Antonio Marguccio: Grazie. Sì, è un libro che mi ha impegnato molto, riflettevo da tempo su questi temi in verità, alla fine è arrivata l’ispirazione e anche sono giunte a maturazione una serie di cose, quindi eccolo qua. Si tratta di un saggio che affronta il rapporto tra la scienza moderna, nata con Galileo Galilei nel XVII secolo, e la fede cristiana. Un rapporto che non è stato mai facile, e anzi è cominciato malissimo proprio con il famoso “caso Galileo”. Ma prima di questo voglio farvi una piccola premessa.
Quando si scrivono questi libri l’approccio non può essere mai neutrale, non si può dire che affronterò questo rapporto in maniera tale da prendere le distanze sia dal mondo della fede cristiana sia da quello della scienza. Questo è impossibile perché, quando c’è in gioco la fede, uno o sta in empatia, diciamo, in simpatia con la fede, oppure la guarda con distacco, e dunque non crede. Diffidate di coloro che dicono “io sono neutrale e quindi ve la pongo in maniera neutrale questa cosa”. Non è possibile, si è sempre posti nella necessità di prendere una posizione, lo si voglia o no. E la mia posizione è molto chiara perché io sono un credente e mi trovo bene nella Chiesa cattolica. Analizzo quindi questo problema che è sempre appartenuto alla modernità, anche se ha origini forse ancora più lontane. Vi faccio due esempi, sperando di non essere troppo lungo. Il primo è quello appunto di Galileo Galilei. La scienza moderna nasceva con una pretesa di conoscibilità del mondo che andava a scontrarsi con la visione religiosa del mondo che era allora dominante, perché la teologia abbracciava un po’ tutto, anche quella che era la posizione dell’uomo nel cosmo. Infatti c’era in vigore il sistema aristotelico-tolemaico, che metteva la terra al centro dell’universo e che ben si armonizzava con il messaggio della Bibbia. Perché? Perché Dio, avendo creato l’uomo “a sua immagine e somiglianza”, come dice la Genesi, doveva stare – era questo il ragionamento di fondo – per forza al centro del cosmo. Era una centralità fisica e metafisica al tempo stesso. Galileo aveva rivoluzionato l’ambiente culturale e religioso dell’epoca in quanto credeva fermamente che il sistema tolemaico fosse sbagliato e sosteneva con forza il sistema proposto da Copernico qualche decennio prima di lui. Copernico era un sacerdote polacco che aveva avuto questa grande intuizione che ancora oggi ci guida nella comprensione del nostro sistema solare, l’aveva proposta però solo come un modello matematico, si disse, per non creare attriti con i teologi. Galileo invece volle andare fino in fondo e ci furono delle reazioni da parte della Chiesa, che vanno quindi ben contestualizzate. Per cui il problema (come ha ben spiegato una volta Giovanni Paolo II) fu dovuto anche al tipo di teologia che vigeva all’epoca, praticamente fusa con l’aristotelismo, mentre lo scienziato pisano andava a proporre, con il sistema eliocentrico, non solo una nuova prospettiva astronomica, ma una nuova visione del mondo, una nuova interpretazione della Bibbia, e in ultima analisi una nuova consapevolezza di Dio. Anche perché Dio nel sistema copernicano “scompare”, nel senso che non si sa più dove andarlo a cercare, mentre nel Medioevo Dio, lo si sapeva benissimo, stava dopo il nono cielo, nell’empireo. Era quasi una presenza “fisica” nel cosmo. Adesso noi non sappiamo più dove sia, per così dire, ma Dio ovviamente non è scomparso, siamo noi che avendo cambiato un abito mentale e culturale siamo diventati forse un po’ spaesati. E la modernità, diceva Bertrand Russell, è proprio questo. Nel libro riporto molte altre riflessioni, ma non posso dirle tutte. Quello che mi preme dire è che il problema nato con Galileo Galilei e che si è protratto fino ad oggi è in realtà un falso problema, perché la scienza moderna è nata in continuità, non in opposizione, con la fede cristiana. Per dire questo mi appoggio soprattutto a un filosofo inglese del Novecento, non famosissimo ma geniale a suo modo, Whitehead, che è considerato l’ultimo “platonico”, l’ultimo metafisico della storia del pensiero, anche se i platonici veri sono un’altra cosa. La scienza moderna, secondo Whitehead, è nata grazie a tutta un’opera che ha fatto proprio il cristianesimo, nei cosiddetti “secoli bui” del Medioevo – che in realtà non furono per niente bui, ma secoli luminosi – nei quali prevalse sempre di più la fede biblica in un unico Dio, che ha creato il mondo con sapienza e logos, e lo ha provvisto di leggi razionali, accertabili dall’intelletto umano, nel quale brilla un riflesso della sua stessa ma infinita e trascendente Ragione. Sviluppando il pensiero di Whitehead, che è geniale ma ha lasciato il concetto un po’ lì, senza ulteriore approfondimento, io ho cercato di mostrare quanto questo sia vero. Possiamo dire che la Bibbia e la fede ebraico-cristiana sono state due