Le tre visite apostoliche di Giovanni Paolo II in Croazia furono contrassegnate da una speciale vicinanza alle popolazioni dell'ex Federazione Jugoslava, smembrata dalla sanguinosa guerra del 1990-'95. Si può anzi dire che esse rientrano in una più generale cura pastorale per gli Slavi della regione balcanica, testimoniata dalla visita più volte rimandata per motivi di sicurezza ed infine realizzata il 12-13 aprile 1997 a Sarajevo, città simbolo della pulizia etnica.
La pace fu la prima, fondamentale parola del Magistero di
Giovanni Paolo II. Egli non poté non esprimere, al suo primo arrivo sul suolo
croato, l'angoscia per la guerra: “Quanto sangue innocente è stato versato!
Quante lacrime hanno rigato il volto di mamme e bambini, di anziani e di
giovani!”. Si presentò quindi a tutti come un “inerme pellegrino del Vangelo di
Gesù, che è annuncio di amore, di concordia e di pace”[i].
Nel compito della pace Papa Wojtyla vedeva investita non solo l'autorità morale
connessa allo statuto della Santa Sede, ma anche la propria identità di slavo.
Infatti, sempre nella sua prima visita a Zagabria nel settembre 1994, ricordò
la tradizione secondo cui “i Croati sono venuti da Cracovia”, sottolineando “un
circolo chiuso”[ii]
voluto dalla Provvidenza nello scegliere quale pellegrino di pace in una terra
martoriata proprio un Papa dalle comuni origini. In un'altra circostanza citò i
versi del poeta croato Domjanic: “Qui tutti mi sono fratelli / mi sento proprio
a casa”[iii].
L'approccio al problema balcanico si caratterizzò per
un'opzione di fondo a favore dell'autodeterminazione dei popoli – opzione che
d'altra parte trovava il suo caso emblematico nello stesso precedente della
Polonia smarcatasi dal regime comunista. Tale principio venne formulato a
Zagabria l'11 settembre 1994 sulla scorta di un pronunciamento fondamentale di
Pio XII che egli ribadiva in questi termini: “Gli eventi di cui il Continente
europeo è stato teatro negli ultimi anni sottolineano con forza un dato
inequivocabile: fanno parte della vasta famiglia dei popoli - pensiamo
anzitutto a quelli europei - sia le Nazioni grandi che quelle piccole, e tutte
hanno il diritto all’esistenza”[iv].
Parallelamente metteva in guardia, in quello stesso primo viaggio, da
“esasperazioni e chiusure nazionalistiche”[v]
che avrebbero minato lo spirito di generosa tolleranza e di apertura
universalistica, di amicizia e collaborazione fra i popoli.
Strettamente connesso a questo indirizzo – che trovava
un'eco di continuità con il Magistero pontificio del Novecento – fu la condanna
netta e senza compromessi del comunismo. Questo venne definito come “la
tragedia provocata dal materialismo ateo”[vi],
il “sistema totalitario che per troppo tempo ha tentato di imporre una
ideologia contraria all’uomo e alla sua dignità”[vii].
Ideologia senza Dio e quindi disumana, il comunismo rappresentava un tragico
passato per l'offesa dei diritti umani fondamentali e, di riflesso, delle
legittime aspirazioni di popoli liberi. “Fondamento della civiltà umana,
cristiana, democratica, europea – affermò infatti il Pontefice –, sono i
diritti della persona umana e lo sono anche i diritti dei popoli”[viii].
Un importante risvolto di questo impianto di fondo (che assumeva
dati diplomatici e magisteriali consolidati per dotarli tuttavia di una nuova
carica propositiva nel contesto internazionale) fu il ruolo di sintesi e di
promozione che le religioni vennero chiamate a giocare per la riconciliazione
dei popoli balcanici – espressione di quella sensibilità per il dialogo
interreligioso maturata con gli incontri di Assi. Giovanni Paolo II offriva
così al processo di pace un argomento eccezionale per liberare il credo
religioso dalle gabbie identitarie che avevano fatto da detonatore della crisi
jugoslava, presentando le diverse confessioni cristiane e lo stesso Islam come
elementi di stabilità piuttosto che di instabilità, come vettori di reciproca
apertura e sensibilità al bene comune.
