venerdì 9 marzo 2012

Ricordando Giovanni Paolo II a Cuba (servizio per Radio Vaticana)



Il viaggio di Giovanni Paolo II a Cuba, anticipato dalla visita in Vaticano di Fidel Castro nel 1996, ebbe finalità spirituali e pastorali nonostante la controversa posizione geopolitica del regime e i tentativi di strumentalizzazione da parte dei media. All’aeroporto José Martí di La Habana il Papa si presentò come un “pellegrino dell'amore, della verità e della speranza” desideroso di incontrare e incoraggiare i cristiani e tutti gli abitanti di Cuba.

 

I temi fondamentali del Magistero, già anticipati in questo primo discorso, furono tre: Il Papa ricordò i cinque secoli di cristianesimo nell’Isola e dunque la sua influenza sulla vita e la cultura degli abitanti; rimarcò le restrizioni subite dalla Chiesa rivendicando il diritto alla piena libertà religiosa quale presupposto necessario per il progresso sociale; infine coniò una frase (che rimase celebre) per la distensione nei rapporti internazionali: “Possa Cuba aprirsi con tutte le sue magnifiche possibilità al mondo e possa il mondo aprirsi a Cuba”[i]. Nei successivi atti e discorsi ufficiali il Papa avrebbe ulteriormente coniugato e bilanciato due esigenze fondamentali: alleviare l’isolamento economico-culturale della nazione (l’embargo economico in vigore dagli anni Sessanta) e al tempo stesso suscitare un ripensamento dell’ideologia ufficiale di Stato, in un clima di fattiva cooperazione con i cristiani e le altre forze vive della società in nome di principi etici illuminanti.

            Inoltre il Papa, durante il viaggio, espresse la propria vicinanza alle famiglie degli esuli e chiese sensibilità alle istituzioni verso i detenuti politici[ii].





1. “Tornate alle radici cubane e cristiane”



A sorpresa Giovanni Paolo II dedicò importanti passaggi del suo Magistero alle guerre di indipendenza di fine Ottocento, mettendole in relazione con la plurisecolare tradizione cristiana di Cuba e bypassando, per così dire, la mitologia di Stato (e anche l’immaginario occidentale) sulla rivoluzione di Castro e Che Guevara del 1959. A favorirlo in questa lettura storica fu la devozione popolare verso la Virgen de la Caridad del Cobre, Patrona della Nazione (che incoronò solennemente e per la quale compose anche un’apposita supplica recitata il 24 gennaio).

“Amati fedeli – affermò –, non dimenticate mai i grandi eventi legati alla vostra Regina e Madre. Con il baldacchino dell'altare maggiore, Céspedes confezionò la bandiera cubana ed andò a prostrarsi ai piedi della Vergine prima di iniziare la lotta per la libertà. I coraggiosi soldati cubani, i mambises, portavano sul petto la medaglia e la ‘misura’ della sua immagine benedetta. Il primo atto di Cuba libera ebbe luogo nel 1898 quando le truppe del Generale Calixto García si prostrarono ai piedi della ‘Virgen de la Caridad’ in una solenne messa per la ‘Dichiarazione mambisa d'Indipendenza del popolo cubano’.”[iii].

Due padri della Patria come Félix Varela e José Martí furono ugualmente citati non solo per gli ideali di giustizia e libertà ma anche per le loro “ virtù umane, di matrice cristiana”[iv]. Il Papa disse che “Cuba possiede un'anima cristiana”[v] e in un’altra occasione parlò della Chiesa come la vera Madre dei cubani: “Poco più di cinque secoli fa la Croce di Cristo venne piantata in queste terre belle e feconde, in modo che la sua luce, che splende in mezzo alle tenebre, facesse sì che la fede cattolica e apostolica si radicasse in esse. Infatti, questa fede fa realmente parte dell'identità e della cultura cubane. Questo spinge molti cittadini a riconoscere la Chiesa come propria Madre, la quale, partendo dalla sua missione spirituale e attraverso il messaggio evangelico e la sua dottrina sociale, promuove lo sviluppo integrale delle persone e la convivenza umana, basata sui principi etici e sugli autentici valori morali”[vi].

Si spiega così il suo forte appello a tornare “alle radici cubane e cristiane”[vii], cioè ad una simbiosi di cultura e fede che già nel passato ha favorito la vocazione all’incontro (“un'eredità meticcia e cristiana”[viii]) dell’Isola e la sua aspirazione agli ideali civici e religiosi.





