giovedì 28 febbraio 2013

Finisce il pontificato, resta la lezione di fede di Benedetto XVI. Tra continuità e innovazione

Curioso destino, le dimissioni dell’11 febbraio hanno acceso i riflettori su una figura desiderosa di solitudine con Dio – un “monte” mistico di cui Benedetto XVI ha parlato nell’ultimo angelus. Il suo addio nell’udienza del mercoledì è stato commovente, ma Joseph Ratzinger è rimasto quello di sempre, essenziale, ritroso, ragionatore fino all’ultimo. Tra poche ore questo pontificato si concluderà e vogliamo ricordarlo nei suoi punti salienti, in quei giorni di “brezza” fruttuosa e anche di “vento contrario”, comunque sempre pieni di Cristo, unico Capo della Chiesa, Signore della storia. Benedetto XI si affacciò sorridente alla loggia centrale di San Pietro il 19 aprile 2005,  dopo un conclave molto breve di soli due giorni. 


Settantottenne, si presentò – chi non lo ricorda – come un “umile lavoratore nella vigna del Signore”. Parole misurate ma affascinanti che segnarono tutto lo stile del pontificato, restio agli applausi e alla scena pubblica. In Vaticano dal 1981 come Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, il cardinale Ratzinger era stato il principale collaboratore di Papa Wojtyla in materia dogmatica (suo l'affronto risolutivo alla teologia della liberazione che era permeata anche in settori dell'episcopato latinoamericano).  L'eredità del Papa polacco, smisurata secondo molti, avrebbe schiacciato il suo successore. E invece non è stato così.  Già ai funerali del 9 aprile dimostrò di saper dominare perfettamente le masse lasciando correre un applauso interminabile nel colonnato del Bernini. Una volta eletto alla cathedra Petri ha cercato di istituzionalizzare il carismatico pontificato del predecessore. Ha derogato dalle leggi canoniche invitando i postulatori a far “presto e bene” per la beatificazione di Giovanni Paolo II, cosa che è avvenuta il primo maggio 2011 come risposta al “Santo subito” della piazza (trovando quindi un punto di equilibrio tra la base e la punta della piramide ecclesiastica). Il primo raffronto che si è imposto all'attenzione è stata la GMG di Colonia nell'estate 2005, indetta dallo stesso Wojtyla. Benedetto XVI ha dimostrato una personale rilettura dell'evento mettendo da parte la gestualità che non gli era congeniale e arricchendo le veglie di preghiera con suggestive adorazioni eucaristiche che hanno lasciato il segno. La sua pastorale giovanile si è dimostrata, in altre occasioni, incredibilmente sensibile e soprattutto dialogata, non semplicemente catechetica. Sul fronte interreligioso, dove altrettanto impegnativa era l’eredità,  ha proseguito l'opera del predecessore con particolare sensibilità per l'oriente (patriarcato ortodosso di Costantinopoli) indicendo anche un sinodo speciale per frenare l’emorragia di cristiani in fuga dalle guerre. Ha ottenuto anche un rientro insperato di alcuni anglicani nella Chiesa romana. In Turchia ha tollerato alcuni indirizzi poco cordiali da parte dei leader religiosi ed è entrato nella Moschea Blu a piedi scalzi, destando impressione in tutto il mondo. Con l'ebraismo ha mantenuto rapporti fraterni nonostante le vuote polemiche su Pio XII che hanno oscurato la sua visita alla sinagoga di Roma. Inoltre ha confermato l'incontro di Assisi ma calibrando meglio la funzione della “preghiera comune” per la pace (mentre ha ripreso in tutta la sua forza profetica l'atto penitenziale di Giovanni Paolo II per le colpe dei cristiani nella storia). Sulla scia di Papa Wojtyla Benedetto XVI è stato profondamente europeista a cominciare dal discorso di Ratisbona del 2006, vero cuore del suo magistero e messaggio profetico per il Vecchio Continente, divenuto relativista e incapace di accogliere ragione e fede in una sintesi dinamica e creatrice di libertà (anche per questo è stato  boicottato dai fondamentalisti religiosi non meno che dagli intellettuali liberal). I numerosi incontri con il mondo della cultura hanno rivelato il suo forte interesse per la discussione accademica e il confronto intellettuale (anche per questo temuto dai bigotti universitari