venerdì 13 maggio 2011

Ricordando Giovanni Paolo II in Croazia (servizio per Radio Vaticana)


Le tre visite apostoliche di Giovanni Paolo II in Croazia furono contrassegnate da una speciale vicinanza alle popolazioni dell'ex Federazione Jugoslava, smembrata dalla sanguinosa guerra del 1990-'95. Si può anzi dire che esse rientrano in una più generale cura pastorale per gli Slavi della regione balcanica, testimoniata dalla visita più volte rimandata per motivi di sicurezza ed infine realizzata il 12-13 aprile 1997 a Sarajevo, città simbolo della pulizia etnica.

            La pace fu la prima, fondamentale parola del Magistero di Giovanni Paolo II. Egli non poté non esprimere, al suo primo arrivo sul suolo croato, l'angoscia per la guerra: “Quanto sangue innocente è stato versato! Quante lacrime hanno rigato il volto di mamme e bambini, di anziani e di giovani!”. Si presentò quindi a tutti come un “inerme pellegrino del Vangelo di Gesù, che è annuncio di amore, di concordia e di pace”[i]. Nel compito della pace Papa Wojtyla vedeva investita non solo l'autorità morale connessa allo statuto della Santa Sede, ma anche la propria identità di slavo. Infatti, sempre nella sua prima visita a Zagabria nel settembre 1994, ricordò la tradizione secondo cui “i Croati sono venuti da Cracovia”, sottolineando “un circolo chiuso”[ii] voluto dalla Provvidenza nello scegliere quale pellegrino di pace in una terra martoriata proprio un Papa dalle comuni origini. In un'altra circostanza citò i versi del poeta croato Domjanic: “Qui tutti mi sono fratelli / mi sento proprio a casa”[iii].
            L'approccio al problema balcanico si caratterizzò per un'opzione di fondo a favore dell'autodeterminazione dei popoli – opzione che d'altra parte trovava il suo caso emblematico nello stesso precedente della Polonia smarcatasi dal regime comunista. Tale principio venne formulato a Zagabria l'11 settembre 1994 sulla scorta di un pronunciamento fondamentale di Pio XII che egli ribadiva in questi termini: “Gli eventi di cui il Continente europeo è stato teatro negli ultimi anni sottolineano con forza un dato inequivocabile: fanno parte della vasta famiglia dei popoli - pensiamo anzitutto a quelli europei - sia le Nazioni grandi che quelle piccole, e tutte hanno il diritto all’esistenza”[iv]. Parallelamente metteva in guardia, in quello stesso primo viaggio, da “esasperazioni e chiusure nazionalistiche”[v] che avrebbero minato lo spirito di generosa tolleranza e di apertura universalistica, di amicizia e collaborazione fra i popoli.
            Strettamente connesso a questo indirizzo – che trovava un'eco di continuità con il Magistero pontificio del Novecento – fu la condanna netta e senza compromessi del comunismo. Questo venne definito come “la tragedia provocata dal materialismo ateo”[vi], il “sistema totalitario che per troppo tempo ha tentato di imporre una ideologia contraria all’uomo e alla sua dignità”[vii]. Ideologia senza Dio e quindi disumana, il comunismo rappresentava un tragico passato per l'offesa dei diritti umani fondamentali e, di riflesso, delle legittime aspirazioni di popoli liberi. “Fondamento della civiltà umana, cristiana, democratica, europea – affermò infatti il Pontefice –, sono i diritti della persona umana e lo sono anche i diritti dei popoli”[viii].
            Un importante risvolto di questo impianto di fondo (che assumeva dati diplomatici e magisteriali consolidati per dotarli tuttavia di una nuova carica propositiva nel contesto internazionale) fu il ruolo di sintesi e di promozione che le religioni vennero chiamate a giocare per la riconciliazione dei popoli balcanici – espressione di quella sensibilità per il dialogo interreligioso maturata con gli incontri di Assi. Giovanni Paolo II offriva così al processo di pace un argomento eccezionale per liberare il credo religioso dalle gabbie identitarie che avevano fatto da detonatore della crisi jugoslava, presentando le diverse confessioni cristiane e lo stesso Islam come elementi di stabilità piuttosto che di instabilità, come vettori di reciproca apertura e sensibilità al bene comune.
            Emblematiche in tal senso le parole pronunciate nell'Omelia dell'11 settembre 1994 a Zagabria: “Per secoli – affermò davanti alla folla riunita nell'Ippodromo cittadino – i popoli di queste regioni si sono reciprocamente accettati, sviluppando molteplici scambi nell’ambito dell’arte, della lingua, della scrittura, della cultura popolare. E non è forse una ricchezza comune anche la tradizione di tolleranza religiosa che, nell’arco di quasi un millennio, non è venuta meno neppure nei periodi più oscuri? No, non è lecito attribuire alla religione il fenomeno delle insofferenze nazionalistiche che sta imperversando in queste Regioni! Ciò vale non soltanto per i cristiani delle diverse confessioni, che oggi Dio chiama a un impegno straordinario per raggiungere la piena comunione, ma anche per i credenti delle altre religioni, in particolare i musulmani, che hanno consolidato nei Balcani una loro cospicua presenza, nel quadro di una rispettosa e civile convivenza”. 
            Forte di questo orientamento di base, nelle sue tre tappe il Magistero toccò nodi cruciali della vita della Chiesa e della società civile: l'ideale di santità testimoniato dai martiri croati del passato e dell'epoca moderna; il ruolo dei cristiani per la riconciliazione e la ricostruzione del Paese; lo sviluppo di istituzioni democratiche; le radici cristiane in prospettiva europeista; l'ecumenismo e il dialogo con l'Islam in una prospettiva di amicizia con gli altri Stati dell'ex Yugoslavia; la missione evangelizzatrice delle nuove generazioni, dei laici, dei sacerdoti e religiosi.

Il Vangelo in Croazia: “Eredità che obbliga”. Il Beato Giovanni Paolo II legò le sue visite apostoliche ad importanti eventi della Chiesa croata. Nel 1994 ricorreva il IX centenario dell'erezione della Diocesi di Zagabria e il viaggio si svolse interamente nella capitale anche a causa della scarsa sicurezza nel resto del paese. Quattro anni dopo il Pontefice poté, come disse, “continuare il pellegrinaggio di fede, di speranza e di pace iniziato nel settembre1994”[ix] per la solenne beatificazione del cardinale croato Alojzije Stepinac, simbolo della resistenza anticomunista, mentre ricorrevano i diciassette secoli di fondazione della città di Spalato. Il viaggio ebbe un'impronta mariana con i due pellegrinaggi ai santuari di Marija Bistrica e di Salona. Infine, l'ultima visita venne fatta coincidere con la conclusione del secondo Sinodo nazionale (7 giugno 2003) e con la beatificazione della religiosa suor Marija Petkovic di Gesù Crocifisso.
            Questi eventi permisero al Papa di sottolineare più volte le radici cristiane della Nazione. Le sue parole furono colme di ammirazione nel ripercorrere la storia dell'evangelizzazione in Croazia, risalente addirittura alla predicazione di Timoteo, discepolo di San Paolo.
            “Lunghissima – affermò – è la storia del Cristianesimo in questa vostra Terra. Già prima dell’arrivo dei Croati nella regione, il seme del Vangelo fu diffuso nelle province imperiali della Dalmazia e della Pannonia. I vostri avi iniziarono ad accoglierlo - secondo la testimonianza di Costantino Porfirogenito - fin dai tempi dell’Imperatore Eraclio e di Papa Agatone, nel secolo settimo. I rapporti tra la Croazia e la Santa Sede andarono in seguito intensificandosi, specie nel secolo nono, col consolidamento dello Stato croato, al tempo del duca Branimiro e del pontificato di Giovanni VIII. Fu quella l’epoca della missione generosa e lungimirante dei santi Fratelli tessalonicesi Cirillo e Metodio tra le popolazioni slave della Grande Moravia, attività destinata a lasciare un segno indelebile nell’espressione linguistica e liturgica - soprattutto nella tradizione glagolitica - anche in alcune zone della Croazia”[x].
