sabato 22 agosto 2020

Konrad Lorenz e l'anello di Salomone. Un invito alla metafisica?

Ho da poco finito di leggere un libro del naturalista austriaco Konrad Lorenz, famoso per essere il fondatore dell'etologia, la scienza che studia il comportamento degli animali. Il testo in questione, "L'anello di Re Salomone", pubblicato nel 1949, è diventato un classico di divulgazione scientifica per la sua leggibilità unita a una vena discorsiva capace di affrontare con originalità molti aspetti della condizione umana. Lorenz infatti non si limita a raccontare le sue stupefacenti osservazioni zoologiche nei confronti delle specie più disparate (taccole, pappagalli, pesci da acquario, lepri, cani, gatti oltre alle leggendarie ochette dalle quali fu scambiato per una "mamma oca") ma spesso si lascia andare a riflessioni di taglio filosofico, morale e anche religioso. A cominciare dal titolo che, spiega l'autore, fa riferimento a un racconto dello scrittore ottocentesco Joseph Viktor Widmann, secondo cui re Salomone possedeva un anello magico grazie al quale riusciva a parlare il linguaggio degli animali. Tutto il libro in effetti è il resoconto degli straordinari risultati raggiunti da Lorenz nel campo dell'interazione e del "dialogo" con gli animali attraverso un duraturo e intimo contatto casalingo, che sconfinava talvolta nell'umorismo e talaltra nel sentimentalismo. Per dirne qualcuna, Lorenz era riuscito a parlare con le oche simulando i loro versi, aveva decodificato il comportamento delle taccole, mentre da un corvo di nome Roa col quale era diventato amico si faceva fare addirittura la pulizia della pelle intorno all'occhio mimando il gesto corrispondente degli uccelli che invita a una simile azione. Siamo lontani dalle fredde analisi di Darwin, che nei suoi libri, nonostante l'inesausta attenzione per il mondo della natura, rimaneva impassibile e anzi quasi estraneo. In Lorenz traspare in ogni angolo un forte coinvolgimento emotivo, che peraltro non impedisce al suo lavoro di prendere forma e sostanza di scienza (e di altissimo livello, al punto da venire insignito di un premio Nobel). Questo aspetto mi pare molto importante per fronteggiare un certo approccio scientifico "oggettivizzante" e  disastroso, povero di umanità e di empatia, che Papa Francesco ha giustamente criticato nella Laudato si'. E poi c'è tutta la riflessione sulla comunicazione degli animali che spontaneamente tracima nella filosofia del linguaggio umano e che ho trovato interessantissima, in quanto anche questo terreno oggi è monopolio di visioni materialiste molto riduttive che non spiegano tutto il perché di questo grande mistero che è la parola. Scrive Lorenz: "Sta scritto che il re Salomone parlava con i quadrupedi, con gli uccelli, con i pesci e con i vermi. Anch'io parlo con gli animali, seppure non con tutti, come sembra facesse il vecchio re, e ammetto la mia inferiorità su questo punto. Però parlo con alcune specie che conosco bene, e senza bisogno di un anello magico". Su questo aspetto sono note le posizioni di Darwin, che nel suo libro che io definisco il più "dogmatico", ovvero l'Origine dell'uomo e la selezione sessuale, gettò le basi per l'attuale appiattimento dell'antropologia sulla zoologia. O, detto in altri termini, descrisse l'essere umano come soltanto un animale particolarmente sviluppato, ma avente tutto in comune con le altre specie (linguaggio, emozioni, sentimenti, senso estetico, addirittura senso religioso, insomma tutti quegli aspetti che non solo la teologia cristiana, ma anche il pensiero filosofico tradizionale hanno sempre imputato al possesso di facoltà di ordine spirituale). Per Darwin, quindi, la parola umana non è che l'evoluzione di grado superiore del linguaggio grezzo riscontrabile negli animali. Su questo punto Lorenz, che pure si muove chiaramente sulla falsariga dell'evoluzionismo, è agli antipodi rispetto a Darwin, forse perché non cerca di dimostrare una tesi stabilita a priori, ma si lascia andare a una sana considerazione dettata dalla lunga esperienza e dai lunghi "colloqui" con gli animali. Le sue considerazioni possono essere molto utili per una relazione pacificata tra la visione scientifica e la visione di fede sull'essere umano. Scrive: "Gli animali non possiedono un linguaggio nel vero senso della parola, ma ogni individuo appartenente alle specie superiori, e soprattutto alle specie che vivono in società,come ad esempio le taccole o le oche selvatiche, possiede fin dalla nascita tutto un codice di segnali e di movimenti espressivi. E innata è tanto la capacità di emettere segnali quanto quella di 'interpretarli correttamente', cioè di rispondervi in modo coerente