domenica 11 maggio 2025

L'inizio di Leone XIV è un capolavoro di continuità con Francesco nel segno della tradizione

Da quando è stato eletto, il pomeriggio di appena tre giorni fa, il nuovo Papa con doppio passaporto statunitense e peruviano sta raccogliendo grande entusiasmo intorno a sé nonostante la personalità discreta e umile. L'ormai ex cardinale Prevost ha spiazzato tutti con la scelta di chiamarsi Leone XIV, un nome che si pensava desueto, inutilizzato da 122 anni e non legato a pontefici particolarmente famosi, se si eccettuano Leone Magno e Papa Gioacchino Pecci. Nel corso dell'incontro di ieri con il collegio cardinalizio, Papa Prevost ha parlato del perché di una tale scelta che dal mio punto di vista è davvero straordinaria. “Diverse – ha spiegato – sono le ragioni, però principalmente perché il Papa Leone XIII, con la storica Enciclica Rerum novarum, affrontò la questione sociale nel contesto della prima grande rivoluzione industriale; e oggi la Chiesa offre a tutti il suo patrimonio di dottrina sociale per rispondere a un’altra rivoluzione industriale e agli sviluppi dell’intelligenza artificiale, che comportano nuove sfide per la difesa della dignità umana, della giustizia e del lavoro”. Nel riferimento alla dottrina sociale e ai necessari sviluppi per affrontare il problema sempre più scottante delle “macchine pensanti” o “intelligenti”,  dunque, abbiamo già una fetta dell'indirizzo programmatico del nuovo pontefice, al quale senza dubbio gioverà la laurea in matematica (è il primo Papa della storia a possederne una). Di Papa Prevost sta stupendo proprio questo mix equilibrato e fecondo di riferimenti alla tradizione ecclesiale e di contemporaneità. Innanzitutto, riflettendo sulla sua “nuova missione”, Leone XIV si è rifatto a Sant'Ignazio di Antiochia, di cui ha citato la celebre espressione sulla Chiesa di Roma chiamata a presiedere nella carità ma anche una frase meno nota, sulla necessità di scomparire dal mondo. “Si riferiva – ha spiegato Papa Prevost – all’essere divorato dalle belve nel circo – e così avvenne –, ma le sue parole richiamano in senso più generale un impegno irrinunciabile per chiunque nella Chiesa eserciti un ministero di autorità: sparire perché rimanga Cristo, farsi piccolo perché Lui sia conosciuto e glorificato (cfr Gv 3,30), spendersi fino in fondo perché a nessuno manchi l’opportunità di conoscerlo e amarlo. Dio mi dia questa grazia, oggi e sempre, con l’aiuto della tenerissima intercessione di Maria Madre della Chiesa”. Anche in questo caso, il riferimento così lontano nel tempo, assume un doppio valore di ancoraggio alla tradizione e al tempo stesso di acquisizione del carisma del papato contemporaneo, che intende sempre più divenire presenza feconda ma umile nella società, lievito impastato nel fluire dalla vita moderna, abbandonando le forme roboanti del potere ossificato di un'autorità sacra occidentale come quella bimillenaria del papato. E i colpi al trono, ormai parcheggiato nei garage vaticani e destinato a mangiare polvere (provvidenzialmente), colpi e destrutturazioni che hanno dato a più riprese i Papi del Novecento, da Pio XII almeno a oggi, si vedono sempre più ora, e nitidamente, nella linea che sta imboccando anche Leone XIV: tanto attento alle questioni sociali e culturali del nostro tempo, quanto saldo e per niente esteriore o provocatorio, ma genuino, è il suo ancoraggio alla bimillenaria successione petrina nei suoi valori più vitali. Probabilmente stiamo assistendo all'ulteriore sviluppo della direzione che il concilio Vaticano II ha impresso alla Chiesa, sempre più lievito del mondo, e quindi “ospedale da campo” di bergogliana memoria, o “Chiesa di attrazione” di ratzingeriano retaggio, ma anche “città posta sul monte (cfr Ap 21,10), arca di salvezza che naviga attraverso i flutti della storia, faro che illumina le notti del mondo”, secondo l'espressione stessa di Leone XIV nel corso dell'omelia pro Ecclesia del 9 maggio. Espressione che ricorda un'altra opzione già segnalata e messa in atto da Ratzinger, quella della Chiesa che è chiamata a indicare luminosamente la via agli uomini del mondo, senza incorrere in barocchismi ma neppure chiudendosi a riccio a causa dei pesi della storia. Del resto, le uscite dal Vaticano dicono di un'immersione nel popolo in perfetto stile bergogliano. Proprio in mezzo all'“odore delle pecore” Leone XIV sta costruendo il suo ministero pastorale, in uno slancio che lo vede sempre più in fase di decollo. In parallelo, le visite alla Madonna del Buon Consiglio di Genazzano e il suo radicamento nella regola di vita Agostiniana stanno facendo di lui un attento interprete della tradizione, di cui Papa Prevost recupera l'antichità e la profonda ricchezza. Il suo bel latino, cantato oggi dalla loggia di San Pietro, davanti alla folla straripante, ne è uno degli aspetti. Nel Regina Coeli, Leone XIV ha fatto riecheggiare gli inviti di Giovanni Paolo II a non avere paura, perché la Chiesa è davvero Chiesa quando annuncia Cristo senza paura, ma con gioia.