domenica 5 luglio 2015

“Come conciliare participatio actuosa e musica solenne?”. Il Papa Emerito Benedetto XVI pronuncia un discorso memorabile sulla musica sacra

A Castel Gandolfo, dove è in vacanza da qualche giorno, il Papa Emerito Benedetto XVI è stato insignito il 4 luglio di due lauree honoris causa da parte di due atenei di Cracovia, la Pontificia Università “Giovanni Paolo II” e l’Accademia di Musica. A presentare i diplomi il cardinale Stanislaw Dziwisz, storico segretario di Papa Wojtyla e attualmente suo successore sulla cattedra vescovile di Cracovia. Ratzinger, apparso in buona forma, ha presenziato a tutta la cerimonia e ha anche pronunciato una breve riflessione (“Parole di Ringraziamento” stando alla definizione dell’ufficio stampa vaticano) incentrata sulla musica sacra. Prima di ieri l’Emerito aveva rotto il silenzio soltanto una volta quando, il 21 ottobre 2014, la Pontificia Università Urbaniana aveva deciso di intitolargli l’aula magna dell’ateneo. Per l’occasione Ratzinger inviò un testo sulle sfide dell’evangelizzazione, ricco di sfumature e analisi molto stimolanti. Con questo secondo discorso pronunciato in pubblico è cambiato il soggetto della dissertazione, ma non la profondità della prosa né il pathos del ragionamento.
Ratzinger ha iniziato ricordando san Giovanni Paolo II. “Senza di lui – ha detto – il mio cammino spirituale e teologico non è neanche immaginabile”. Lo ha quindi indicato come modello da seguire per la piena attuazione delle direttive musicali del Concilio Vaticano II, che com’è noto esortano a conservare il patrimonio del passato ma anche a favorire la participatio actuosa dei fedeli. Su questo punto la “lectio magistralis” è entrata subito nel vivo. “Quel che nella Costituzione sta ancora pacificamente insieme, successivamente, nella recezione del Concilio, è stato sovente in un rapporto di drammatica tensione. Ambienti significativi del Movimento liturgico ritenevano che, per le grandi opere corali e financo per le messe per orchestra, in futuro ci sarebbe stato spazio solo nelle sale da concerto, non nella liturgia. Qui ci sarebbe potuto esser posto solo per il canto e la preghiera comune dei fedeli. D’altra parte c’era sgomento per l’impoverimento culturale della Chiesa che da questo sarebbe necessariamente scaturito. In che modo conciliare le due cose? Come attuare il Concilio nella sua interezza?”. Si tratta di un tema che Ratzinger ha affrontato innumerevoli volte e di cui si può trovare riscontro in molti suoi articoli sparsi di teologia, anche lontani nel tempo (in uno del 1974 è già chiaramente accennato il tema della “lotta”) Nel mio libro Cantate al Signore! Chiesa e musica dal Gregoriano alla Messa Beat, ho preso spunto proprio da questo problema di fondo per sviluppare una storia della musica sacra vista da una prospettiva originale e per l’appunto “ratzingeriana”. Ma questo discorso ha una novità. Ratzinger non si sofferma solo sulla “tensione” tra pragmatisti della partecipazione attiva e custodi della grande tradizione (un problema che viviamo ogni giorno sulla nostra pelle liturgicamente e musicalmente parlando) ma accenna anche alle scaturigini della musica (l’incontro con l’amore, la tristezza, e la fede) e soprattutto torna su un punto fondamentale dei suoi discorsi recenti. E cioè di come la musica europea sia il risultato di un fondamentale prodotto della creatività umana nutrita dalla fede in Dio. “Vorrei esprimere  un pensiero che negli ultimi tempi mi ha preso sempre più, tanto più quanto le diverse culture e religioni entrano in relazione fra loro. Nell’ambito delle diverse culture e religioni è presente una grande letteratura, una grande architettura, una grande pittura e grandi sculture. E ovunque c’è anche la musica. E tuttavia in nessun’altro ambito culturale c’è una musica di grandezza pari a quella nata nell’ambito della fede cristiana: da Palestrina a Bach, a Händel, sino a Mozart, Beethoven e Bruckner. La musica occidentale è qualcosa di unico, che non ha eguali nelle altre culture. E questo, mi sembra, ci deve far pensare.” Lo stesso argomento lo toccò nel corso di un Convegno sulla musica sacra nel 1985, quando descrisse la musica europea dal gregoriano a Bruckner come una sintesi ineguagliabile di “spirito, intuizione e suono”. “Certo – ha spiegato nel discorso di Castel Gandolfo – la musica occidentale supera di molto l’ambito religioso ed ecclesiale. E tuttavia essa trova comunque la sua origine più profonda nella liturgia nell’incontro con Dio. In Bach, per il quale la gloria di Dio rappresenta ultimamente il fine di tutta la musica, questo è del tutto evidente. La risposta grande e pura della musica occidentale si è sviluppata nell’incontro con quel Dio che, nella liturgia, si rende presente a noi in Cristo Gesù. Quella musica, per me, è una dimostrazione della verità del cristianesimo. Laddove si sviluppa una risposta così, è avvenuto un incontro con la verità, con il vero creatore del mondo. Per questo la grande musica sacra è una realtà di rango teologico e di significato permanente per la fede dell’intera cristianità”. E tuttavia la novità di questo discorso sta nell’indicare il modello Wojtyla (le sue liturgie globalizzate, inculturate ma anche solenni e rispettose della tradizione) come riuscito punto di equilibrio tra le ricordate opposte esigenze conciliari. “Se pensiamo alla liturgia celebrata da san Giovanni Paolo II in ogni continente, vediamo tutta l’ampiezza delle possibilità espressive della fede nell’evento liturgico; e vediamo anche come la grande musica della tradizione occidentale non sia estranea alla liturgia, ma sia nata e cresciuta da essa e in questo modo contribuisca sempre di nuovo a darle forma”. Il finale del discorso suona come un auspicio: “Il grande dono della musica che proviene dalla tradizione della fede cristiana resti vivo e sia di aiuto perché la forza creativa della fede anche in futuro non si estingua”.