lunedì 8 luglio 2013

La Lumen Fidei, un pieno di fede

L’enciclica pubblicata il 29 giugno è l’ultimo tassello della “trilogia” sulle virtù teologali iniziata nel Natale 2005 da Benedetto XVI ma è anche la prima “uscita” solenne di Francesco (che l’ha definita scherzosamente “a quattro mani”). Non è la prima volta che un pontefice si appropria delle carte inedite appartenute al suo predecessore (ad esempio lo stesso Ratzinger utilizzò diverse bozze di Giovanni Paolo II per le Udienze del Mercoledì). 
La novità è data dalla coabitazione di due Papi, uno regnante e l’altro emerito, entro le mura della città leonina e quindi dal particolare rilievo che questo atto assume agli occhi dell’opinione pubblica. L’enciclica appena pubblicata parla da sé. Scegliendo di incorporare in un documento così importante tutto il materiale ratzingeriano dell’Anno della Fede, Papa Francesco ha dato un segnale inequivocabile di continuità. Dal momento che la lettera è stata descritta con un lessico musicale, mi piace pensarla anche come a una “toccata e fuga” di Bach. Benedetto “inventa” il tema di fondo e Francesco tesse il contrappunto e lo porta al finale. Scrive infatti il neoeletto pontefice in apertura: “Queste considerazioni sulla fede – in continuità con tutto quello che il Magistero della Chiesa ha pronunciato circa questa virtù teologale – intendono aggiungersi a quanto Benedetto XVI ha scritto nelle lettere encicliche sulla carità e sulla speranza. Egli aveva già quasi completato una prima stesura di lettera enciclica sulla fede. Gliene sono profondamente grato e, nella fraternità di Cristo, assumo il suo prezioso lavoro, aggiungendo al testo alcuni ulteriori contributi”. È interessante che in nota vengano citati il Catechismo della Chiesa promulgato da Giovanni Paolo II, la Dei Verbum del Vaticano II e addirittura la Dei Filius del Vaticano I, quasi a rivendicare esplicitamente la sostanziale continuità del magistero da almeno 150 anni a questa parte! La Lumen Fidei è un’enciclica superlativa che spazia con grande agilità e spessore dalla patristica ai pensatori di ogni epoca (Nietzsche, Dante, Rousseau, Wittgenstein, Eliot, Dostoevskij, Newman, Guardini). I primi tre capitoli, quelli più teologici, tratteggiano la fede come una luce che “procede dal passato” e che “viene dal futuro”, proietta i sui fasci dall’incarnazione alla gloria di Cristo risorto. Abramo è descritto come colui che si fida della Parola di Dio, “quanto di più sicuro e di incrollabile possa esistere”. L’idolatria di Israele un politeismo “senza meta”. Mosè, un mediatore che insegna a “camminare unito” e uscire da una “concezione limitata e individualista della conoscenza”. Pagine profondissime sono dedicate all’amore e alla “verità grande” che fonda la vita personale e sociale (“la fede conosce in quanto è legata all’amore”; “chi ama capisce che l’amore è esperienza di verità”). Un’espressione di Sant’Agostino, “parola che rispende all’interno dell’uomo”, è usata per riconciliare udito e vista, due “organi di conoscenza della fede” a partire dalla “Persona concreta di Gesù, che si vede e si ascolta”, preludio a un terzo capitolo dedicato ai sacramenti, al battesimo dei bambini, alla famiglia stabile tra uomo e donna, alla preghiera e al Decalogo (“indicazioni concrete per uscire dal deserto dell’‘io’ autoreferenziale”). Infine un capitolo conclusivo di impronta sociale, in cui si afferma che “la fede non allontana dal mondo e non risulta estranea all’impegno concreto dei nostri contemporanei”. Prima della splendida preghiera a Maria, il documento ammonisce: “Se togliamo la fede in Dio dalle nostre città, si affievolirà la fiducia tra di noi, ci terremo uniti soltanto per paura, e la stabilità sarebbe minacciata”; “non facciamoci rubare la speranza”. D’estate viene voglia di fare un pieno di benzina e partire per chissà dove. Ma poi leggi la Lumen Fidei e ti accorgi che un pieno di fede vale molto di più...