            Ricordò inoltre le luminose figure di martiri (Venanzio, Domnio, Anastasia, Quirino, Eusebio, Pollione, Mauro) e santi (san Nicola Tavelic, beato Agostino Kazotic, beato Marko da Crisio, servo di Dio Ivan Merz) e affermò che la loro “è un'eredità che obbliga”[xi], suggerendo così non solo un criterio di paragone con il passato ma anche un forte impulso per l'attualizzazione della fede. La figura del cardinale Stepinac fu in tal senso indicativa della visione di continuità e di trasmissione del Vangelo, al punto da essere proposta in diversi discorsi come una sorta di anello di congiunzione tra le radici cristiane e la fede di oggi testimoniata senza compromessi. Il Papa fece sue le parole del Beato laddove egli ammoniva i fedeli in questi termini: “Non sareste degni dei nomi dei vostri padri, se consentiste ad essere separati dalla roccia, sulla quale Cristo ha costruito la Chiesa”[xii]. La continuità delle fede fu quindi uno degli aspetti cruciali nella riflessione di Giovanni Paolo II, una sorta di nocciolo problematico che si inseriva nella più ampia riflessione sulla pacificazione e la ricostruzione della convivenza civile. In tale nucleo l'appello alla santità ebbe un significato non solo relativamente al contesto ecclesiale ma anche, in senso più esteso e chiaramente missionario, alla rinascita di un sentimento di comunione spirituale fra popoli legati da una storia comune.
            “È Lui, Dio Padre – dichiarò infatti nel 2003 –, che tutti chiama alla santità e alla missione. Vivendo l’esperienza della novità pasquale, i cristiani possono trasformare il mondo e costruire la civiltà della verità e dell’amore”[xiii]. Nella stessa omelia, pronunciata all'aeroporto di Osijek/Čepin, illustrò i compiti della Chiesa in Croazia seguendo il nesso concettuale santità/missione. “Dopo i tempi duri della guerra, che ha lasciato negli abitanti di questa regione ferite profonde non ancora completamente rimarginate – disse –, l’impegno per la riconciliazione, la solidarietà e la giustizia sociale richiede il coraggio di individui animati dalla fede, aperti all'amore fraterno, sensibili alla difesa della dignità della persona, fatta ad immagine di Dio”.
            Nell'incontro del '98 con i Vescovi della Conferenza Episcopale Croata a Spalato fece un appello vibrante a tutte le articolazioni della Chiesa per raccogliere la sfida della nuova evangelizzazione. Esordì con un invito “alla comunione e all'obbedienza ai pastori”, quindi incoraggiò a un'opera “che richiede la mobilitazione di tutte le forze vive della Chiesa: Vescovi, sacerdoti, consacrati, e fedeli laici”. Ai Vescovi raccomandò di essere “apostoli, che si rechino tra la gente per portare la Buona Novella” e di “sostenere i Consacrati e le Consacrate nella loro totale dedizione al Signore”; dai sacerdoti attese “che siano autentici, coerenti e gioiosi testimoni di Cristo e del suo Vangelo”, uomini di preghiera e di raccoglimento; ai laici propose di impegnarsi “nella testimonianza evangelica nel mondo della cultura e della politica”[xiv]. Un appello finale venne rivolto alle famiglie, chiese domestiche, richiamando la sua esortazione apostolica Familiaris Consortio.
            Consapevole che la Chiesa, per assolvere a questi compiti in una società lacerata, dovesse prima di tutto chiedere a Dio il dono di una riconciliazione sincera e gratuita, al di là di convenienze umane di corto raggio, propose un itinerario di conversione all'insegna della preghiera del Padre Nostro.
            “Con queste parole – affermò – Cristo ci ha insegnato a rivolgerci a Dio. 'Padre': appellativo dolce, ma anche estremamente impegnativo! Se infatti Dio ci è Padre, allora noi tutti siamo e dobbiamo sentirci fratelli. Prima di tutte le differenze, prima di tutte le appartenenze, prima di tutte le nazionalità, c’è un’unità di fondo che accomuna ogni essere umano, e noi cristiani siamo chiamati a testimoniarla con particolare forza e responsabilità. Non sarebbe forse intollerabile ipocrisia ripetere 'Padre nostro', mentre si coltivano sentimenti di rancore e di odio, o addirittura propositi di rappresaglia e di vendetta? Il 'Padre nostro' in realtà contiene in germe un progetto di società, che non solo esclude ogni violenza, ma si struttura in ogni suo aspetto secondo criteri di fraterna solidarietà. È la società concepita come una grande famiglia, in cui singoli e gruppi, senza alcuna discriminazione, si sentono accolti, rispettati e amati”[xv].
            Con un'immagine evocativa paragonò quindi la fede ai fiumi che scorrono e si incontrano nei Balcani, il Sava e il Danubio, simbolo delle due tradizioni cristiane cattolica e ortodossa che sono chiamate anch'esse ad un grande sforzo ecumenico di riavvicinamento e confluenza.

