Un tempo si chiamavano “pasquinate”. Erano dei capolavori di humor, talvolta dei mini-poemetti letterari, fatti di versi e rime baciate, che prendevano di mira i personaggi più famosi di Roma. A cominciare ovviamente dai Papi che, forse, ci ridevano sopra. Ma i manifesti antipapali apparsi la scorsa settimana in alcune strade della Città Santa non hanno conservato niente dell’ironia di una volta.
Una foto che ritrae il Papa di tre quarti e poi un breve testo in romanesco su sfondo rosso: “A Francè, hai commissariato Congregazioni, rimosso sacerdoti, decapitato l'Ordine di Malta e i Francescani dell'Immacolata, ignorato Cardinali... ma n'do sta la tua misericordia?”. Parole che alludono a fatti diversi tra loro. Come i provvedimenti nei confronti dei Francescani dell’Immacolata (un istituto legato a posizioni molto tradizionaliste) e al recente commissariamento dell’Ordine di Malta. Si parla di Cardinali ignorati, senza specificare su quali argomenti. Addirittura di preti rimossi, ma non se ne indicano i motivi (pedofilia? omosessualità? carrierismo? E perché mai il papa sarebbe da contestare in tali casi?). L’impressione è quella di un testo di cattivo gusto oltre che povero di immaginazione, che ricalca i cliché che siamo soliti leggere fino alla noia sui siti internet di contestazione ultratradizionalista e anche purtroppo sui libri scandalistici. Ma la grigia pasquinata deve comunque far riflettere. Il pontificato di Papa Francesco ha vissuto e sta vivendo fin dall’inizio uno sdoppiamento. C’è il Francesco massmediatico, che fa notizia per i selfie, i pollici puntati in alto, le bevute di mate, i gesti per i poveri e la riforma della Chiesa. È il Papa che “piace troppo”, quello dei consensi oceanici e superficiali. C’è poi il Francesco tradizionalista, inflessibile, che combatte le colonizzazioni ideologiche, il gender, l’aborto, la scristianizzazione culturale. Ma è come se non esistesse, non fa notizia, è scomodo, incrina l’immagine da copertina che gli è stata appiccicata addosso. Questo sdoppiamento è in buona parte responsabile della contestazione interna che, ricordiamolo, non nasce con i manifesti del 5 febbraio. Ha i suoi antecedenti nella piccola vatileaks del 2015, nei tentativi di destabilizzazione del sinodo sulla famiglia con il caso Charamsa, infine nella bufala sulla malattia mentale del Papa (“un tumore curabile al cervello” era la pasquinata di allora, seppur propalata come notizia da un quotidiano). Si sa che ogni pontificato è normalmente soggetto alle contestazioni sia interne che esterne. Lo sono stati quelli degli ultimi grandi Papi: Paolo VI, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI. E ora Francesco. Complice, in quest’ultimo caso, una situazione difficile in seno alla curia romana, che Bergoglio ha cercato ultimamente di smorzare nell’intervista a El Pais, parlando di funzionari “santi” che svolgono onestamente il loro lavoro. La situazione è fluida, ma la contestazione che di tanto in tanto affiora appare povera di contenuti, quasi un effetto boomerang dell’eccesso di popolarità bergogliana pompata dai media. Forse i motivi della critica, quella vera e costruttiva, leale, aperta, che Francesco non solo tollera, ma incentiva (è la famosa "parresia" di sinodale memoria) rimangono anch’essi lontano dai riflettori. Basterebbe leggere le sintesi dei gruppi sinodali per capire quanto schietto e costruttivo sia stato il confronto tra posizioni diverse.