domenica 16 aprile 2023

Processioni sì. Processioni no. Chi ha ragione?

Con il ritorno alla normalità post-pandemica sono riapparse le processioni, in forme che talvolta hanno stupito gli stessi organizzatori per il numero di partecipanti e l'attaccamento della gente. In Italia ne abbiamo di stupende e secolari, ma anche in Spagna e in generale nei paesi latino americani vanno fortissime. Si tratta solo di una vampata passeggera, di un revival tanto intenso quanto effimero, oppure è un trend da analizzare con più attenzione? La risposta è difficile da dare perché implica analisi complesse su fenomeni sociali che spesso sono estremamente diversificati, talvolta all'interno di una stessa realtà nazionale o addirittura regionale. In realtà, al netto di analisi sulla futuribilità o meno delle processioni, la domanda che più spesso ci si pone negli ambienti religiosi è un'altra. Siamo davvero sicuri che valga la pena difendere, conservare se non promuovere queste forme di devozione risalenti a epoche molto distanti dalla nostra? Non si tratta, in fondo, come molti sostengono, di puro folklore, di esteriorità senza più un contenuto davvero cristiano? Per quanto mi è sembrato di capire ascoltando le più disparate opinioni sul tema da diversi anni, credo che in ultima analisi esistano due orientamenti di fondo pur con molte sfaccettature al loro interno. Il primo considera le processioni come dei residui del passato che hanno fatto il loro tempo e che ormai non hanno più motivo di esistere, in quanto ridotte a semplice esteriorità senza appartenenza cattolica. Un atteggiamento di passività, tale da non incoraggiare la loro resistenza, sarebbe opportuno per vederne la fine nel giro di qualche decennio o anno, a seconda dei casi. L'altro fronte ritiene che esse siano invece una ricchezza del passato da preservare, anche nei casi in cui al contenuto cristiano si sia sovrapposto o addirittura sostituito un mero apparato folkloristico (in questo caso andrebbe intrapresa un'opera di decodifica e aggiornamento per rendere ancora “parlanti” e comprensibili le simbologie religiose veicolate da queste cerimonie). Chi ha ragione? È difficile dirlo. Personalmente segnalerei soltanto una cosa. Nel 1961 un sociologo delle religioni italiano, Sabino Acquaviva, pubblicò un libro che divenne molto famoso, intitolato L'eclissi del sacro nella civiltà industriale, nel quale annunciò la fine di ogni manifestazione religiosa in ambito pubblico e addirittura dalla vita quotidiana dell'uomo. Farei notare che la considerazione di Acquaviva è risultata esatta soltanto dopo sessant'anni, quando è stato impedito forzatamente il culto pubblico di qualsivoglia appartenenza religiosa per le ben note misure di contenimento della pandemia di cui parlavamo all'inizio. In altre parole, la “profezia” laica è stata un buco nell'acqua. Anzi. Oggi che l'epoca industriale non esiste più e si preferisce parlare di qualcosa di “post-industriale” in atto, di talmente rapido e inafferrabile da risultare per giunta “liquido” come ha notato Zigmunt Baumann con la sua celebre espressione, molti parlano addirittura di un ritorno del sacro, di un reincanto della società, sebbene dai contorni sfumatissimi e ancora da appurare. Ma in tale nuovo contesto, sarebbe forse da attenzionare il ruolo di certe forme del sacro che sono appunto le famigerate processioni, con speciale riferimento a quelle più antiche e storicamente strutturate. Non di rado in quei “relitti” del passato si celano delle perle di teologia che tanto l'uomo colto quanto quello incolto sono in grado di cogliere. E proprio questa missione di cerniera tra la speculazione dotta della fede, confinata nei libri di pochi specialisti, e il suo concretizzarsi nella ferialità e nel quotidiano cittadino, fatto di strade, di profumi, di addobbi e di segni festaioli, è stata il vero motivo d'essere delle processioni (inoltre alcune di esse possiedono qualcosa di misterioso e di arcano che affascina molto le nuove generazioni). In altre parole, e volendo arrivare a una umilissima sintesi di quanto ho detto, forse la sopravvivenza delle processioni andrebbe interpretata a seconda dei casi e valutata con il metro delle reali possibilità pastorali. Nel qual caso le due posizioni contrapposte, residuo o ricchezza, non sarebbero più due atteggiamenti a sé stanti ma due modalità di discernimento che possono convivere tra loro in nome di una nuova evangelizzazione da sperimentare sul campo.