“Senza valori non vi può essere vera libertà né vera democrazia”. Libertà, democrazia ed Europa furono tre parole chiave nella riflessione di Giovanni Paolo II. La libertà fu oggetto di particolare attenzione anche per il rischio che le “devastazioni prodotte dal materialismo ateo”[xvi] potessero riprodursi nella crisi di senso dei sistemi liberali europei presi come modello. Il Pontefice indicò con chiarezza i problemi più gravi: “Il relativismo etico odierno” che, “con il conseguente obnubilamento dei valori morali, favorisce l'insorgere di comportamenti lesivi della dignità della persona, e ciò si traduce in un serio ostacolo allo sviluppo umanistico nei vari ambiti dell'esistenza”[xvii]; l'attentato al corso naturale della vita “dal primo sbocciare fino al suo naturale tramonto”[xviii]; il diffondersi del consumismo e dell'edonismo[xix]; la precarietà dell'istituto familiare[xx]; la mancanza di solidarietà per le fasce di popolazione più deboli e le minoranze[xxi]; infine una società “drammaticamente frammentata e divisa”[xxii]. 
            Davanti a questi rischi propose una risposta di fede corale da parte della Chiesa e in particolare fece appello alle nuove generazioni a non lasciarsi trascinare dai “conformismi di moda” e a “portare nel vostro ambiente la novità liberante delle Beatitudini”[xxiii]. Il nuovo contesto democratico avrebbe offerto ai cristiani croati la possibilità di esprimersi con i mezzi più diversi per dare un solido fondamento valoriale alla loro società. “Senza valori – affermò – non vi può essere vera libertà né vera democrazia”[xxiv].
            Nel 1998, confidando nell'aiuto di Dio “a sostegno della nostra pochezza”, propose alcune significative linee di azione.
            “Con l'avvento della libertà e della democrazia – disse –, è legittimo attendere una nuova primavera di fede in queste terre croate. La Chiesa ha oggi la possibilità di servirsi di molteplici mezzi di evangelizzazione e di accedere a tutti gli spazi della società. È questa un'occasione propizia che la Provvidenza offre a questa generazione per annunciare il Vangelo e rendere testimonianza a Gesù Cristo, unico Salvatore del mondo, contribuendo così all'edificazione di una società a misura d'uomo. Concretamente – continuò –, i cristiani delle terre croate sono oggi chiamati a dare un volto nuovo alla loro Patria, soprattutto impegnandosi per il ripristino nella società dei valori etici e morali minati dai precedenti totalitarismi e dalla recente violenza bellica. È compito che richiede molte energie e ferma volontà. Ed è compito urgente, perché senza valori non vi può essere vera libertà né vera democrazia. Fondamentale, tra i valori, è il rispetto della vita umana, dei diritti e della dignità della persona, come anche dei diritti e della dignità dei popoli”[xxv].
            Incoraggiò quindi a proseguire sulla strada di una democrazia attenta al patrimonio cristiano della Nazione.
            “La vostra Nazione – dichiarò al termine del suo secondo viaggio – è dotata delle risorse necessarie per aver ragione delle avversità e, soprattutto, voi, cittadini croati, possedete i talenti indispensabili per affrontare le sfide del momento attuale. Con l'impegno di tutti sarà possibile portare avanti il non facile processo di democratizzazione della società e delle sue istituzioni civili. La democrazia ha un alto prezzo; la moneta con cui pagarlo è coniata col nobile metallo dell'onestà, della ragionevolezza, del rispetto del prossimo, dello spirito di sacrificio, della pazienza. Pretendere di ricorrere a monete diverse significa esporsi al rischio della bancarotta. Dopo lunghi anni di dittatura e di dolorose esperienze di violenza, alle quali sono state sottoposte le popolazioni della regione, è necessario ora fare ogni sforzo per costruire una democrazia basata sui valori morali inscritti nella stessa natura dell'essere umano”[xxvi].
            Un nuovo incoraggiamento in questa linea avvenne nel 2003, allorché la Croazia aveva da poco presentato la propria candidatura per divenire membro dell'Unione Europea. “Non posso che esprimere l'augurio – disse nella cerimonia di accoglienza – di una felice realizzazione di tale aspirazione: la ricca tradizione della Croazia contribuirà sicuramente a rafforzare l’Unione sia come entità amministrativa e territoriale che come realtà culturale e spirituale”.