Emblematiche in tal senso le parole pronunciate
nell'Omelia dell'11 settembre 1994
a Zagabria: “Per secoli – affermò davanti alla folla
riunita nell'Ippodromo cittadino – i popoli di queste regioni si sono
reciprocamente accettati, sviluppando molteplici scambi nell’ambito dell’arte,
della lingua, della scrittura, della cultura popolare. E non è forse una
ricchezza comune anche la tradizione di tolleranza religiosa che, nell’arco di
quasi un millennio, non è venuta meno neppure nei periodi più oscuri? No, non è
lecito attribuire alla religione il fenomeno delle insofferenze nazionalistiche
che sta imperversando in queste Regioni! Ciò vale non soltanto per i cristiani
delle diverse confessioni, che oggi Dio chiama a un impegno straordinario per
raggiungere la piena comunione, ma anche per i credenti delle altre religioni,
in particolare i musulmani, che hanno consolidato nei Balcani una loro cospicua
presenza, nel quadro di una rispettosa e civile convivenza”.
Forte di questo orientamento di base, nelle sue tre tappe
il Magistero toccò nodi cruciali della vita della Chiesa e della società
civile: l'ideale di santità testimoniato dai martiri croati del passato e
dell'epoca moderna; il ruolo dei cristiani per la riconciliazione e la
ricostruzione del Paese; lo sviluppo di istituzioni democratiche; le radici
cristiane in prospettiva europeista; l'ecumenismo e il dialogo con l'Islam in
una prospettiva di amicizia con gli altri Stati dell'ex Yugoslavia; la missione
evangelizzatrice delle nuove generazioni, dei laici, dei sacerdoti e religiosi.
Il Vangelo in Croazia:
“Eredità che obbliga”. Il Beato Giovanni Paolo II legò le sue visite
apostoliche ad importanti eventi della Chiesa croata. Nel 1994 ricorreva il IX
centenario dell'erezione della Diocesi di Zagabria e il viaggio si svolse
interamente nella capitale anche a causa della scarsa sicurezza nel resto del
paese. Quattro anni dopo il Pontefice poté, come disse, “continuare il
pellegrinaggio di fede, di speranza e di pace iniziato nel settembre1994”[ix]
per la solenne beatificazione del cardinale croato Alojzije Stepinac, simbolo
della resistenza anticomunista, mentre ricorrevano i diciassette secoli di
fondazione della città di Spalato. Il viaggio ebbe un'impronta mariana con i
due pellegrinaggi ai santuari di Marija Bistrica e di Salona. Infine, l'ultima
visita venne fatta coincidere con la conclusione del secondo Sinodo nazionale
(7 giugno 2003) e con la beatificazione della religiosa suor Marija Petkovic di
Gesù Crocifisso.
Questi eventi permisero al Papa di sottolineare più volte
le radici cristiane della Nazione. Le sue parole furono colme di ammirazione
nel ripercorrere la storia dell'evangelizzazione in Croazia, risalente
addirittura alla predicazione di Timoteo, discepolo di San Paolo.
“Lunghissima – affermò – è la storia del Cristianesimo in
questa vostra Terra. Già prima dell’arrivo dei Croati nella regione, il seme
del Vangelo fu diffuso nelle province imperiali della Dalmazia e della
Pannonia. I vostri avi iniziarono ad accoglierlo - secondo la testimonianza di
Costantino Porfirogenito - fin dai tempi dell’Imperatore Eraclio e di Papa
Agatone, nel secolo settimo. I rapporti tra la Croazia e la Santa Sede andarono in
seguito intensificandosi, specie nel secolo nono, col consolidamento dello
Stato croato, al tempo del duca Branimiro e del pontificato di Giovanni VIII.
Fu quella l’epoca della missione generosa e lungimirante dei santi Fratelli
tessalonicesi Cirillo e Metodio tra le popolazioni slave della Grande Moravia,
attività destinata a lasciare un segno indelebile nell’espressione linguistica
e liturgica - soprattutto nella tradizione glagolitica - anche in alcune zone
della Croazia”[x].
Ricordò inoltre le luminose figure di martiri (Venanzio,
Domnio, Anastasia, Quirino, Eusebio, Pollione, Mauro) e santi (san Nicola
Tavelic, beato Agostino Kazotic, beato Marko da Crisio, servo di Dio Ivan Merz)
e affermò che la loro “è un'eredità che obbliga”[xi],
suggerendo così non solo un criterio di paragone con il passato ma anche un
forte impulso per l'attualizzazione della fede. La figura del cardinale
Stepinac fu in tal senso indicativa della visione di continuità e di
trasmissione del Vangelo, al punto da essere proposta in diversi discorsi come
una sorta di anello di congiunzione tra le radici cristiane e la fede di oggi
testimoniata senza compromessi. Il Papa fece sue le parole del Beato laddove
egli ammoniva i fedeli in questi termini: “Non sareste degni dei nomi dei
vostri padri, se consentiste ad essere separati dalla roccia, sulla quale
Cristo ha costruito la Chiesa”[xii].
La continuità delle fede fu quindi uno degli aspetti cruciali nella riflessione
di Giovanni Paolo II, una sorta di nocciolo problematico che si inseriva nella
più ampia riflessione sulla pacificazione e la ricostruzione della convivenza
civile. In tale nucleo l'appello alla santità ebbe un significato non solo
relativamente al contesto ecclesiale ma anche, in senso più esteso e
chiaramente missionario, alla rinascita di un sentimento di comunione
spirituale fra popoli legati da una storia comune.
“È Lui, Dio Padre – dichiarò infatti nel 2003 –, che
tutti chiama alla santità e alla missione. Vivendo l’esperienza della novità
pasquale, i cristiani possono trasformare il mondo e costruire la civiltà della
verità e dell’amore”[xiii].
Nella stessa omelia, pronunciata all'aeroporto di Osijek/Čepin, illustrò i
compiti della Chiesa in Croazia seguendo il nesso concettuale santità/missione.
“Dopo i tempi duri della guerra, che ha lasciato negli abitanti di questa
regione ferite profonde non ancora completamente rimarginate – disse –, l’impegno
per la riconciliazione, la solidarietà e la giustizia sociale richiede il
coraggio di individui animati dalla fede, aperti all'amore fraterno, sensibili
alla difesa della dignità della persona, fatta ad immagine di Dio”.
Nell'incontro del '98 con i Vescovi della Conferenza
Episcopale Croata a Spalato fece un appello vibrante a tutte le articolazioni
della Chiesa per raccogliere la sfida della nuova evangelizzazione. Esordì con
un invito “alla comunione e all'obbedienza ai pastori”, quindi incoraggiò a un'opera
“che richiede la mobilitazione di tutte le forze vive della Chiesa: Vescovi,
sacerdoti, consacrati, e fedeli laici”. Ai Vescovi raccomandò di essere
“apostoli, che si rechino tra la gente per portare la Buona Novella” e di
“sostenere i Consacrati e le Consacrate nella loro totale dedizione al
Signore”; dai sacerdoti attese “che siano autentici, coerenti e gioiosi
testimoni di Cristo e del suo Vangelo”, uomini di preghiera e di raccoglimento;
ai laici propose di impegnarsi “nella testimonianza evangelica nel mondo della
cultura e della politica”[xiv].
Un appello finale venne rivolto alle famiglie, chiese domestiche, richiamando
la sua esortazione apostolica Familiaris Consortio.
Consapevole che la Chiesa, per assolvere a questi compiti in una
società lacerata, dovesse prima di tutto chiedere a Dio il dono di una
riconciliazione sincera e gratuita, al di là di convenienze umane di corto
raggio, propose un itinerario di conversione all'insegna della preghiera del Padre
Nostro.
“Con queste parole – affermò – Cristo ci ha insegnato a
rivolgerci a Dio. 'Padre': appellativo dolce, ma anche estremamente
impegnativo! Se infatti Dio ci è Padre, allora noi tutti siamo e dobbiamo
sentirci fratelli. Prima di tutte le differenze, prima di tutte le
appartenenze, prima di tutte le nazionalità, c’è un’unità di fondo che accomuna
ogni essere umano, e noi cristiani siamo chiamati a testimoniarla con
particolare forza e responsabilità. Non sarebbe forse intollerabile ipocrisia
ripetere 'Padre nostro', mentre si coltivano sentimenti di rancore e di odio, o
addirittura propositi di rappresaglia e di vendetta? Il 'Padre nostro' in
realtà contiene in germe un progetto di società, che non solo esclude ogni
violenza, ma si struttura in ogni suo aspetto secondo criteri di fraterna solidarietà.
È la società concepita come una grande famiglia, in cui singoli e gruppi, senza
alcuna discriminazione, si sentono accolti, rispettati e amati”[xv].
Con un'immagine evocativa paragonò quindi la fede ai
fiumi che scorrono e si incontrano nei Balcani, il Sava e il Danubio, simbolo
delle due tradizioni cristiane cattolica e ortodossa che sono chiamate
anch'esse ad un grande sforzo ecumenico di riavvicinamento e confluenza.
