Il viaggio di Giovanni Paolo II a
Cuba, anticipato dalla visita in Vaticano di Fidel Castro nel 1996, ebbe
finalità spirituali e pastorali nonostante la controversa posizione geopolitica
del regime e i tentativi di strumentalizzazione da parte dei media. All’aeroporto
José Martí di La Habana il Papa si presentò
come un “pellegrino dell'amore, della
verità e della speranza” desideroso di incontrare e incoraggiare i cristiani e
tutti gli abitanti di Cuba.
I temi
fondamentali del Magistero, già anticipati in questo primo discorso, furono tre: Il Papa ricordò i cinque secoli di
cristianesimo nell’Isola e dunque la sua influenza sulla vita e la cultura
degli abitanti; rimarcò le restrizioni subite dalla Chiesa rivendicando il
diritto alla piena libertà religiosa quale presupposto necessario per il
progresso sociale; infine coniò una frase (che rimase celebre) per la
distensione nei rapporti internazionali: “Possa
Cuba aprirsi con tutte le sue magnifiche possibilità al mondo e possa il mondo
aprirsi a Cuba”[i].
Nei successivi atti e discorsi ufficiali il Papa avrebbe ulteriormente
coniugato e bilanciato due esigenze fondamentali: alleviare l’isolamento economico-culturale
della nazione (l’embargo economico in vigore dagli anni Sessanta) e al tempo
stesso suscitare un ripensamento dell’ideologia ufficiale di Stato, in un clima
di fattiva cooperazione con i cristiani e le altre forze vive della società in
nome di principi etici illuminanti.
Inoltre il Papa,
durante il viaggio, espresse la propria vicinanza alle famiglie degli esuli e
chiese sensibilità alle istituzioni verso i detenuti politici[ii].
1. “Tornate alle
radici cubane e cristiane”
A sorpresa
Giovanni Paolo II dedicò importanti passaggi del suo Magistero alle guerre di
indipendenza di fine Ottocento, mettendole in relazione con la plurisecolare
tradizione cristiana di Cuba e bypassando, per così dire, la mitologia di Stato
(e anche l’immaginario occidentale) sulla rivoluzione di Castro e Che Guevara
del 1959. A
favorirlo in questa lettura storica fu la devozione popolare verso la Virgen de la Caridad del Cobre, Patrona
della Nazione (che incoronò solennemente e per la quale compose anche
un’apposita supplica recitata il 24 gennaio).
“Amati fedeli – affermò –, non dimenticate mai i grandi
eventi legati alla vostra Regina e Madre. Con il baldacchino dell'altare
maggiore, Céspedes confezionò la bandiera cubana ed andò a prostrarsi ai piedi
della Vergine prima di iniziare la lotta per la libertà. I coraggiosi soldati
cubani, i mambises, portavano sul petto la medaglia e la ‘misura’ della sua
immagine benedetta. Il primo atto di Cuba libera ebbe luogo nel 1898 quando le
truppe del Generale Calixto García si prostrarono ai piedi della ‘Virgen de la Caridad’ in una solenne
messa per la ‘Dichiarazione mambisa d'Indipendenza del popolo cubano’.”[iii].
Due
padri della Patria come Félix Varela e José
Martí furono ugualmente citati non solo per gli ideali di giustizia e libertà
ma anche per le loro “ virtù umane, di matrice cristiana”[iv]. Il
Papa disse che “Cuba possiede un'anima cristiana”[v] e in
un’altra occasione parlò della Chiesa come la vera Madre dei cubani: “Poco più di cinque secoli fa la Croce di Cristo venne
piantata in queste terre belle e feconde, in modo che la sua luce, che splende
in mezzo alle tenebre, facesse sì che la fede cattolica e apostolica si
radicasse in esse. Infatti, questa fede fa realmente parte dell'identità e
della cultura cubane. Questo spinge molti cittadini a riconoscere la Chiesa come propria Madre,
la quale, partendo dalla sua missione spirituale e attraverso il messaggio
evangelico e la sua dottrina sociale, promuove lo sviluppo integrale delle persone
e la convivenza umana, basata sui principi etici e sugli autentici valori
morali”[vi].
Si
spiega così il suo forte appello a tornare “alle
radici cubane e cristiane”[vii], cioè
ad una simbiosi di cultura e fede che già nel passato ha favorito la vocazione all’incontro
(“un'eredità meticcia e cristiana”[viii]) dell’Isola
e la sua aspirazione agli ideali civici e religiosi.
2. “La Chiesa non ricerca alcuna forma di potere
politico ma vuole essere germe fecondo di bene comune”
Il Papa chiese
ripetutamente che venisse assicurata nel Paese la piena libertà religiosa.