            Il sogno di un'Europa vivificata dal comune retaggio cristiano nell'incontro tra l'Occidente e l'Oriente fu argomento che tornò in tutte le visite ufficiali. Il risveglio delle radici cristiane del continente, grazie anche all'apporto dei popoli dell'est appena usciti dal comunismo, costituì un forte appello per dare al processo europeo un retroterra ideale, superando così le impostazioni riduzioniste del libero mercato. Il Pontefice si congedò quindi dal popolo che lo aveva ospitato evocando il patrimonio di fede, la via della democratizzazione e il grande traguardo del pieno inserimento nel contesto europeo.
            “Ho visto una società che vuole costruire il suo presente e il suo futuro su solide basi democratiche, in piena fedeltà alla propria storia permeata di cristianesimo, per inserirsi a giusto titolo nel consesso delle altre Nazioni europee. Vi do atto con gioia di essere un Paese che, riacquistata la libertà e superata la triste vicenda della guerra, si sta ricostruendo e si rinnova materialmente e spiritualmente con alacre determinazione. Esorto gli uomini e le donne di buona volontà del mondo intero a non dimenticare le tragedie subite da queste popolazioni nel corso della storia, e soprattutto in questo nostro secolo. Non manchi l'aiuto concreto e generoso di cui singoli e famiglie abbisognano per poter vivere in libertà e in uguaglianza, con la dignità di membri attivi della famiglia umana. L'Europa – continuò – si è avviata verso una nuova tappa nel suo cammino di unità e di crescita. Perché vi sia gioia piena, nessuno deve essere dimenticato lungo la strada che conduce alla comune Casa europea. Per parte sua, la Croazia deve dar prova di grande pazienza, saggezza, disponibilità al sacrificio e generosa solidarietà per poter superare definitivamente l'attuale fase del dopoguerra e raggiungere le nobili mete a cui aspira”[xxvii].


[i]     Aeroporto di Zagabria, 10 settembre 1994, Cerimonia di Benvenuto, nn. 5 e 2
[ii]    Zagabria, 10 settembre 1994, Saluto ai Vescovi
[iii]   Zagabria, 2 ottobre 1998, Incontro con la Popolazione, n. 1
[iv]   Aeroporto di Zagabria, 11 settembre 1994, Cerimonia di Congedo, n. 3
[v]    Aeroporto di Zagabria, 10 settembre 1994, Cerimonia di Benvenuto, n. 5
[vi]   Spalato, 4 ottobre 1998, Discorso alla Conferenza Episcopale Croata, n. 5
[vii]  Aeroporto di Rijeka/Krk, Discorso, 5 giugno 2003, n. 4
[viii] Zagabria, 11 settembre 1994, Cerimonia di Congedo, n. 3
[ix]   Zagabria, 2 ottobre 1998, Incontro con la Popolazione, n. 4
[x]    Zagabria, 10 settembre 1994, Cerimonia di Benvenuto, n. 3
[xi]   Zagabria, 4 ottobre 1998, Omelia, n. 5
[xii]  Salona, 4 ottobre 1998, Incontro con i Catechisti, n. 7
[xiii] Aeroporto di Osijek/Čepin, 7 giugno 2003, Omelia, n. 6
[xiv] Spalato, 4 ottobre 1998, Discorso alla Conferenza Episcopale Croata
[xv]  Zagabria, 11 settembre 1994, Omelia nel IX Centenario della Fondazione della Diocesi di Zagabria, n. 7
[xvi] Zagabria, 3 ottobre 1998, Incontro con i Rappresentanti del mondo della cultura, n. 4
[xvii]         Zagabria, 3 ottobre 1998, Incontro con i Rappresentanti del mondo della cultura, n. 2
[xviii]        Zagabria, 2 ottobre 1998, Incontro con la Popolazione, n. 4
[xix] Zagabria, 3 ottobre 1998, Incontro con i Rappresentanti del mondo della cultura, n. 4
[xx]  Rijeka, 8 giugno 2003, S. Messa per le Famiglie
[xxi] Aeroporto di Osijek/Čepin, 7 giugno 2003, Omelia, n. 4
[xxii]         Rijeka, 8 giugno 2003, S. Messa per le Famiglie, n. 5
[xxiii]        Zagabria, 2 ottobre 1998, Incontro con la Popolazione, n. 2
[xxiv]        Spalato, 4 ottobre 1998, Omelia, n. 5
[xxv]         Spalato, 4 ottobre 1998, Omelia, n. 5
[xxvi]        Spalato, 4 ottobre 1998, Cerimonia di Congedo, n. 4
[xxvii]       Spalato, 4 ottobre 1998, Cerimonia di Congedo, n. 3