2. “La Chiesa non ricerca alcuna forma di potere politico ma vuole essere germe fecondo di bene comune”



Il Papa chiese ripetutamente che venisse assicurata nel Paese la piena libertà religiosa. Questa richiesta, senza dubbio la priorità della sua agenda, era animata dal presupposto che “tutti gli uomini e tutti i popoli – spiegò – si vedranno arricchiti nella propria dimensione spirituale nella misura in cui la libertà religiosa sarà riconosciuta e praticata”[ix]. “La Chiesa, immersa nella società – spiegò ancora –, non ricerca alcuna forma di potere politico per compiere la sua missione, ma vuole essere germe fecondo di bene comune con la sua presenza nelle strutture sociali. Mira in primo luogo alla persona umana e alla comunità nella quale vive, sapendo che la sua prima via è l'uomo concreto con i suoi bisogni e con le sue aspirazioni”[x].

Questa prospettiva comportava un salto di qualità nei rapporti Stato-Chiesa. Da una parte veniva chiesto un atteggiamento lealmente collaborativo allo Stato (che aveva invece impedito la vita ordinaria della Chiesa e reso asfissiante il controllo su ogni sua attività, compreso l’accesso ai mezzi di comunicazione); dall’altra gli stessi cristiani erano chiamati anch’essi ad un salto di qualità, una nuova e vigorosa testimonianza di fede.

La Chiesa del terzo millennio, rinnovata dal Grande Giubileo del 2000 (anche questo tema leitmotivico del Magistero[xi]) sarebbe stata più docile all’azione dello Spirito, corale e comprensiva di tutti i carismi nella testimonianza del Vangelo, coraggiosa nell’esercitare un ruolo critico e al tempo stesso assertivo contro la corruzione, l’ingiustizia e la povertà[xii], lievito in una società dispersa a causa del relativismo morale[xiii]. Essa avrebbe inoltre collaborato nel settore dell’educazione, considerato cruciale per la formazione delle nuove generazioni, ed in quello assistenziale. Non ultimo, la Chiesa cattolica si sarebbe impegnata in un dialogo costruttivo con le altre confessioni cristiane per “la piena unità dei discepoli di Cristo”[xiv].

La Chiesa cubana nel suo insieme (laici, seminaristi, sacerdoti e religiosi) venne incontrata nella Cattedrale di La Habana il 25 gennaio 1998, poco dopo un incontro speciale con i Vescovi. In tutto Giovanni Paolo II visitò 4 delle 11 diocesi del Paese.





3. “Vi porto un messaggio d'amore e di solidarietà”, “non si tratta né di un'ideologia né di un sistema economico o politico nuovo, bensì di un cammino di pace, giustizia e libertà autentiche”



Un aspetto interessante del Magistero è che il termine “comunismo” non venne mai adottato nei testi ufficiali (in un caso venne usato il parziale sinonimo “secolarismo estremo”, mentre il marxismo fu reso con l’espressione “sistema ideologico ed economico che ha enfatizzato lo scontro come metodo”). La parola “democrazia”, a sua volta, venne pronunciata una sola volta a proposito di padre Félix Varela. Questo dato evidenzia la sensibilità linguistica di Giovanni Paolo II. Che non arrivò mai a una critica aperta (anche se fu inflessibile sulle conseguenze etiche di un sistema ateististico, soprattutto sulle giovani generazioni[xv]) ma propose un percorso di riforma “graduale” (aggettivo questo che tornò diverse volte). Se nell’omelia a Piazza José Martí ricordò che “uno Stato moderno non può fare dell'ateismo”[xvi] il suo programma politico, nel discorso all’Aula Magna dell’università di La Habana sostenne che “nell'efficacia dei semi della verità, nell'opportunità che i cambiamenti verso le grandi e autentiche riforme avvengano con la dovuta gradualità” sta la forza del vero progresso[xvii]. Del resto fattori come la crescita economica o la rappresentatività politica vennero sentiti come una parte del problema. “La risposta – affermò – non va cercata unicamente nelle strutture, negli strumenti e nelle istituzioni, nel sistema politico o negli embarghi economici, che sono sempre da condannare in quanto lesivi nei confronti di chi è più nel bisogno. Queste cause sono solo parte della risposta, ma non giungono al nocciolo del problema”[xviii].