“Senza valori non vi può
essere vera libertà né vera democrazia”. Libertà, democrazia ed
Europa furono tre parole chiave nella riflessione di Giovanni Paolo II. La
libertà fu oggetto di particolare attenzione anche per il rischio che le
“devastazioni prodotte dal materialismo ateo”[xvi]
potessero riprodursi nella crisi di senso dei sistemi liberali europei presi
come modello. Il Pontefice indicò con chiarezza i problemi più gravi: “Il
relativismo etico odierno” che, “con il conseguente obnubilamento dei valori
morali, favorisce l'insorgere di comportamenti lesivi della dignità della persona,
e ciò si traduce in un serio ostacolo allo sviluppo umanistico nei vari ambiti
dell'esistenza”[xvii];
l'attentato al corso naturale della vita “dal primo sbocciare fino al suo
naturale tramonto”[xviii];
il diffondersi del consumismo e dell'edonismo[xix];
la precarietà dell'istituto familiare[xx];
la mancanza di solidarietà per le fasce di popolazione più deboli e le
minoranze[xxi];
infine una società “drammaticamente frammentata e divisa”[xxii].
Davanti a questi rischi propose una risposta di fede
corale da parte della Chiesa e in particolare fece appello alle nuove
generazioni a non lasciarsi trascinare dai “conformismi di moda” e a “portare
nel vostro ambiente la novità liberante delle Beatitudini”[xxiii].
Il nuovo contesto democratico avrebbe offerto ai cristiani croati la possibilità
di esprimersi con i mezzi più diversi per dare un solido fondamento valoriale
alla loro società. “Senza valori – affermò – non vi può essere vera libertà né
vera democrazia”[xxiv].
Nel 1998, confidando nell'aiuto di Dio “a sostegno della
nostra pochezza”, propose alcune significative linee di azione.
“Con l'avvento della libertà e della democrazia – disse
–, è legittimo attendere una nuova primavera di fede in queste terre croate. La Chiesa ha oggi la
possibilità di servirsi di molteplici mezzi di evangelizzazione e di accedere a
tutti gli spazi della società. È questa un'occasione propizia che la Provvidenza offre a
questa generazione per annunciare il Vangelo e rendere testimonianza a Gesù
Cristo, unico Salvatore del mondo, contribuendo così all'edificazione di una
società a misura d'uomo. Concretamente – continuò –, i cristiani delle terre
croate sono oggi chiamati a dare un volto nuovo alla loro Patria, soprattutto
impegnandosi per il ripristino nella società dei valori etici e morali minati
dai precedenti totalitarismi e dalla recente violenza bellica. È compito che
richiede molte energie e ferma volontà. Ed è compito urgente, perché senza
valori non vi può essere vera libertà né vera democrazia. Fondamentale, tra i
valori, è il rispetto della vita umana, dei diritti e della dignità della
persona, come anche dei diritti e della dignità dei popoli”[xxv].
Incoraggiò quindi a proseguire sulla strada di una
democrazia attenta al patrimonio cristiano della Nazione.
“La vostra Nazione – dichiarò al termine del suo secondo
viaggio – è dotata delle risorse necessarie per aver ragione delle avversità e,
soprattutto, voi, cittadini croati, possedete i talenti indispensabili per
affrontare le sfide del momento attuale. Con l'impegno di tutti sarà possibile
portare avanti il non facile processo di democratizzazione della società e
delle sue istituzioni civili. La democrazia ha un alto prezzo; la moneta con
cui pagarlo è coniata col nobile metallo dell'onestà, della ragionevolezza, del
rispetto del prossimo, dello spirito di sacrificio, della pazienza. Pretendere
di ricorrere a monete diverse significa esporsi al rischio della bancarotta.
Dopo lunghi anni di dittatura e di dolorose esperienze di violenza, alle quali
sono state sottoposte le popolazioni della regione, è necessario ora fare ogni
sforzo per costruire una democrazia basata sui valori morali inscritti nella
stessa natura dell'essere umano”[xxvi].
Un nuovo incoraggiamento in questa linea avvenne nel
2003, allorché la Croazia
aveva da poco presentato la propria candidatura per divenire membro dell'Unione
Europea. “Non posso che esprimere l'augurio – disse nella cerimonia di
accoglienza – di una felice realizzazione di tale aspirazione: la ricca
tradizione della Croazia contribuirà sicuramente a rafforzare l’Unione sia come
entità amministrativa e territoriale che come realtà culturale e spirituale”.
