venerdì 17 giugno 2011

L'Anno Sacerdotale nel Magistero di Benedetto XVI (servizio per Radio Vaticana)



Dal 19 giugno 2009 all'11 giugno 2010 la Chiesa ha celebrato un Anno Sacerdotale per “promuovere – come si legge nella Lettera di Indizione firmata da Benedetto XVI – l'impegno d'interiore rinnovamento di tutti i sacerdoti per una loro più forte ed incisiva testimonianza evangelica nel mondo di oggi”. L'iniziativa ha inteso dare rilevanza, oltre che alla ricorrenza del Sacro Cuore di Gesù tradizionalmente dedicata alla preghiera per la santificazione del clero, ai 150 anni dalla morte di Giovanni Maria Vianney, proponendone lo zelo apostolico e la profonda vita spirituale come modello per i sacerdoti di oggi.

Nel documento il Papa ha ricordato innanzitutto i presbiteri che ogni giorno offrono la loro testimonianza al Vangelo, umilmente e con coraggio, soffrendo a volte incomprensioni e persecuzioni. Ha rilevato altresì le mancanze di coloro che si macchiano di infedeltà e divengono “motivo di scandalo e di rifiuto”. Quindi la Lettera si concentra sulla figura del Curato d'Ars, di cui viene sintetizzata la vita. Chiamato a servire in un villaggio di 230 abitanti e preavvertito dal Vescovo che avrebbe trovato una situazione religiosamente difficile, il sacerdote francese non si scoraggiò e riuscì ad attrarre sempre più fedeli, coinvolgendoli nelle numerose attività della parrocchia, dalla mistica contemplazione di Gesù Sacramento alle pratiche della confessione e della comunione, fino ad un generoso apostolato sociale. Benedetto XVI sottolinea il messaggio del Curato d'Ars nei suoi punti fondamentali: l'immedesimazione con Gesù e la visione del sacerdozio come strumento dell'azione salvifica di Cristo; la forte coerenza di una fede vissuta personalmente in povertà, castità e obbedienza; l'attenzione all'Eucaristia e alla Confessione; il coinvolgimento dei fedeli laici per la valorizzazione dei carismi individuali; l'accettazione dei propri limiti davanti alla grandezza del ministero sacerdotale; una sana mortificazione del corpo con digiuni e veglie e una ininterrotta vita spirituale animata dalla forte devozione all'Immacolata Concezione. Il Papa conclude il documento esortando i sacerdoti ad imitare gli stessi ideali e scrive: “Cari sacerdoti, Cristo conta su di voi. Sull’esempio del Santo Curato d’Ars, lasciatevi conquistare da Lui e sarete anche voi, nel mondo di oggi, messaggeri di speranza, di riconciliazione, di pace!”.

Vespri della Solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù. “Nel 'cuore a cuore' con Cristo la santità del sacerdozio”  
Nella celebrazione di apertura dell'Anno Sacerdotale, Benedetto XVI ha messo in evidenza il legame tra il cuore di Gesù e il sacerdozio partendo dall'espressione del Curato d'Ars: “Il sacerdozio è l'amore del Cuore di Gesù”. Il Papa ha sottolineato come, per la coerente testimonianza dei presbiteri, sia necessaria innanzitutto una “scienza dell'amore” che si apprende nel “cuore a cuore” con Cristo. “Solo così – ha continuato – saremo in grado di cooperare efficacemente al misterioso 'disegno del Padre' che consiste nel 'fare di Cristo il cuore del mondo'! Disegno che si realizza nella storia, man mano che Gesù diviene il Cuore dei cuori umani, iniziando da coloro che sono chiamati a stargli più vicini, i sacerdoti appunto”. Benedetto XVI ha quindi riaffermato che “nulla fa soffrire tanto la Chiesa, Corpo di Cristo, quanto i peccati dei suoi pastori, soprattutto di quelli che si tramutano in 'ladri delle pecore' (Gv 10, 1ss), o perché le deviano con le loro private dottrine, o perché le stringono con lacci di peccato e di morte? Anche per noi, cari sacerdoti, vale il richiamo alla conversione e al ricorso alla Divina Misericordia, e ugualmente dobbiamo rivolgere con umiltà l'accorata e incessante domanda al Cuore di Gesù perché ci preservi dal terribile rischio di danneggiare coloro che siamo tenuti a salvare”.