Se dunque vi fu un sentito coinvolgimento e una compartecipazione sui problemi sociali più scottanti (la domanda di futuro dei giovani, l’immiserimento della popolazione a causa dell’embargo) non mancò uno stile profetico, cioè una visione che andava oltre la stretta analisi politica e si faceva carico di un bisogno spirituale e di forti contenuti etici. Questo aspetto, anzi, fu il vero cuore del Magistero di Giovanni Paolo II. Si trattò innanzitutto di una riaffermazione delle verità etiche fondamentali su: famiglia, dignità della donna, educazione dei giovani, trasmissione della vita all’interno del matrimonio[xix] e condanna dell’aborto, definito “atto criminale”[xx]. Inoltre il Papa, se da una parte criticò le negative conseguenza etiche del comunismo di Stato a Cuba[xxi], al tempo stesso espresse forti perplessità sui modelli capitalistici occidentali in cui “l'essere umano diviene allora un semplice consumatore, con un senso della libertà molto individualistico e riduttivo”. “Nessuno di questi modelli socio-politici – aggiungeva – favorisce un clima di apertura alla trascendenza da parte della persona che cerca Dio liberamente”[xxii].
Al centro del suo messaggio pose quindi un forte appello alla conversione del cuore, l’incontro personale con Gesù “unica via”[xxiii] e con le “membra vive del suo Corpo mistico che è la Chiesa[xxiv]. Non dunque un’ideologia né un “un sistema economico o politico nuovo”, ma “un cammino di pace, giustizia e libertà autentiche[xxv] radicate in Cristo. L’invito ad “aprire il vostro cuore a Cristo” fu quindi il centro della sua predicazione. “Lasciate che Egli – proclamò – entri nella vostra vita, nelle vostre famiglie, nella società, affinché in questo modo tutto venga rinnovato. La Chiesa ripete questo appello, convocando tutti, senza eccezioni: persone, famiglie, popoli, affinché seguendo fedelmente Gesù Cristo incontrino il senso pieno della loro vita, si pongano al servizio dei loro simili, trasformino i rapporti familiari, lavorativi e sociali, il che andrà sempre più a beneficio della Patria e della società”[xxvi]
 


[i] Cerimonia di Benvenuto, Aeroporto Internazionale «José Martí» di La Habana, 21 gennaio 1998, n. 5
[ii] Incontro con i malati, Santuario di San Lazzaro a La Habana,, 24 gennaio 1998, n. 3
[iii] S. Messa, Santiago de Cuba, 24 gennaio 1998, n. 5
[iv] Discorso all'Università di La Habana, 23 gennaio 1998, n. 6
[v] S. Messa, Piazza «José Martí» di La Habana, 25 gennaio 1998, n. 7
[vi] Discorso ai Vescovi, 25 gennaio 1998, n. 2
[vii] Messaggio ai Giovani di Cuba, 23 gennaio 1998, n. 4
[viii] Discorso all'Università di La Habana, 23 gennaio 1998, n. 6
[ix] Discorso ai Vescovi, 25 gennaio 1998, n. 3
[x] S. Messa, Santiago de Cuba, 24 gennaio 1998, n. 4
[xi] Cfr.: Angelus, 25 gennaio 1998, n. 2; Discorso ai Vescovi, 25 gennaio 1998, n. 6
[xii] Cfr.: S. Messa, Piazza «José Martí» di La Habana, 25 gennaio 1998, n. 5; S. Messa, Santiago de Cuba, 24 gennaio 1998, n. 4
[xiii] Cfr. Discorso ai Vescovi, 25 gennaio 1998; S. Messa, Plaza Ignacio Agramonte di Camagüey, 23 gennaio 1998, n. 3
[xiv] Incontro con i Rappresentanti di altre Confessioni Religiose, Nunziatura a La Habana, 25 gennaio 1998, n. 2
[xv] Incontro nella Cattedrale Metropolitana, 25 gennaio 1998, n. 3
[xvi] S. Messa, Piazza «José Martí» di La Habana, 25 gennaio 1998, n. 4
[xvii] Discorso all'Università di La Habana, 23 gennaio 1998, n. 4
[xviii] Messaggio ai Giovani di Cuba, 23 gennaio 1998, n. 2
[xix] Cfr.: S. Messa all’Istituto Superiore di Cultura Fisica «Manoel Fajardo» di Santa Clara, 22 gennaio 1998; Discorso ai Vescovi, 25 gennaio 1998
[xx] Discorso ai Vescovi, 25 gennaio 1998, n. 5
[xxi] Cfr. S. Messa, Plaza Ignacio Agramonte di Camagüey, 23 gennaio 1998
[xxii] Discorso ai Vescovi, 25 gennaio 1998, n. 4
[xxiii] S. Messa, Plaza Ignacio Agramonte di Camagüey, 23 gennaio 1998, n. 3
[xxiv] S. Messa, Plaza Ignacio Agramonte di Camagüey, 23 gennaio 1998, n. 2
[xxv] S. Messa, Piazza «José Martí» di La Habana, 25 gennaio 1998, n. 3
[xxvi] Cerimonia di Benvenuto, Aeroporto Internazionale «José Martí» di La Habana, 21 gennaio 1998, n. 4; Cfr. anche S. Messa, Plaza Ignacio Agramonte di Camagüey, 23 gennaio 1998, n. 4