Terminata la visita del Papa alla Sinagoga di Roma, le
polemiche e i dubbi che l'avevano preceduta sono crollati come un castello di
carta. L'incontro con una delle più antiche comunità della diaspora, infatti, è
avvenuto all'insegna dell'amicizia reciproca e della volontà di proseguire un
dialogo mai venuto meno durante questo pontificato.
Come ogni dialogo che si
rispetti, non è mancato ieri un botta e risposta tra chi ricordava come “il
silenzio di Pio XII di fronte alla Shoah, duole ancora come un atto mancato”, e
il Papa che ha precisato come “la Sede Apostolica svolse un’azione di soccorso,
spesso nascosta e discreta”, riconoscendo al tempo stesso che “molti rimasero
indifferenti, ma molti, anche fra i Cattolici italiani, sostenuti dalla fede e
dall’insegnamento cristiano, reagirono con coraggio, aprendo le braccia per
soccorrere gli Ebrei braccati e fuggiaschi”. Ma la querelle su Pio XII non
tocca il cuore dei rapporti tra cristiani ed ebrei di oggi. Lo dimostra il tono
dei discorsi che si sono avvicendati nel tempio maggiore dell'ebraismo romano,
tutti concordi nel guardare al futuro e nel proseguire sulla strada tracciata
dalla dichiarazione conciliare Nostra Aetate e dal pontificato
carismatico di Papa Wojtyla (la visita del 1986 e la preghiera al Muro del
Pianto in particolare). “Anche io, in
questi anni di Pontificato – ha affermato Benedetto XVI –, ho voluto mostrare
la mia vicinanza e il mio affetto verso il popolo dell’Alleanza”. Come documenta
un articolo dell'Osservatore Romano uscito a ridosso della visita, l'esperienza
pastorale di Joseph Ratzinger, come teologo, come Vescovo e come Papa, è
profondamente orientata ad avvicinare ebrei e cristiani. Appena eletto, il
nuovo pontefice volle ricordare il provvidenziale alternarsi di un Papa tedesco
ad uno polacco, quasi a chiudere simbolicamente un cammino di riconciliazione.
E nel suo discorso alla Sinagoga ha ricordato ancora le “guerre sanguinose che
hanno seminato distruzione, morte e dolore come mai era avvenuto prima;
ideologie terribili che hanno avuto alla loro radice l’idolatria dell’uomo,
della razza, dello stato e che hanno portato ancora una volta il fratello ad
uccidere il fratello”. Queste idolatrie, che oggi si riaffacciano sul mondo
sotto altre apparenze, devono spingere ebrei e cristiani ad una salda
collaborazione in virtù del Decalogo, il “grande codice etico” che li unisce.
Le Dieci Parole, spiega infatti il Papa, “gettano luce sul bene e il male, sul
vero e il falso, sul giusto e l’ingiusto, anche secondo i criteri della
coscienza retta di ogni persona umana”. Benedetto XVI indica alcuni campi
fondamentali di questa sinergia: la testimonianza di Dio e del trascendente in
un mondo in cui “sono stati fabbricati così altri e nuovi dei a cui l’uomo si
inchina”; il rispetto della vita e dei diritti umani fondamentali laddove essi
vengono misconosciuti o calpestati; la “santità della famiglia”, cellula della
società; infine e soprattutto, il comandamento dell'amore, con un'opzione prioritaria
“verso i poveri, le donne, i bambini, gli stranieri, i malati, i deboli, i
bisognosi”. Trasportato sul piano della testimonianza, il dialogo tra ebrei e
cristiani assume così una dimensione attualizzante, che guarda al comune
patrimonio spirituale senza peraltro dimenticare le differenze. “In questa
direzione – conclude il Papa – possiamo compiere passi insieme, consapevoli
delle differenze che vi sono tra noi, ma anche del fatto che se riusciremo ad
unire i nostri cuori e le nostre mani per rispondere alla chiamata del Signore,
la sua luce si farà più vicina per illuminare tutti i popoli della terra”.