Questa richiesta, senza dubbio la priorità della sua agenda, era animata dal
presupposto che “tutti gli uomini e tutti i
popoli – spiegò – si vedranno arricchiti nella propria dimensione spirituale nella
misura in cui la libertà religiosa sarà riconosciuta e praticata”[ix]. “La Chiesa, immersa nella società – spiegò ancora –, non ricerca
alcuna forma di potere politico per compiere la sua missione, ma vuole essere
germe fecondo di bene comune con la sua presenza nelle strutture sociali. Mira
in primo luogo alla persona umana e alla comunità nella quale vive, sapendo che
la sua prima via è l'uomo concreto con i suoi bisogni e con le sue aspirazioni”[x].
Questa
prospettiva comportava un salto di qualità nei rapporti Stato-Chiesa. Da una
parte veniva chiesto un atteggiamento lealmente collaborativo allo Stato (che aveva
invece impedito la vita ordinaria della Chiesa e reso asfissiante il controllo
su ogni sua attività, compreso l’accesso ai mezzi di comunicazione); dall’altra
gli stessi cristiani erano chiamati anch’essi ad un salto di qualità, una nuova
e vigorosa testimonianza di fede.
La
Chiesa del
terzo millennio, rinnovata dal Grande Giubileo del 2000 (anche questo tema
leitmotivico del Magistero[xi])
sarebbe stata più docile all’azione dello Spirito, corale e comprensiva di
tutti i carismi nella testimonianza del Vangelo, coraggiosa nell’esercitare un
ruolo critico e al tempo stesso assertivo contro la corruzione, l’ingiustizia e
la povertà[xii],
lievito in una società dispersa a causa del relativismo morale[xiii].
Essa avrebbe inoltre collaborato nel settore dell’educazione, considerato
cruciale per la formazione delle nuove generazioni, ed in quello assistenziale.
Non ultimo, la Chiesa
cattolica si sarebbe impegnata in un dialogo costruttivo con le altre
confessioni cristiane per “la piena unità dei discepoli di Cristo”[xiv].
La
Chiesa cubana
nel suo insieme (laici, seminaristi, sacerdoti e religiosi) venne incontrata
nella Cattedrale di La Habana
il 25 gennaio 1998, poco dopo un incontro speciale con i Vescovi. In tutto
Giovanni Paolo II visitò 4 delle 11 diocesi del Paese.
3. “Vi porto
un messaggio d'amore e di solidarietà”, “non si tratta né di un'ideologia né di
un sistema economico o politico nuovo, bensì di un cammino di pace, giustizia e
libertà autentiche”
Un aspetto
interessante del Magistero è che il termine “comunismo” non venne mai adottato
nei testi ufficiali (in un caso venne usato il parziale sinonimo “secolarismo
estremo”, mentre il marxismo fu reso con l’espressione “sistema ideologico ed
economico che ha enfatizzato lo scontro come metodo”). La parola “democrazia”,
a sua volta, venne pronunciata una sola volta a proposito di padre Félix Varela. Questo dato evidenzia la
sensibilità linguistica di Giovanni Paolo II. Che non arrivò mai a una critica
aperta (anche se fu inflessibile sulle conseguenze etiche di un sistema
ateististico, soprattutto sulle giovani generazioni[xv]) ma propose
un percorso di riforma “graduale” (aggettivo questo che tornò diverse volte).
Se nell’omelia a Piazza José Martí
ricordò che “uno Stato moderno non può
fare dell'ateismo”[xvi] il
suo programma politico, nel
discorso all’Aula Magna dell’università di La Habana sostenne che “nell'efficacia dei semi della verità, nell'opportunità
che i cambiamenti verso le grandi e autentiche riforme avvengano con la dovuta
gradualità” sta la forza del
vero progresso[xvii].
Del resto fattori come la crescita economica o la rappresentatività politica
vennero sentiti come una parte del problema. “La
risposta – affermò – non va cercata unicamente nelle strutture, negli strumenti
e nelle istituzioni, nel sistema politico o negli embarghi economici, che sono
sempre da condannare in quanto lesivi nei confronti di chi è più nel bisogno.
Queste cause sono solo parte della risposta, ma non giungono al nocciolo del
problema”[xviii].
Se
dunque vi fu un sentito coinvolgimento e una compartecipazione sui problemi
sociali più scottanti (la domanda di futuro dei giovani, l’immiserimento della
popolazione a causa dell’embargo) non mancò uno stile profetico, cioè una
visione che andava oltre la stretta analisi politica e si faceva carico di un
bisogno spirituale e di forti contenuti etici. Questo aspetto, anzi, fu il vero
cuore del Magistero di Giovanni Paolo II. Si trattò innanzitutto di una
riaffermazione delle verità etiche fondamentali su: famiglia, dignità della
donna, educazione dei giovani, trasmissione della vita all’interno del
matrimonio[xix]
e condanna dell’aborto, definito “atto criminale”[xx].
Inoltre il Papa, se da una parte criticò le negative conseguenza etiche del
comunismo di Stato a Cuba[xxi], al
tempo stesso espresse forti perplessità sui modelli capitalistici occidentali
in cui “l'essere umano diviene allora un
semplice consumatore, con un senso della libertà molto individualistico e
riduttivo”. “Nessuno di questi modelli
socio-politici – aggiungeva – favorisce un clima di apertura alla trascendenza
da parte della persona che cerca Dio liberamente”[xxii].
Al centro del suo messaggio pose quindi un forte appello alla
conversione del cuore, l’incontro personale con Gesù “unica via”[xxiii] e
con le “membra vive del suo Corpo mistico che è la Chiesa”[xxiv]. Non
dunque un’ideologia né un “un sistema economico o
politico nuovo”, ma “un cammino di pace, giustizia e libertà autentiche”[xxv]
radicate in Cristo. L’invito ad “aprire il vostro cuore a Cristo” fu quindi il
centro della sua predicazione. “Lasciate
che Egli – proclamò – entri nella vostra vita, nelle vostre famiglie, nella
società, affinché in questo modo tutto venga rinnovato. La Chiesa ripete questo
appello, convocando tutti, senza eccezioni: persone, famiglie, popoli, affinché
seguendo fedelmente Gesù Cristo incontrino il senso pieno della loro vita, si
pongano al servizio dei loro simili, trasformino i rapporti familiari,
lavorativi e sociali, il che andrà sempre più a beneficio della Patria e della
società”[xxvi]
[i] Cerimonia di Benvenuto, Aeroporto Internazionale «José Martí» di La Habana, 21 gennaio 1998, n.
5
[ii] Incontro con i malati,
Santuario di San Lazzaro a La
Habana,, 24 gennaio 1998, n. 3
[iii] S. Messa, Santiago de
Cuba, 24 gennaio 1998, n. 5
[iv] Discorso all'Università di La Habana, 23 gennaio 1998,
n. 6
[v] S. Messa, Piazza «José Martí» di La Habana, 25 gennaio 1998, n.
7
[vi] Discorso ai Vescovi, 25
gennaio 1998, n. 2
[vii] Messaggio ai Giovani di
Cuba, 23 gennaio 1998, n. 4
[viii] Discorso all'Università di La Habana, 23 gennaio 1998,
n. 6
[ix] Discorso ai Vescovi, 25
gennaio 1998, n. 3
[x] S. Messa, Santiago de
Cuba, 24 gennaio 1998, n. 4
[xi] Cfr.: Angelus, 25 gennaio 1998, n. 2; Discorso ai Vescovi,
25 gennaio 1998, n. 6
[xii] Cfr.: S. Messa, Piazza «José Martí» di La Habana, 25 gennaio 1998, n.
5; S. Messa, Santiago de Cuba, 24 gennaio 1998, n. 4
[xiii] Cfr. Discorso ai Vescovi,
25 gennaio 1998; S. Messa, Plaza
Ignacio Agramonte di Camagüey, 23 gennaio 1998, n. 3
[xiv] Incontro con i
Rappresentanti di altre Confessioni Religiose, Nunziatura a La Habana, 25 gennaio 1998, n.
2
[xv] Incontro nella Cattedrale
Metropolitana, 25 gennaio 1998, n. 3
[xvi] S. Messa, Piazza «José Martí» di La Habana, 25 gennaio 1998, n.
4
[xvii] Discorso all'Università di La Habana, 23 gennaio 1998,
n. 4
[xviii] Messaggio ai Giovani
di Cuba, 23 gennaio 1998, n. 2
[xix] Cfr.: S. Messa all’Istituto Superiore di Cultura Fisica «Manoel
Fajardo» di Santa Clara, 22 gennaio 1998; Discorso ai Vescovi, 25
gennaio 1998
[xx] Discorso ai Vescovi, 25
gennaio 1998, n. 5
[xxi] Cfr. S. Messa, Plaza Ignacio Agramonte di Camagüey, 23
gennaio 1998
[xxii] Discorso ai Vescovi, 25
gennaio 1998, n. 4
[xxiii] S. Messa, Plaza Ignacio Agramonte di Camagüey, 23
gennaio 1998, n. 3
[xxiv] S. Messa, Plaza Ignacio Agramonte di Camagüey, 23
gennaio 1998, n. 2
[xxv] S. Messa, Piazza «José Martí» di La Habana, 25 gennaio 1998, n.
3
[xxvi] Cerimonia di Benvenuto,
Aeroporto Internazionale «José Martí»
di La Habana,
21 gennaio 1998, n. 4; Cfr. anche S. Messa, Plaza Ignacio Agramonte di Camagüey, 23 gennaio 1998, n. 4