e propizio alla conservazione della specie. Queste mie affermazioni, che si fondano su molte osservazioni e molti esperimenti, vengono a ridurre notevolmente la somiglianza che, a una considerazione superficiale dei fatti, sembra sussistere tra tutti i modi di comunicare degli animali e il linguaggio umano. Questa somiglianza si riduce ancora ulteriormente quando a poco a poco ci si rende conto che in tutte le sue manifestazioni sonore e mimiche l'animale non ha mai l'intenzione cosciente di influenzare con questi mezzi un suo simile". E concludendo questo punto, asserisce che i linguaggi degli animali sono soltanto delle "interiezioni" senza un vero contenuto cosciente, simili per certi versi ad alcuni codici innati dell'uomo come lo sbadiglio che si fa quando si ha sonno. La questione mi pare ben impostata e molto ricca di conseguenze per quelle religioni, come quella cristiana, che fanno della Parola il cuore della loro visione del divino e dell'uomo. Sappiamo bene infatti quanto la Rivelazione poggi sulla dimensione dell'ascolto e della comunicazione tra Dio e l'uomo, una relazione che può essere veramente tale proprio perché basata sul possesso di una capacità spirituale da parte dell'uomo. Non va dimenticato che tra le moltissime prove che sono state proposte nella storia del pensiero per dimostrare l'esistenza di Dio, ne incontrai una volta una che fa leva proprio sulla parola umana, in quanto essa dimostra un'eccedenza rispetto appunto alla sola natura animale e non è autofondata ma deve la sua origine in Dio. La Bibbia sembra esprimere questo aspetto fondamentale quando, nel libro della Genesi, descrive la relazione dell'uomo con il mondo naturale sulla base di una capacità di dare un nome a tutto. La conclusione a cui è giunto Lorenz, senza il minimo preconcetto teologico e anzi da bravo zoologo, appare quindi un'acquisizione che andrebbe tenuta in seria considerazione dal teologo cattolico come dal semplice credente che cerca di capirci qualcosa in questo maremagnum di incertezze che è il XXI secolo. Un'epoca, che non sembra appartenere né a Dio né all'uomo, ma solo caratterizzata da una radicale carenza di senso e di radici, che siano metafisiche o biologiche. Per tornare al libro di Lorenz, avevo accennato a riflessioni di carattere propriamente religioso alle quali il barbuto scienziato si è lasciato andare. Alcune sono molto originali, come la particolare interpretazione che viene data dell'evangelico invito a "porgere l'altra guancia". Lorenz, nella sua prospettiva che rimane scientifica e al massimo filosofica, comunque non afferente a una particolare dimensione credente(sulla religiosità dello scienziato si dibatte e comunque non fu molto spiccata, ma limitata alla sfera morale), vede in questo principio non un'utopia o comunque qualcosa di irrealizzabile, ma al contrario un suggerimento di grande saggezza per permettere all'uomo di disinnescare il rischio dell'autodistruzione. Tracciando il confronto con animali quali il lupo, i galli o lo stesso cane, che non arrivano mai ad uccidere membri della loro specie quando lottano tra loro in quanto attivano dei meccanismi innati di inibizione (lo sconfitto offre all'avversario parti vulnerabili del collo o della testa, a significare la propria resa, che viene sempre accettata), spiega: "Sono profondamente commosso e ammirato di fronte a quel lupo che non può azzannare la gola dell'avversario, e ancor più di fronte all'altro animale, che conta proprio su questa sua reazione! Un animale che affida la propria vita alla correttezza cavalleresca di un altro animale! C'è proprio qualcosa da imparare anche per noi uomini! Io per lo meno ne ho tratto una nuova e più profonda comprensione di un meraviglioso detto del Vangelo che spesso viene frainteso, e che finora aveva suscitato in me solo una forte resistenza istintiva: ' Se qualcuno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra...'. L'illuminazione mi è venuta da un lupo: non per ricevere un altro schiaffo devi offrire al nemico l'altra guancia, no, devi offrirgliela  proprio per impedirgli di dartelo!". Secondo Lorenz, l'uomo è, a differenza degli animali, privo assolutamente di un codice innato di autoconservazione della specie, e soltanto la libertà della quale dispone può decidere infine della sua sorte: autodistruzione bellica o pace fondata sul rispetto. Anche questa "illuminazione" del grande naturalista è indubitabilmente bella e foriera di spazi per la riflessione. Se l'uomo non è solo natura, ha l'obbligo, potremmo aggiungere noi, di cercare la chiave della propria vita "altrove". Io la vedo come un invito alla metafisica, cosa che non mi dispiace affatto.