Le Catechesi del mercoledì sui tria munera del sacerdozio ordinato: munus docendi, munus sanctificandi, munus regendi. “Questi tre compiti del sacerdote - che la Tradizione ha identificato nelle diverse parole di missione del Signore: insegnare, santificare e governare - nella loro distinzione e nella loro profonda unità sono le tre azioni del Cristo risorto, lo stesso che oggi nella Chiesa e nel mondo insegna e così crea fede, riunisce il suo popolo, crea presenza della verità e costruisce realmente la comunione della Chiesa universale; e santifica e guida
Benedetto XVI ha dedicato le Udienze Generali del 14 aprile, 5 e 26 maggio 2010 ai tre uffici di insegnare (munus docendi), santificare (munus sanctificandi) e governare (munus regendi) propri del ministero sacerdotale.
            Il munus docendi, ha affermato il Papa, è comprensibile solo a partire dall'immedesimazione in persona Christi Capitis (nella persona di Cristo Capo) da parte del ministro sacro. “Il sacerdote che agisce in persona Christi Capitis e in rappresentanza del Signore – ha affermato –, non agisce mai in nome di un assente, ma nella Persona stessa di Cristo Risorto, che si rende presente con la sua azione realmente efficace. Agisce realmente e realizza ciò che il sacerdote non potrebbe fare: la consacrazione del vino e del pane perché siano realmente presenza del Signore, l’assoluzione dei peccati”. Di conseguenza anche le azioni della santificazione e del governo non sono che “le azioni del Cristo risorto”. Il Papa ha segnalato l'importanza dell'insegnamento nel contesto attuale di emergenza educativa. “Viviamo – ha detto – in una grande confusione circa le scelte fondamentali della nostra vita e gli interrogativi su che cosa sia il mondo, da dove viene, dove andiamo, che cosa dobbiamo fare per compiere il bene, come dobbiamo vivere, quali sono i valori realmente pertinenti. In relazione a tutto questo esistono tante filosofie contrastanti, che nascono e scompaiono, creando una confusione circa le decisioni fondamentali, come vivere, perché non sappiamo più, comunemente, da che cosa e per che cosa siamo fatti e dove andiamo”. Ha esortato quindi i sacerdoti a rendere presente la luce di Cristo con l'annunzio fedele del Vangelo, facendosi strumenti della Parola di Dio e testimoni della verità. Quella del sacerdote, ha aggiunto, “non di rado potrebbe sembrare 'voce di uno che grida nel deserto' (Mc 1,3), ma proprio in questo consiste la sua forza profetica: nel non essere mai omologato, né omologabile, ad alcuna cultura o mentalità dominante, ma nel mostrare l’unica novità capace di operare un autentico e profondo rinnovamento dell’uomo, cioè che Cristo è il Vivente, è il Dio vicino, il Dio che opera nella vita e per la vita del mondo e ci dona la verità, il modo di vivere”.
            Il compito di santificare una persona soprattutto mediante i Sacramenti e in particolare quello eucaristico significa, ha affermato il Papa, “metterla in contatto con Dio, con questo suo essere luce, verità, amore puro”. Il sacerdote, che è incaricato di questo incontro, non fa che rendere presente Cristo con i suoi gesti ed è chiamato egli stesso ad essere testimone credibile, pur rimanendo l'efficacia dell'atto sacramentale indipendente dal suo stato esistenziale. “Negli ultimi decenni – ha poi notato–, vi sono state tendenze orientate a far prevalere, nell’identità e nella missione del sacerdote, la dimensione dell’annuncio, staccandola da quella della santificazione; spesso si è affermato che sarebbe necessario superare una pastorale meramente sacramentale”. Questa visione tuttavia manca di una visione comprensiva dell'annuncio cristiano, in  quanto composto sia della Parola, sia dei Segni sacramentali. Ha aggiunto quindi che “è necessario riflettere se, in taluni casi, l’aver sottovalutato l’esercizio fedele del munus sanctificandi, non abbia forse rappresentato un indebolimento della stessa fede nell’efficacia salvifica dei Sacramenti e, in definitiva, nell’operare attuale di Cristo e del suo Spirito, attraverso la Chiesa, nel mondo”. Il Papa inoltre ha ribadito che nei sacramenti l'iniziativa è di Dio e il presbitero deve avere coscienza di essere sì necessario all'agire salvifico divino ma di rimanere pur sempre uno strumento. “Tale coscienza – ha proseguito – deve rendere umili e generosi nell’amministrazione dei Sacramenti, nel rispetto delle norme canoniche, ma anche nella profonda convinzione che la propria missione è far sì che tutti gli uomini, uniti a Cristo, possano offrirsi a Dio come ostia viva e santa a Lui gradita (cfr Rm 12,1)”. Al termine il Papa ha invitato a “tornare al confessionale” perché il fedele possa sperimentare la misericordia del Signore, trovare consiglio e conforto.  