della Sapienza di Roma e comunque detestato dai “filosofi” moderni a corto di idee). Conseguenza innovatrice di questa particolare opzione del pontificato è stata il “cortile dei gentili”. Rispetto alle tre encicliche sociali di Giovanni Paolo II ha pubblicato tre encicliche “pre-sociali” per così dire (Deus Caritas Est, Spe Salvi, Caritas In Veritate) lasciando l'analisi storica più sullo sfondo e centralizzando l’Amore di Dio come costruttore di storia e di rapporti sociali autentici (in aperta sfida alle ideologie umanitarie naufragate nel Novecento e al materialismo unidimensionale di oggi). Dura è stata la reprimenda al capitalismo del XXI secolo sempre più asettico e mercificante, al quale ha opposto un correttivo strutturale, l'amore come gratuità che va oltre il mercato. Particolare attenzione ha rivolto all'Africa con due viaggi internazionali e un sinodo speciale, nel quale ha duramente condannato la globalizzazione “tossica” e disumanizzante che l'occidente tecnicista senz'anima propina indiscriminatamente alle altre culture mondiali. In politica “estera” Benedetto XVI è stato prudente, ha cercato stabilizzazione di rapporti con la Cina senza dimenticare il Tibet occupato, conciliando interessi ecclesiali e universalismo. Ha adottato inoltre una politica di distensione con gli USA dopo le fibrillazioni della guerra irachena. I rapporti con la politica italiana sono sembrati meno eclatanti e votati ad una maggiore discrezione rispetto al passato, anche in conseguenza della nomina del card. Bagnasco a Presidente della Cei. Durante il governo Prodi si è comunque opposto seccamente ai Pacs. Il suo richiamo ai valori “non negoziabili” va letto come un nucleo da salvaguardare in caso di attacchi frontali. Ricchissima la sua riflessione sulla Chiesa, a cominciare dalle denunce inflessibili sul marcio che ne deturpa il volto. Nonostante lo scandalo pedofilia abbia fatto sussultare parecchi episcopati locali, ha tenuto la barra dritta con una politica della chiarezza sorprendente anche per lo stesso apparato papale. Dovunque è andato (Cipro, USA, Australia, etc.) Benedetto XVI ha denunciato con forza le colpe del clero, adottando anche misure conseguenti nella giurisprudenza canonica. È da rilevare poi  l'“ermeneutica della continuità”, cornice teorica con la quale ha offerto una visione meno traumatica del Vaticano II e anche tentativo pratico di superare sterili progressismi o conservatorismi ormai polverosi e ingombranti. Ha dato prova di una visione molto avanzata dei problemi che colpiscono la Chiesa moderna con il motu proprio Summorum Pontificum del 2007, volto a riagganciare la tradizione del vecchio messale in latino con le innovazioni conciliari, chiedendo un mutuo arricchimento dei riti. Il suo stile liturgico è stato altresì un banco di prova e un'opera innovatrice da non sottovalutare. Papa Ratzinger ci ha abituato a celebrazioni che non hanno la pesantezza del passato e nemmeno lo sperimentalismo esasperato di certo postconcilio. Nelle sue Messe a San Pietro ha recuperato il canto gregoriano e l'organo a canne, prima alquanto sottotono. Ha anche introdotto una modifica “chirurgica” all'altare papale, facendo mettere una croce al centro (che a volte “impalla” anche le inquadrature televisive e distoglie il primo piano del Papa) per sottolineare la centralità di Cristo nella liturgia e marcando così le distanze da alcune derive clericocentriche. I tempi, le azioni sono sembrati molto telegenici e pervasivi (anche il silenzio prolungato dopo l'omelia ha restituito un maggiore senso del sacro). Del resto, lo stesso Papa che ha sistematicamente fuggito gli applausi non ha potuto evitarne uno immenso, lunghissimo, nell'ultima Messa del mercoledì delle Ceneri dopo l'annuncio delle dimissioni. Benedetto XVI è stato ad aspettare, pazientemente, ma vedendo che non passava ha preso il microfono e con quella sua autorità così schiva, e con il solito self-control, ha detto: “Grazie, torniamo alla preghiera”. Il senso del pontificato sta tutto in queste poche parole che sanno di una fede profonda e matura e di una libertà che viene da Cristo.