giovedì 27 ottobre 2011

Il metodo che porta alla pace



Il rapporto di Benedetto XVI con Assisi è stato in genere demistificato dagli osservatori delle cose vaticane. Per dimostrare una presunta difficoltà, da parte dell’allora Prefetto del Sant’Uffizio, nell’accostarsi intellettualmente al magistero assisano di Papa Wojtyla, si cita in genere il documento Dominus Jesus nel passo, linguisticamente infelice a mio avviso, in cui il dialogo con le religioni viene associato alla missio ad gentes tout court.

In realtà il cardinale Ratzinger fu sempre interessato alle potenzialità dischiuse dal primo summit di Assisi, pur nell’ansia di fornire la giusta cornice interpretativa dell’evento e di evitare un’impressione di sincretismo o intercambiabilità delle fedi. Questa preoccupazione è stata alla base delle scelte che guidarono il protocollo del primo incontro, nelle quali i delegati non pregavano assieme ma in luoghi separati. Scelte che sono state confermate in questa nuova Giornata, anche se il cerimoniale reso pubblico parla in maniera più estesa di un “tempo di silenzio, per la riflessione e/o la preghiera personali”, dimostrazione di sensibilità per come il “divino” viene vissuto dalle diverse tradizioni religiose (e non, come si era congetturato, di diffidenza o imbarazzo per la preghiera comune). Inoltre, in un libro pubblicato nel 2003, l’allora cardinale Ratzinger affrontava proprio l’argomento della preghiera multireligiosa, ravvisando in essa una serie di criticità ma anche avvertendo contro rifiuti in blocco e incondizionati. L’indizione di questa nuova Giornata conferma la continuità di fondo tra Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, con alcuni preziosi sviluppi che non fanno che ribadire tale contiguità. Nel motto dell’evento (“pellegrini della verità, pellegrini della pace”), troviamo la prima chiave di lettura di un incontro che è anche pellegrinaggio verso la verità e, in conseguenza di essa, verso la pace. Se andassimo a rileggere i discorsi papali di venticinque anni fa, troveremmo la stessa tensione per la dimensione del pellegrinaggio e per la ricerca della verità. Giovanni Paolo II evocò il pellegrinaggio ad Assisi non solo come itinerario geografico ma come tappa storica delle religioni mondiali e compì, a livello verbale, un vero e proprio crescendo di affermazioni sul “Potere che chiamiamo Dio, e che, come noi cristiani crediamo, ha rivelato se stesso in Cristo”, laddove il discorso a carattere panreligioso cedette progressivamente il posto alla confessione di fede cristiana, fatta in spirito di amore per la verità e di incontro con gli altri. Centrale fu anche la richiesta di perdono per le colpe commesse dai cristiani nel passato, atto che Benedetto XVI ha oggi ripetuto in tutta la sua intensità, spiazzando gli addetti ai lavori che, alla vigilia, avevano omesso un aspetto così cruciale. Ha dichiarato: “Come cristiano, vorrei dire a questo punto: sì, nella storia anche in nome della fede cristiana si è fatto ricorso alla violenza. Lo riconosciamo, pieni di vergogna. Ma è assolutamente chiaro che questo è stato un utilizzo abusivo della fede cristiana, in evidente contrasto con la sua vera natura”. Nel discorso il Papa sottolinea un tema che fa parte del suo Magistero fin dall’inizio del Pontificato: la necessaria dialettica tra fede e ragione, rappresentata nel simbolico invito di una esponente agnostica all’incontro. Assai emblematicamente il Papa definisce l’esperienza di coloro che sono in ricerca come “un richiamo per i credenti a purificare la propria fede”, non trascurando al tempo stesso l’importanza che hanno gli uomini di fede nella testimonianza della verità, proprio in incontri come quello di Assisi. Egli invita poi a riflettere sul nesso tra religione e terrorismo che oggi si pone, ribadendo con forza quanto fece Giovanni Paolo II, e cioè che tale nesso è estraneo ad ogni religione vissuta e cercata in spirito di verità. Assegna quindi al dialogo interreligioso il compito di approfondire questa riflessione (“Qui si colloca un compito fondamentale del dialogo interreligioso, un compito che da questo incontro deve essere nuovamente sottolineato”). Nei passaggi sulla “decadenza dell’uomo” dovuta alla totale dimenticanza di Dio, il Pontefice mette il dito nella piaga ed esprime il malessere profondo dell’Occidente a convivere con gli incubi della sua storia recente (i campi di sterminio di massa) e con gli spettri del presente (il desiderio degenerato di potere e felicità) che si configurano talvolta come una vera “contro-religione” da arginare.