mercoledì 25 marzo 2020

La storia interrotta

Poche ore fa Papa Francesco ha recitato il Padre nostro in comunione con tutti i cristiani del mondo, implorando a Dio “misericordia per l’umanità duramente provata dalla pandemia di coronavirus”. Siamo nel pieno di un’emergenza mondiale che non sappiamo quanto durerà né come finirà.
Gli scienziati sono alla disperata ricerca di un vaccino, o almeno di una cura efficace che intanto non c’è. I parlamenti dei Paesi liberi hanno cominciato a diradare le sedute se non a sospenderle. Non succedeva dalla seconda Guerra mondiale. Leader politici abituati a mietere consensi in nome di segni più del prodotto interno lordo, come se la felicità fosse solo questa, oggi devono fare i conti con indicatori sanitari disastrosi, simili più a bollettini di guerra. In Italia si sta con le orecchie tese alle comunicazioni delle 6 del pomeriggio, quando appaiono i numeri che fanno tanta paura: contagiati, deceduti, guariti. Siamo a 60.000 in tutto, ma sono solo una parte. Probabilmente l’infezione è 10 volte più estesa. Intanto, si spera che le misure marziali introdotte gradualmente dal Governo Conte abbiamo degli effetti. Qualche giorno fa Papa Francesco è andato a piedi al centro di Roma, in una deserta e inquietante via del Corso, per implorare la fine del contagio davanti al crocifisso di San Marcello. Veniva in mente il terzo segreto di Fatima, quel Vescovo vestito di bianco con passo tremulo... Ma cosa dobbiamo pensare? