domenica 4 marzo 2018

Il declino dell’idea di eternità


Come annunciare la fede oggi? Una risposta deve passare prima, necessariamente, per un’analisi dell’ora presente, che è così sfumata, contraddittoria, “liquida”. Se qualcuno mi dovesse chiedere “come definiresti la tua epoca, il tuo oggi, la tua quotidianità, quali sfide e possibilità intravedi per l’annuncio della fede cristiana?”, avrei le più grandi difficoltà a rispondere.
Capire il presente è arduo. È un po’ come fare lo storico nel momento stesso in cui la storia accade. La persona che scriverà centinaia di pagine sul nostro presente, avrà a disposizione documenti, eventi, personaggi che riuscirà a collegare e a mettere insieme, ma non senza difficoltà e non senza una buona dose di interpretazione personale, dovuta alla sua sensibilità e alle cose che crede e non crede, che reputa giuste o sbagliate. È stato sempre così. Ma farlo adesso è ancora più difficile, perché le cose sono terribilmente fluide e ambivalenti, il futuro si sta scrivendo in questo preciso istante e la sua direzione può essere al massimo intuita. Non abbiamo il dono della chiaroveggenza di Nostradamus. Eppure il compito, per quanto arduo, si impone al cristiano. Ce lo dice il concilio vaticano II, nella costituzione pastorale Gaudium et Spes, che così recita al celeberrimo numero 4. “È dovere permanente della Chiesa di scrutare i segni dei tempi e di interpretarli alla luce del Vangelo”. Osservazione e giudizio vanno insieme, non sono due fasi staccate. E il Vangelo deve essere la bussola, perché non si può correre il rischio di rovesciare l’affermazione nel suo contrario (interpretarlo alla luce dei criteri mondani, sarebbe un errore madornale che trasformerebbe la fede da lievito a poche briciole che cadono di tanto in tanto). Un suggerimento che mi sembra molto opportuno è venuto da fra Raniero Cantalamessa, predicatore della Casa Pontificia, su Voce Francescana, nuova rivista dei Cappuccini che ha ereditato il foglio missionario Pace e Bene, pubblicato dalla provincia Picena per ottant’anni. Cantalamessa sta riflettendo da alcuni mesi su quali siano gli scogli che impediscono alla Chiesa, oggi, di annunciare Gesù Cristo. E nell’ultimo numero ha parlato del declino dell’idea di eternità, riprendendo un discorso già espresso anni fa per gli esercizi quaresimali in Vaticano. “La caduta dell’orizzonte dell’eternità – scrive – ha sulla fede cristiana l’effetto che ha la sabbia gettata su una fiamma: la soffoca, la spegne. La fede nella vita eterna costituisce una delle condizioni di possibilità dell'evangelizzazione. 'Se avessimo speranza in Cristo soltanto in questa vita', esclama san Paolo, 'saremmo i più miserabili di tutti gli uomini' (1Cor 15,19)”. È interessantissima la riflessione che Cantalamessa fa sulla storia dell’idea di eternità, che non nasce insieme alla fede ebraica in YHWH, ma si afferma in maniera molto tarda, nell’epoca maccabaica. Fino ancora al periodo di Gesù, alcune correnti dell’ebraismo, come i sadducei, non credevano nella vita eterna. Dopo la morte, per loro, c’era solo lo sheol, una sorta di “ade”, una vita larvale e oscura. “Questo – nota il predicatore cappuccino – smentisce clamorosamente la tesi di coloro (Feuerbach, Marx, Freud) che spiegano la credenza in Dio con il desiderio di una ricompensa eterna, come proiezione nell’aldilà delle attese terrene deluse. Israele ha creduto in Dio molti secoli prima che in una ricompensa eterna nell’aldilà! Non è, dunque, il desiderio di una ricompensa eterna che ha prodotto la fede in Dio, ma è la fede in Dio che ha prodotto la credenza in una ricompensa ultraterrena”. Nel mondo antico greco-romano, dove il cristianesimo si sarebbe incuneato vittoriosamente, prevaleva l’idea che la vita vera terminasse con la morte (al massimo l’oltretomba appariva come un luogo in cui l’esistenza continuava come ombra e rimpianto del passato). Tale concezione era propria tanto delle masse quanto delle èlites. Lo prova l’imperatore Adriano con la sua famosa poesia: “Piccola anima smarrita e soave, compagna e ospite del corpo, ora t’appresti a scendere in luoghi incolori, ardui e spogli...”. Si capisce, osserva Cantalamessa, l’impatto che doveva avere il cristianesimo con il suo annuncio di una vita dopo la morte infinitamente più piena e gioiosa di quella terrena. Il problema nuovo è la drastica caduta di questa attesa. Il trend è iniziato con Hegel, il quale disse che “i cristiani sprecano in cielo le energie destinate alla terra”, ed è proseguito ovviamente con Marx, Nietzsche e tanti altri. L’aldilà è taciuto o tenuto nascosto. Tutta l’attesa oggi è concentrata sulla dimensione intramondana, non più nella forma di utopie statolatriche, classiste o nazionaliste, ma mettendo il soggetto al centro e solo con le sue "voglie", che spesso si traducono in consumismo e autorappresentazione sociale. Il desiderio naturale di vivere sempre e bene – conclude Cantalamessa – distorto, diventa frenesia di vivere al massimo e a tutti i costi. La sofferenza appare assurda. Questa analisi può essere un buon punto di partenza per orientare non solo l’annuncio della fede, ma anche il nostro vivere da cristiani nell'ora presente.