Il sogno di un'Europa vivificata dal comune retaggio
cristiano nell'incontro tra l'Occidente e l'Oriente fu argomento che tornò in
tutte le visite ufficiali. Il risveglio delle radici cristiane del continente,
grazie anche all'apporto dei popoli dell'est appena usciti dal comunismo,
costituì un forte appello per dare al processo europeo un retroterra ideale,
superando così le impostazioni riduzioniste del libero mercato. Il Pontefice si
congedò quindi dal popolo che lo aveva ospitato evocando il patrimonio di fede,
la via della democratizzazione e il grande traguardo del pieno inserimento nel
contesto europeo.
“Ho
visto una società che vuole costruire il suo presente e il suo futuro su solide
basi democratiche, in piena fedeltà alla propria storia permeata di
cristianesimo, per inserirsi a giusto titolo nel consesso delle altre Nazioni
europee. Vi do atto con gioia di essere un Paese che, riacquistata la libertà e
superata la triste vicenda della guerra, si sta ricostruendo e si rinnova
materialmente e spiritualmente con alacre determinazione. Esorto gli uomini e
le donne di buona volontà del mondo intero a non dimenticare le tragedie subite
da queste popolazioni nel corso della storia, e soprattutto in questo nostro
secolo. Non manchi l'aiuto concreto e generoso di cui singoli e famiglie
abbisognano per poter vivere in libertà e in uguaglianza, con la dignità di
membri attivi della famiglia umana. L'Europa – continuò – si è avviata verso
una nuova tappa nel suo cammino di unità e di crescita. Perché vi sia gioia
piena, nessuno deve essere dimenticato lungo la strada che conduce alla comune
Casa europea. Per parte sua, la
Croazia deve dar prova di grande pazienza, saggezza,
disponibilità al sacrificio e generosa solidarietà per poter superare
definitivamente l'attuale fase del dopoguerra e raggiungere le nobili mete a
cui aspira”[xxvii].
[i] Aeroporto di Zagabria, 10 settembre 1994,
Cerimonia di Benvenuto, nn. 5 e 2
[ii] Zagabria, 10 settembre 1994, Saluto ai
Vescovi
[iii] Zagabria, 2 ottobre 1998, Incontro con la Popolazione, n. 1
[iv] Aeroporto di Zagabria, 11 settembre 1994,
Cerimonia di Congedo, n. 3
[v] Aeroporto di Zagabria, 10 settembre 1994,
Cerimonia di Benvenuto, n. 5
[vi] Spalato, 4 ottobre 1998, Discorso alla
Conferenza Episcopale Croata, n. 5
[viii] Zagabria, 11 settembre 1994, Cerimonia di
Congedo, n. 3
[ix] Zagabria, 2 ottobre 1998, Incontro con la Popolazione, n. 4
[x] Zagabria, 10 settembre 1994, Cerimonia di
Benvenuto, n. 3
[xi] Zagabria, 4 ottobre 1998, Omelia, n. 5
[xii] Salona, 4 ottobre 1998, Incontro con i
Catechisti, n. 7
[xiii] Aeroporto di Osijek/Čepin, 7 giugno 2003,
Omelia, n. 6
[xiv] Spalato, 4 ottobre 1998, Discorso alla
Conferenza Episcopale Croata
[xv] Zagabria, 11 settembre 1994, Omelia nel IX
Centenario della Fondazione della Diocesi di Zagabria, n. 7
[xvi] Zagabria, 3 ottobre 1998, Incontro con i
Rappresentanti del mondo della cultura, n. 4
[xvii] Zagabria, 3 ottobre 1998, Incontro con
i Rappresentanti del mondo della cultura, n. 2
[xviii] Zagabria, 2 ottobre 1998, Incontro con la Popolazione, n. 4
[xix] Zagabria, 3 ottobre 1998, Incontro con i
Rappresentanti del mondo della cultura, n. 4
[xx] Rijeka, 8 giugno 2003, S. Messa per le
Famiglie
[xxi] Aeroporto di Osijek/Čepin, 7 giugno 2003,
Omelia, n. 4
[xxii] Rijeka, 8 giugno 2003, S. Messa per le
Famiglie, n. 5
[xxiii] Zagabria, 2 ottobre 1998, Incontro con la Popolazione, n. 2
[xxiv] Spalato, 4 ottobre 1998, Omelia, n. 5
[xxv] Spalato, 4 ottobre 1998, Omelia, n. 5
[xxvi] Spalato, 4 ottobre 1998, Cerimonia di
Congedo, n. 4
[xxvii] Spalato, 4 ottobre 1998, Cerimonia di
Congedo, n. 3