forze che hanno purificato la conoscenza umana, al punto da “desacralizzare” un mondo che, dall’alba dell’umanità fino al paganesimo dei Greci e dei Romani, era avvolto da una nebbia, un alone che non faceva vedere le cose per quello che erano. Per cui una fonte d’acqua era una divinità, oppure il sole era un’altra divinità, per dire. La Bibbia ha desacralizzato tutto, ha fatto scomparire tutte queste tracce di paganesimo, perché come si afferma nella Genesi e in molti altri punti (pensiamo solo ai Salmi) il creatore di tutto è uno solo, il Signore, e il Signore ha costituito il mondo come un riflesso della sua razionalità o meglio sapienza divina. Addirittura, nel libro di Giobbe, si riporta correttamente il ciclo dell’acqua in termini che noi oggi definiremmo “scientifici”, per cui l’acqua evapora, si condensa nelle nubi, quindi scende sotto forma di pioggia. Eppure questa consapevolezza “analitica” dei fenomeni naturali si armonizza perfettamente con la presenza di Dio in quanto Signore e principio di tutte le cose. Senza questa consapevolezza, la scienza non sarebbe mai nata. Solo quando il mondo, dopo secoli di predicazione cristiana e di teologia che insisteva sulla razionalità di Dio, come la scolastica, fu desacralizzato e riportato al suo essere in sé, per così dire, allora fu possibile un metodo come quello messo a punto da Galileo. Quindi tra la fede cristiana e la scienza moderna c’è un rapporto di continuità, non di opposizione. Perché allora i contrasti? Come ho detto, essendo per sua natura una “desacralizzazione”, quindi riportando il mondo al dato empirico, semplice, la scienza ha significato e significa sempre anche una sfida per la religione. È come una nascita, è come se ci fossero delle doglie, per così dire. Ogni volta che la scienza approda storicamente a una certezza, la religione deve riconfigurarsi, ma non indietreggia Dio, tutt’altro. Anzi, la fede ne può risultare corroborata, rafforzata (è quanto avveniva con Galileo e Newton , ad esempio, quando trovavano la spiegazione di qualche fenomeno naturale: restavano ancora più convinti dell’esistenza di un Dio creatore che aveva usato il linguaggio della matematica per ordinare l’universo). La fede non ha nulla da temere. E infatti un altro caso limite, di scontro, tra i due domini, è stato il darwinismo. La Bibbia e la fede cristiana ci dicono che il mondo è stato creato da Dio per un disegno di amore che è finalizzato all’essere umano, fatto appunto “a sua immagine e somiglianza”. A metà del XIX secolo Darwin scrisse quel suo famoso libro, “L’origine delle specie”, con il quale propose la teoria dell’evoluzione, secondo cui tutti gli organismi viventi si sono sviluppati dal più semplice al più complesso, guidati dal “caso” e dal criterio dell’utilità. Come possono armonizzarsi queste due prospettive, la dottrina della creazione divina da una parte e la teoria evoluzionistica dall’altra? Anche qui, nel libro offro molti spunti di riflessione, ma mi preme dire in sintesi che le due cose possono andare d’accordo, anche seguendo quello che è un filone del magistero dei Papi, da Pio IX a Papa Francesco. Pio IX, quando seppe del libro di Darwin (era il 1859) reagì quasi divertito, disse che era un libro assurdo, “una serie di favolette”, e anche e soprattutto in Inghilterra, Darwin fu oggetto di durissimi attacchi da parte dei creazionisti anglicani, che forse causarono il suo ateismo finale (mentre in realtà Darwin era laureato addirittura in teologia e avvertiva fortemente il risvolto religioso connaturato alle sue ipotesi scientifiche). In realtà la prospettiva evoluzionistica si può accordare con la nostra fede, ed è proprio quello che sta facendo una parte della filosofia cristiana e della teologia contemporanea. Pensiamo solo a questo. L’evoluzione dà un senso nuovo, affascinante, alla dottrina della creazione. Noi possiamo essere, sì, il risultato di un percorso evolutivo, ma, come dice la Bibbia, l’uomo è stato creato dal fango, viene dalla terra (espressione che va presa nella massima serietà, quindi), il suo apparire nella moltitudine degli esseri viventi non è casuale (e su questo punto il darwinismo va “corretto”, per così dire, in senso finalistico) l’essere umano appartiene a un progetto, che è il progetto di Dio. Mi fermo qui perché la cosa può diventare molto lunga. Troverete tutto nel libro. Che, come vi dicevo all’inizio, è un saggio che cerca di affrontare questi affascinanti problemi in maniera un po’ originale, da una prospettiva credente (perché non si può non prendere posizione davanti a questi temi), spero anche in maniera obiettiva ed intellettualmente onesta. Grazie.
Gianni Maritati: Grazie Antonio per questa riflessione. Quindi tra scienza e fede non c’è opposizione. Una volta si diceva, o credi in Dio o nella scienza, ma invece, come tu ci hai detto, non dovrebbe essere così.