            Nella catechesi sul munus regendi infine Benedetto XVI ha rilevato come il concetto di autorità sia oggi visto spesso con sospetto. Ma la Chiesa “è chiamata e si impegna ad esercitare questo tipo di autorità che è servizio, e la esercita non a titolo proprio, ma nel nome di Gesù Cristo, che dal Padre ha ricevuto ogni potere in Cielo e sulla terra (cfr Mt 28,18)”. Fondamento del compito di governare, affidato ai Vescovi e ai sacerdoti loro collaboratori, ha precisato, è la “la continua e progressiva disponibilità a lasciare che Cristo stesso governi l’esistenza sacerdotale dei presbiteri. Infatti, nessuno è realmente capace di pascere il gregge di Cristo, se non vive una profonda e reale obbedienza a Cristo e alla Chiesa, e la stessa docilità del Popolo ai suoi sacerdoti dipende dalla docilità dei sacerdoti verso Cristo; per questo alla base del ministero pastorale c’è sempre l’incontro personale e costante con il Signore, la conoscenza profonda di Lui, il conformare la propria volontà alla volontà di Cristo”. Il Papa ha poi chiarito il concetto di gerarchia, spesso avvertito come freddo e poco comunitario, in opposizione all'idea di comunione all'interno della Chiesa. “A molti l’idea di gerarchia appare in contrasto con la flessibilità e la vitalità del senso pastorale e anche contraria all’umiltà del Vangelo. Ma questo – ha spiegato – è un male inteso senso della gerarchia, storicamente anche causato da abusi di autorità e da carrierismo, che sono appunto abusi e non derivano dall’essere stesso della realtà 'gerarchia'.” L'essere parte di una sacra gerarchia, ha quindi chiarito Benedetto XVI, non implica rigidi diritti di subordinazione, ma un legame di obbedienza a Cristo, sancito dalla regula fidei e dal Credo della Chiesa. “Al di fuori di una visione chiaramente ed esplicitamente soprannaturale – ha aggiunto –, non è comprensibile il compito di governare proprio dei sacerdoti. Esso, invece, sostenuto dal vero amore per la salvezza di ciascun fedele, è particolarmente prezioso e necessario anche nel nostro tempo”. Il modo di governare di Gesù, ha concluso – “non è quello del dominio, ma è l’umile ed amoroso servizio della Lavanda dei piedi, e la regalità di Cristo sull’universo non è un trionfo terreno, ma trova il suo culmine sul legno della Croce”. 

Incontro con i Parroci della Diocesi di Roma. “Noi sacerdoti non possiamo ritirarci in un Elysium, ma siamo immersi nella passione di questo mondo e dobbiamo, con l’aiuto di Cristo e in comunione con Lui, cercare di trasformarlo, di portarlo verso Dio”
Il 18 febbraio 2010, per l’inizio della Quaresima, Benedetto XVI ha incontrato i parroci della Diocesi di Roma rivolgendo loro una lunga riflessione su alcuni passi della Lettera agli Ebrei (5, 1-10; 7, 26-28; 8, 1-2). “La Lettera agli Ebrei – ha detto il Papa commentando la lectio divina – presenta il tema del sacerdozio di Cristo, Cristo sacerdote, su tre livelli: il sacerdozio di Aronne, quello del Tempio; Melchisedek; e Cristo stesso, come il vero sacerdote”. Per quanto riguarda il primo livello, la lettera fa una prima affermazione: “Il sacerdote ha bisogno di un’autorizzazione, di un’istituzione divina e solo appartenendo alle due sfere – quella di Dio e quella dell’uomo – può essere mediatore, può essere ‘ponte’. Questa è la missione del sacerdote: combinare, collegare queste due realtà apparentemente così separate, cioè il mondo di Dio - lontano da noi, spesso sconosciuto all’uomo - e il nostro mondo umano. La missione del sacerdozio è di essere mediatore, ponte che collega, e così portare l’uomo a Dio, alla sua redenzione, alla sua vera luce, alla sua vera vita”. Questo presuppone che il presbitero deve comprendersi realmente come intermediario tra Dio e l’uomo e rendere operante tale comunione nella vita quotidiana, con la pratica del Breviario, della preghiera personale e della Santa Messa. “L’altro elemento – ha proseguito – è che il sacerdote deve essere uomo. Uomo in tutti i sensi, cioè deve vivere una vera umanità, un vero umanesimo; deve avere un’educazione, una formazione umana, delle virtù umane; deve sviluppare la