordine”. Papa Francesco elogia la “confusione” dello Spirito. Ma, aggiunge, “bisogna anche mettere ordine”.

Due giorni fa, nella Messa della mattina a Santa Marta, Papa Francesco è tornato a parlare di uno dei temi forti del suo pontificato, quello della riforma della Chiesa. Il Papa ha cominciato la sua omelia come sempre a braccio facendo un parallelo tra la situazione della Chiesa nascente e quella attuale, entrambe segnate dal “disordine”. Questa espressione sembra in qualche modo suggerire una chiave di lettura in prima persona sullo status quaestionis del pontificato, giunto ormai al sesto anno tra non poche burrasche e difficoltà soprattutto a livello curiale, che tuttavia mai ne hanno appannato l’ottimismo di fondo, la guida dottrinale e la capacità di relazione con il mondo esterno.
A mio modo di vedere la definizione di una Chiesa “in disordine”, “in confusione” perché mossa dal vento dello Spirito (e quindi si tratta di un disordine che è salutare e benefico perché plasma e rinnova l’intero organismo) può essere considerata il vero punto di riferimento che Francesco si è dato per sintetizzare il suo ministero petrino. Un passaggio chiave è stato questo: “Sempre c’è confusione, la forza dello Spirito, disordine, e non dobbiamo spaventarci” – perché – “è un bel segno. Mai la Chiesa è nata tutta ordinata, tutto a posto, senza problemi, senza confusione, mai. Sempre è nata così”. Altro passaggio cruciale: “Questa confusione, questo disordine, va sistemato. È vero, perché le cose devono mettersi in ordine; pensiamo, per esempio, al primo Concilio di Gerusalemme: c’era la lotta fra i giudaizzanti e i non giudaizzanti … Pensiamo bene: fanno il Concilio e sistemano le cose”. Quindi, dopo il disordine vitale e in un certo senso normale della Ecclesia, è necessario anche sistemare i problemi che inevitabilmente nascono. E qui, il riferimento al primo concilio della storia, quello raccontato negli Atti, tra comunità cristiane più chiuse, che intendevano rimanere fedeli alle prescrizioni giudaiche e comunità invece più aperte, capeggiate da San Paolo, volte all’evangelizzazione dei gentili, suona di un’attualità sconcertante. Perché la storia di questo papato sembra essere proprio quella di un disordine salutare e, si spera, provvidenziale, tra due o più sensibilità in confronto. Vero, se gli scontri diventano troppo forti si rischia la divisione (ed è per questo che il mese di ottobre è stato dedicato per volontà di Bergoglio proprio alla preghiera per l’unità della Chiesa). Ma gli scontri teologici degli ultimi anni non devono sorprendere più di tanto. Il cardinale Newman li definiva “collisioni croniche” che fanno parte integrante di quel grande ossimoro, quella grande realtà divina-umana, che è la Unam Sanctam, in viaggio tra i flutti della storia, luna che riflette quel sole abbagliante che è Cristo. Papa Bergoglio ha ricordato il concilio di Gerusalemme per essere riuscito a mettere ordine. È il tentativo di dire che, prima o poi, anche nella nostra epoca si dovrà convocare un Vaticano III? Non lo sappiamo ovviamente, ma intanto lo stile sinodale di Francesco si è visto bene all’opera in questi anni. Inoltre, ha concluso il papa a Santa Marta, la riforma comincia anche con la figura del vescovo. “La definizione che San Paolo dà del vescovo è ‘amministratore di Dio’, non dei beni, del potere, delle cordate, no: di Dio. (…) Nella Chiesa non si può mettere ordine senza questo atteggiamento dei vescovi”. Sembra questo il compito a più stretto raggio, ma ugualmente fondamentale, che il Papa argentino si è prefisso in questo momento, soprattutto alla luce dei recenti j’accuse curiali (caso Viganò) molto poco edificanti.