Il rapporto di Benedetto XVI con Assisi è stato in genere
demistificato dagli osservatori delle cose vaticane. Per dimostrare una
presunta difficoltà, da parte dell’allora Prefetto del Sant’Uffizio,
nell’accostarsi intellettualmente al magistero assisano di Papa Wojtyla, si
cita in genere il documento Dominus Jesus
nel passo, linguisticamente infelice a mio avviso, in cui il dialogo con le
religioni viene associato alla missio
ad gentes tout court.
In realtà il
cardinale Ratzinger fu sempre interessato alle potenzialità dischiuse dal primo
summit di Assisi, pur nell’ansia di fornire la giusta cornice interpretativa
dell’evento e di evitare un’impressione di sincretismo o intercambiabilità
delle fedi. Questa preoccupazione è stata alla base delle scelte che guidarono
il protocollo del primo incontro, nelle quali i delegati non pregavano assieme
ma in luoghi separati. Scelte che sono state confermate in questa nuova Giornata,
anche se il cerimoniale reso pubblico parla in maniera più estesa di un “tempo
di silenzio, per la riflessione e/o la preghiera personali”, dimostrazione di
sensibilità per come il “divino” viene vissuto dalle diverse tradizioni
religiose (e non, come si era congetturato, di diffidenza o imbarazzo per la
preghiera comune). Inoltre, in un libro pubblicato nel 2003, l’allora cardinale
Ratzinger affrontava proprio l’argomento della preghiera multireligiosa, ravvisando
in essa una serie di criticità ma anche avvertendo contro rifiuti in blocco e
incondizionati. L’indizione di questa nuova Giornata conferma la continuità di
fondo tra Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, con alcuni preziosi sviluppi che non
fanno che ribadire tale contiguità. Nel motto dell’evento (“pellegrini della
verità, pellegrini della pace”), troviamo la prima chiave di lettura di un
incontro che è anche pellegrinaggio verso la verità e, in conseguenza di essa, verso
la pace. Se andassimo a rileggere i discorsi papali di venticinque anni fa,
troveremmo la stessa tensione per la dimensione del pellegrinaggio e per la
ricerca della verità. Giovanni Paolo II evocò il pellegrinaggio ad Assisi non
solo come itinerario geografico ma come tappa storica delle religioni mondiali
e compì, a livello verbale, un vero e proprio crescendo di affermazioni sul
“Potere che chiamiamo Dio, e che, come noi cristiani crediamo, ha rivelato se
stesso in Cristo”, laddove il discorso a carattere panreligioso cedette
progressivamente il posto alla confessione di fede cristiana, fatta in spirito
di amore per la verità e di incontro con gli altri. Centrale fu anche la
richiesta di perdono per le colpe commesse dai cristiani nel passato, atto che
Benedetto XVI ha oggi ripetuto in tutta la sua intensità, spiazzando gli
addetti ai lavori che, alla vigilia, avevano omesso un aspetto così cruciale. Ha
dichiarato: “Come cristiano, vorrei dire a questo punto: sì, nella storia anche
in nome della fede cristiana si è fatto ricorso alla violenza. Lo riconosciamo,
pieni di vergogna. Ma è assolutamente chiaro che questo è stato un utilizzo
abusivo della fede cristiana, in evidente contrasto con la sua vera natura”. Nel
discorso il Papa sottolinea un tema che fa parte del suo Magistero fin
dall’inizio del Pontificato: la necessaria dialettica tra fede e ragione,
rappresentata nel simbolico invito di una esponente agnostica all’incontro.
Assai emblematicamente il Papa definisce l’esperienza di coloro che sono in
ricerca come “un richiamo per i credenti a purificare la propria fede”, non
trascurando al tempo stesso l’importanza che hanno gli uomini di fede nella
testimonianza della verità, proprio in incontri come quello di Assisi. Egli invita
poi a riflettere sul nesso tra religione e terrorismo che oggi si pone,
ribadendo con forza quanto fece Giovanni Paolo II, e cioè che tale nesso è estraneo
ad ogni religione vissuta e cercata in spirito di verità. Assegna quindi al
dialogo interreligioso il compito di approfondire questa riflessione (“Qui si
colloca un compito fondamentale del dialogo interreligioso, un compito che da
questo incontro deve essere nuovamente sottolineato”). Nei passaggi sulla
“decadenza dell’uomo” dovuta alla totale dimenticanza di Dio, il Pontefice
mette il dito nella piaga ed esprime il malessere profondo dell’Occidente a
convivere con gli incubi della sua storia recente (i campi di sterminio di
massa) e con gli spettri del presente (il desiderio degenerato di potere e
felicità) che si configurano talvolta come una vera “contro-religione” da
arginare.