sua intelligenza, la sua volontà, i suoi sentimenti, i suoi affetti; deve essere realmente uomo, uomo secondo la volontà del Creatore, del Redentore”. L’umanità del presbitero, ha aggiunto il Papa, si esprime soprattutto nella compassione con il soffrire degli altri e non è mai invece la fragilità del peccato, “perché il peccato non è mai solidarietà, ma è sempre desolidarizzazione, è un prendere la vita per me stesso, invece di donarla”. Quindi ha precisato che “noi sacerdoti non possiamo ritirarci in un Elysium, ma siamo immersi nella passione di questo mondo e dobbiamo, con l’aiuto di Cristo e in comunione con Lui, cercare di trasformarlo, di portarlo verso Dio”. Cristo stesso ha mostrato tale funzione del sacerdozio nel sacrificio della Croce, “assumendo in sé la sofferenza e la passione del mondo, trasformandola in grido verso Dio, portandola davanti agli occhi e nelle mani di Dio, e così portandola realmente al momento della Redenzione”. “La nostra ordinazione sacerdotale sacramentale – ha aggiunto – va realizzata e concretizzata esistenzialmente, ma anche in modo cristologico, proprio in questo portare il mondo con Cristo e a Cristo e, con Cristo, a Dio: così diventiamo realmente sacerdoti, teleiotheis. Quindi il sacerdozio non è una cosa per alcune ore, ma si realizza proprio nella vita pastorale, nelle sue sofferenze e nelle sue debolezze, nelle sue tristezze ed anche nelle gioie, naturalmente”. Infine, il Papa ha richiamato la “figura misteriosa” di Melchisedek, il sacerdote pagano, re di Salem (Gerusalemme), che porta pane e vino ad Abramo e che prefigura il sacrificio di Cristo. “Questo vuol dire – ha concluso – che Cristo è la novità assoluta di Dio e, nello stesso tempo, è presente in tutta la storia, attraverso la storia, e la storia va incontro a Cristo. E non solo la storia del popolo eletto, che è la vera preparazione voluta da Dio, nella quale si rivela il mistero di Cristo, ma anche dal paganesimo si prepara il mistero di Cristo, vi sono vie verso Cristo, il quale porta tutto in sé”.

S. Messa del Crisma: “Sacerdozio significa portare la misericordia di Dio agli uomini
Fra i riti della Settimana Santa la Messa del Crisma, dedicata alla consacrazione degli oli santi, comprende il rinnovo delle promesse sacerdotali. In quest’occasione Benedetto XVI ha sottolineato lo stretto legame tra il sacerdozio e l’olio: “La Messa crismale, in cui il segno sacramentale dell’olio ci viene presentato come linguaggio della creazione di Dio – ha affermato –, si rivolge, in modo particolare, a noi sacerdoti: essa ci parla di Cristo, che Dio ha unto Re e Sacerdote – di Lui che ci rende partecipi del suo sacerdozio, della sua ‘unzione’, nella nostra Ordinazione sacerdotale”. Quindi ha spiegato che nell’assonanza dei due termini greci “elaion” (olio) e “eleos” (misericordia) è possibile trovare una chiave di lettura del sacerdozio come “l’incarico di portare la misericordia di Dio agli uomini. Nella lampada della nostra vita – ha esortato – non dovrebbe mai venir a mancare l’olio della misericordia. Procuriamocelo sempre in tempo presso il Signore – nell’incontro con la sua Parola, nel ricevere i Sacramenti, nel trattenerci in preghiera presso di Lui”. Ha quindi aggiunto: “Nell’autodonazione sulla Croce, Cristo ha vinto la violenza. Come sacerdoti siamo chiamati ad essere, nella comunione con Gesù Cristo,  uomini di pace, siamo chiamati ad opporci alla violenza e a fidarci del potere più grande dell’amore”. Nell’olio i sacerdoti e i cristiani possono trovare anche un aiuto per la lotta contro le falsità e l’ingiustizia e uno stimolo a sopportare le sofferenze in Cristo grazie al dono dello Spirito Santo. “Egli – ha concluso – è l’olio di letizia. (…) Quali sacerdoti, noi siamo – come dice san Paolo – ‘collaboratori della vostra gioia’ (2 Cor 1,24). Nel frutto dell’ulivo, nell’olio consacrato, ci tocca la bontà del Creatore, l’amore del Redentore. Preghiamo che la sua letizia ci pervada sempre più in profondità e preghiamo di essere capaci di portarla nuovamente in un mondo che ha così urgentemente bisogno della gioia che scaturisce dalla verità”.

Solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù, S. Messa per la conclusione dell’Anno Sacerdotale. “Dio ritiene degli uomini capaci di agire e di essere presenti in vece sua – questa audacia di Dio è la cosa veramente grande che si nasconde nella parola ‘sacerdozio’
Nella S. Messa che ha concluso l’Anno Sacerdotale, celebrata in Piazza San Pietro davanti a migliaia di sacerdoti di tutto il mondo, Benedetto XVI ha richiamato ancora la figura del Curato d’Ars, “modello del ministero sacerdotale nel nostro mondo”. Ha quindi sottolineato l’importanza del sacerdozio non tanto come ufficio ma come sacramento: Il prete “fa qualcosa che nessun essere umano può fare da sé: pronuncia in nome di Cristo la parola dell’assoluzione dai nostri peccati e cambia così, a partire da Dio, la situazione della nostra vita. Pronuncia sulle offerte del pane e del vino le parole di ringraziamento di Cristo che sono parole di transustanziazione – parole che rendono presente Lui stesso, il Risorto, il suo Corpo e suo Sangue, e trasformano così gli elementi del mondo: parole che spalancano il mondo a Dio e lo congiungono a Lui. Il sacerdozio è quindi non semplicemente ‘ufficio’, ma sacramento: Dio si serve di un povero uomo al fine di essere, attraverso lui, presente per gli uomini e di agire in loro favore. Questa audacia di Dio, che ad esseri umani affida se stesso; che, pur conoscendo le nostre debolezze, ritiene degli uomini capaci di agire e di essere presenti in vece sua – questa audacia di Dio è la cosa veramente grande che si nasconde nella parola ‘sacerdozio’”. “Era da aspettarsi – ha proseguito – che al ‘nemico’ questo nuovo brillare del sacerdozio non sarebbe piaciuto; egli avrebbe preferito vederlo scomparire, perché in fin dei conti Dio fosse spinto fuori dal mondo. E così è successo che, proprio in questo anno di gioia per il sacramento del sacerdozio, siano venuti alla luce i peccati di sacerdoti – soprattutto l’abuso nei confronti dei piccoli, nel quale il sacerdozio come compito della premura di Dio a vantaggio dell’uomo viene volto nel suo contrario. Anche noi chiediamo insistentemente perdono a Dio ed alle persone coinvolte, mentre intendiamo promettere di voler fare tutto il possibile affinché un tale abuso non possa succedere mai più; promettere che nell’ammissione al ministero sacerdotale e nella formazione durante il cammino di preparazione ad esso faremo tutto ciò che possiamo per vagliare l’autenticità della vocazione e che vogliamo ancora di più accompagnare i sacerdoti nel loro cammino”. Il Papa ha quindi ribadito che l’Anno Sacerdotale, nonostante gli scandali venuti alla luce, non ha fallito nel suo intento di mostrare la gratuità del dono di Dio, “dono che si nasconde ‘in vasi di creta’”. Commentando le letture del giorno (il Salmo 23 e Ezechiele 34,11), ha spiagato che “Dio vuole che noi come sacerdoti, in un piccolo punto della storia, condividiamo le sue preoccupazioni per gli uomini. Come sacerdoti, vogliamo essere persone che, in comunione con la sua premura per gli uomini, ci prendiamo cura di loro, rendiamo a loro sperimentabile nel concreto questa premura di Dio”. “Come sacerdoti – ha aggiunto –, dobbiamo comunicare alla gente la gioia per il fatto che ci è stata indicata la via giusta della vita”. Portando la riflessione sul verso del salmo che recita “Il tuo bastone e il tuo vincastro mi danno sicurezza”, Benedetto XVI ha quindi affermato che “anche la Chiesa deve usare il bastone del pastore, il bastone col quale protegge la fede contro i falsificatori, contro gli orientamenti che sono, in realtà, disorientamenti” e contro “comportamenti indegni della vita sacerdotale”. Al tempo stesso, “il bastone deve sempre di nuovo diventare il vincastro del pastore – vincastro che aiuti gli uomini a poter camminare su sentieri difficili e a seguire il Signore”. Il Papa ha terminato la sua omelia con l’immagine del cuore di Gesù trafitto dalla lancia, da cui è sgorgato acqua e sangue, due sacramenti fondamentali, il Battesimo  e l’Eucaristia, concludendo: “Ogni cristiano e ogni sacerdote dovrebbero, a partire da Cristo, diventare sorgente che comunica vita agli altri. Noi dovremmo donare acqua della vita ad un mondo assetato”.