A Castel Gandolfo, dove è in vacanza da qualche giorno, il
Papa Emerito Benedetto XVI è stato insignito il 4 luglio di due lauree honoris causa da parte di due atenei di
Cracovia, la Pontificia Università “Giovanni
Paolo II” e l’Accademia di Musica. A presentare i diplomi il cardinale Stanislaw
Dziwisz, storico segretario di Papa Wojtyla e attualmente suo successore sulla
cattedra vescovile di Cracovia. Ratzinger, apparso in buona forma, ha
presenziato a tutta la cerimonia e ha anche pronunciato una breve riflessione (“Parole
di Ringraziamento” stando alla definizione dell’ufficio stampa vaticano) incentrata
sulla musica sacra. Prima di ieri l’Emerito aveva rotto il silenzio soltanto
una volta quando, il 21 ottobre 2014, la Pontificia Università Urbaniana aveva
deciso di intitolargli l’aula magna dell’ateneo. Per l’occasione Ratzinger
inviò un testo sulle sfide dell’evangelizzazione, ricco di sfumature e analisi
molto stimolanti. Con questo secondo discorso pronunciato in pubblico è
cambiato il soggetto della dissertazione, ma non la profondità della prosa né
il pathos del ragionamento.
Ratzinger ha iniziato ricordando san Giovanni Paolo
II. “Senza di lui – ha detto – il mio cammino
spirituale e teologico non è neanche immaginabile”. Lo ha quindi
indicato come modello da seguire per la piena attuazione delle direttive
musicali del Concilio Vaticano II, che com’è noto esortano a conservare il
patrimonio del passato ma anche a favorire la participatio actuosa dei fedeli. Su questo punto la “lectio
magistralis” è entrata subito nel vivo. “Quel che
nella Costituzione sta ancora pacificamente insieme, successivamente, nella
recezione del Concilio, è stato sovente in un rapporto di drammatica tensione.
Ambienti significativi del Movimento liturgico ritenevano che, per le grandi
opere corali e financo per le messe per orchestra, in futuro ci sarebbe stato
spazio solo nelle sale da concerto, non nella liturgia. Qui ci sarebbe potuto
esser posto solo per il canto e la preghiera comune dei fedeli. D’altra parte
c’era sgomento per l’impoverimento culturale della Chiesa che da questo sarebbe
necessariamente scaturito. In che modo conciliare le due cose? Come attuare il
Concilio nella sua interezza?”. Si tratta di un tema che
Ratzinger ha affrontato innumerevoli volte e di cui si può trovare riscontro in
molti suoi articoli sparsi di teologia, anche lontani nel tempo (in uno del
1974 è già chiaramente accennato il tema della “lotta”) Nel mio libro Cantate
al Signore! Chiesa e musica dal Gregoriano alla Messa Beat, ho preso spunto proprio da questo problema di fondo per sviluppare una
storia della musica sacra vista da una prospettiva originale e per l’appunto “ratzingeriana”.
Ma questo discorso ha una novità. Ratzinger non si sofferma solo sulla “tensione”
tra pragmatisti della partecipazione attiva e custodi della grande tradizione
(un problema che viviamo ogni giorno sulla nostra pelle liturgicamente e
musicalmente parlando) ma accenna anche alle scaturigini della musica (l’incontro
con l’amore, la tristezza, e la fede) e soprattutto torna su un punto
fondamentale dei suoi discorsi recenti. E cioè di come la musica europea sia il
risultato di un fondamentale prodotto della creatività umana nutrita dalla fede
in Dio. “Vorrei esprimere un pensiero che negli ultimi tempi mi ha preso
sempre più, tanto più quanto le diverse culture e religioni entrano in
relazione fra loro. Nell’ambito delle diverse culture e religioni è presente
una grande letteratura, una grande architettura, una grande pittura e grandi
sculture. E ovunque c’è anche la musica. E tuttavia in nessun’altro ambito
culturale c’è una musica di grandezza pari a quella nata nell’ambito della fede
cristiana: da Palestrina a Bach, a Händel, sino a Mozart, Beethoven e Bruckner.
La musica occidentale è qualcosa di unico, che non ha eguali nelle altre
culture. E questo, mi sembra, ci deve far pensare.” Lo stesso
argomento lo toccò nel corso di un Convegno sulla musica sacra nel 1985, quando
descrisse la musica europea dal gregoriano a Bruckner come una sintesi ineguagliabile
di “spirito, intuizione e suono”. “Certo – ha
spiegato nel discorso di Castel Gandolfo – la musica occidentale supera di
molto l’ambito religioso ed ecclesiale. E tuttavia essa trova comunque la sua
origine più profonda nella liturgia nell’incontro con Dio. In Bach, per il
quale la gloria di Dio rappresenta ultimamente il fine di tutta la musica,
questo è del tutto evidente. La risposta grande e pura della musica occidentale
si è sviluppata nell’incontro con quel Dio che, nella liturgia, si rende
presente a noi in Cristo Gesù. Quella musica, per me, è una dimostrazione della
verità del cristianesimo. Laddove si sviluppa una risposta così, è avvenuto un
incontro con la verità, con il vero creatore del mondo. Per questo la grande
musica sacra è una realtà di rango teologico e di significato permanente per la
fede dell’intera cristianità”. E tuttavia la novità di questo discorso
sta nell’indicare il modello Wojtyla (le sue liturgie globalizzate, inculturate
ma anche solenni e rispettose della tradizione) come riuscito punto di
equilibrio tra le ricordate opposte esigenze conciliari. “Se pensiamo alla liturgia celebrata da san Giovanni Paolo
II in ogni continente, vediamo tutta l’ampiezza delle possibilità espressive
della fede nell’evento liturgico; e vediamo anche come la grande musica della
tradizione occidentale non sia estranea alla liturgia, ma sia nata e cresciuta
da essa e in questo modo contribuisca sempre di nuovo a darle forma”.
Il finale del discorso suona come un auspicio: “Il
grande dono della musica che proviene dalla tradizione della fede cristiana
resti vivo e sia di aiuto perché la forza creativa della fede anche in futuro
non si estingua”.