L’enciclica pubblicata il 29
giugno è l’ultimo tassello della “trilogia” sulle virtù teologali iniziata nel
Natale 2005 da Benedetto XVI ma è anche la prima “uscita” solenne di Francesco
(che l’ha definita scherzosamente “a quattro mani”). Non è la prima volta che
un pontefice si appropria delle carte inedite appartenute al suo predecessore
(ad esempio lo stesso Ratzinger utilizzò diverse bozze di Giovanni Paolo II per
le Udienze del Mercoledì).
La novità è data dalla coabitazione di due Papi, uno
regnante e l’altro emerito, entro le mura della città leonina e quindi dal
particolare rilievo che questo atto assume agli occhi dell’opinione pubblica. L’enciclica
appena pubblicata parla da sé. Scegliendo di incorporare in un documento così
importante tutto il materiale ratzingeriano dell’Anno della Fede, Papa
Francesco ha dato un segnale inequivocabile di continuità. Dal momento che la
lettera è stata descritta con un lessico musicale, mi piace pensarla anche come
a una “toccata e fuga” di Bach. Benedetto “inventa” il tema di fondo e
Francesco tesse il contrappunto e lo porta al finale. Scrive infatti il
neoeletto pontefice in apertura: “Queste considerazioni sulla fede – in
continuità con tutto quello che il Magistero della Chiesa ha pronunciato circa
questa virtù teologale – intendono aggiungersi a quanto Benedetto XVI ha
scritto nelle lettere encicliche sulla carità e sulla speranza. Egli aveva già
quasi completato una prima stesura di lettera enciclica sulla fede. Gliene sono
profondamente grato e, nella fraternità di Cristo, assumo il suo prezioso
lavoro, aggiungendo al testo alcuni ulteriori contributi”. È interessante che
in nota vengano citati il
Catechismo
della Chiesa promulgato da Giovanni Paolo II, la
Dei Verbum del Vaticano II e addirittura la
Dei Filius del Vaticano I, quasi a rivendicare esplicitamente la
sostanziale continuità del magistero da almeno 150 anni a questa parte! La
Lumen Fidei è un’enciclica superlativa
che spazia con grande agilità e spessore dalla patristica ai pensatori di ogni
epoca (Nietzsche, Dante, Rousseau, Wittgenstein, Eliot, Dostoevskij, Newman,
Guardini). I primi tre capitoli, quelli più teologici, tratteggiano la fede
come una luce che “procede dal passato” e che “viene dal futuro”, proietta i
sui fasci dall’incarnazione alla gloria di Cristo risorto. Abramo è descritto
come colui che si fida della Parola di Dio, “quanto di più sicuro e di
incrollabile possa esistere”. L’idolatria di Israele un politeismo “senza
meta”. Mosè, un mediatore che insegna a “camminare unito” e uscire da una
“concezione limitata e individualista della conoscenza”. Pagine profondissime
sono dedicate all’amore e alla “verità grande” che fonda la vita personale e
sociale (“la fede conosce in quanto è legata all’amore”; “chi ama capisce che
l’amore è esperienza di verità”). Un’espressione di Sant’Agostino, “parola che
rispende all’interno dell’uomo”, è usata per riconciliare udito e vista, due
“organi di conoscenza della fede” a partire dalla “Persona concreta di Gesù,
che si vede e si ascolta”, preludio a un terzo capitolo dedicato ai sacramenti,
al battesimo dei bambini, alla famiglia stabile tra uomo e donna, alla
preghiera e al Decalogo (“indicazioni concrete per uscire dal deserto dell’‘io’
autoreferenziale”). Infine un capitolo conclusivo di impronta sociale, in cui
si afferma che “la fede non allontana dal mondo e non risulta estranea
all’impegno concreto dei nostri contemporanei”. Prima della splendida preghiera
a Maria, il documento ammonisce: “Se togliamo la fede in Dio dalle nostre
città, si affievolirà la fiducia tra di noi, ci terremo uniti soltanto per
paura, e la stabilità sarebbe minacciata”; “non facciamoci rubare la speranza”.
D’estate viene voglia di fare un pieno di benzina e partire per chissà dove. Ma
poi leggi la
Lumen Fidei e ti accorgi
che un pieno di fede vale molto di più...