mercoledì 15 marzo 2017

Il punto sulla musica liturgica. A 50 anni dal documento post-conciliare Musica Sacram, il convegno AISC tira le somme.

Si è concluso con un concerto d’organo in memoria dei 500 anni della Riforma il convegno dell’Associazione Italiana Santa Cecilia sulla musica sacra, organizzato ad Assisi, presso la papale Basilica di Santa Maria degli Angeli, dal 6 al 9 marzo. Un appuntamento che, come da tradizione, offre  una serie di percorsi liturgico-musicali alle scholae cantorum convenute da tutta Italia e prevede relazioni dettagliate sullo stato della musica sacra nel Bel Paese. Quest’anno la kermesse è stata l’occasione per ricordare i 50 anni dell’istruzione che ha espresso il rinnovamento voluto dal concilio Vaticano II.
Il 5 marzo 1967 la Sacra Congregazione dei Riti pubblicava il documento Musicam sacram, nel quale venivano fissate le norme per una corretta interpretazione della Costituzione Sacrosanctum Concilium in riferimento all’aspetto musicale delle celebrazioni. Il testo era un piccolo capolavoro di aggiornamento nel solco della tradizione. Prevedeva spazi per le scholae e spazi per l’assemblea, spazi per il gregoriano e spazi per il canto popolare, momenti di musica strumentale e momenti di opportuno silenzio. Ne usciva una liturgia ammodernata con equilibrio, nella quale la partecipazione specificava l’attivazione e il maggiore coinvolgimento dell’assemblea, ma senza che ciò scadesse in un orizzontalismo piatto del culto. L’unico punto carente  era forse quello relativo agli strumenti ammessi in Chiesa. In quel caso l’istruzione suggeriva un principio generale ambiguo, che faceva leva sul concetto di musica profana (un concetto di per sé interpretabile). La poca incisività lasciò adito alle sperimentazioni e proprio a ridosso del documento sarebbe esploso il fenomeno delle Messe beat, soprattutto in Italia. A detta dei loro sostenitori, tra i quali vi erano liturgisti, sacerdoti e intellettuali cattolici, l’uso di chitarre, batterie e ritmi pop andava collocato, paradossalmente, proprio nel solco del Vaticano II, in continuità con il concetto tanto sbandierato di partecipazione attiva. In generale Musicam sacram fu applicata nello spirito, cioè nel nodo teologico di fondo (la partecipazione appunto), ma secondo visioni parziali e di comodo, mentre restò inascoltata nelle sue precise istruzioni. Lo ha ricordato ad Assisi mons. Tarcisio Cola, presidente dell’Associazione Italiana Santa Cecilia. “Se storicamente la Musicam sacram ha avuto poche ricadute pratiche – ha affermato Cola nella prolusione del 6 marzo – tuttavia il suo contenuto teologico è invece vitalmente attuale”. Segnalando le difficoltà della musica liturgica attuale, soprattutto in riferimento alla poca coerenza dei repertori usati nella celebrazione dei sacramenti, mons. Cola ha richiamato l’insegnamento di Benedetto XVI. Non si può parlare di liturgia senza parlare anche di musica, e se crolla il giusto concetto di liturgia, crolla anche la vera e bella musica liturgica. “Questo spiega – ha sottolineato mons. Cola – il motivo per cui la Chiesa, da sempre, ha vissuto il conflitto terra-cielo, musica e canto come profanità e sacralità”. Il presidente dell’AISC ha ricordato che la scelta dei brani e delle musiche dovrebbe rispondere a criteri strettamente liturgici, tali da permettere di entrare ancora più intimamente nel rito. E invece oggi “spesso il canto e il suono entrano senza rispetto del rito, della comunità che celebra”. Spesso, soprattutto nei matrimoni, prevalgono “brani o sottofondi di musica leggera, assemblee mute alla celebrazione, organisti specialisti da matrimonio che offrono un set completo di cantante e strumenti”. La tre giorni di Assisi ha accolto il discorso di Papa Francesco del 4 marzo sui cinquant’anni di Musicam sacram, nel quale è stato invocato un ritorno all’equilibrio: valorizazione del patrimonio del passato da una parte e modernità dall’altra.