domenica 5 marzo 2023

Trasfigurazione. Perché Cristo ordinò di mantenerla segreta

Questa domenica la liturgia ci propone il vangelo della Trasfigurazione secondo Matteo come tappa privilegiata di avvicinamento alla Pasqua. L'episodio, presentato solo dai sinottici e con interessantissime variazioni, ci racconta la stupenda irradiazione di gloria che avvolge il Cristo, ma “in disparte”, su un “alto monte” il cui accesso è consentito soltanto a tre testimoni prescelti, Pietro, Giacomo e Giovanni. “Signore, è bello per noi essere qui!”, esclama Pietro, quasi fuori di sé per la bellezza della visione. È un attimo di paradiso, di intimità con il Signore che si manifesta nel suo splendore di luce divina. Mi piace pensare alle tante storie di mistici che, nel corso della storia, hanno ripetuto con i tre discepoli questa impervia ascesa spirituale per contemplare il volto di Dio, ma anche ai tanti santi che infiammati della luce di Gesù hanno percorso con gioia l'opaca vita quotidiana spettata loro in sorte. Perché in questo racconto della salita e del ritorno sulla pianura possiamo vedere la dinamica permanente della vita cristiana, fatta del gratuito incontro con Dio che abbaglia e riempie, e dello speculare ritorno nella ferialità del vivere, fatto di giornate anche difficili e spente. La sapienza del cristiano, come notava Kierkegaard, sta essenzialmente in questo saper accettare la normalità e le contraddizioni della vita dopo aver fatto esperienza del Sacro, fecondando il momento presente con la goccia di eternità che ci ha cambiato il cuore. Ma c'è anche un'altra grande sapienza che mi colpisce e che investe in pieno lo stile di Dio nel rivelare Sé stesso. Perché incurante dell'esclamazione di Pietro e addirittura del suo invito a fare tre capanne, che possiamo leggere come il desiderio perenne dell'uomo di stare con Dio per sempre, il Cristo, durante la discesa del monte, chiede di non raccontare a nessuno dell'accaduto prima che si compia la sua resurrezione dai morti. Il motivo lo comprendiamo soltanto se ci soffermiamo a guardare tutta la vita di Gesù, una vita di donazione e non di affermazione personale, di annuncio del Regno del Padre e non di spot pubblicitari che ti vendono il classico bidone. È noto, dalle vicende della Palestina di quel secolo, che il popolo era sempre a caccia di un re che si imponesse con la forza delle armi contro gli sgraditi occupanti. Gesù non si mette alla testa di una rivoluzione e sa che la tentazione dell'uomo è quella, da sempre, di non saper aspettare i tempi di Dio, anzi di voler “usare” Dio per i propri progetti umani.  “Il Figlio dell'uomo – leggiamo in Marco – non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti” (Mc 10,45). Tutta la vita del Nazareno è orientata verso quell'ora di trasfigurazione totale della sua volontà nel Padre, quando sulla croce prenderà il peccato di noi tutti. Ed è così che Dio si rivela nella storia umana e nella nostra storia personale. Così la dinamica della salita e della discesa diventa anche metafora del nostro pellegrinaggio esistenziale. Il cristiano attraversa la vita in tutta serietà, senza alienarsi né cercare scappatoie facili, ma ben sapendo che la luce della Resurrezione, un giorno senza tramonto, la illuminerà di senso. Per sempre.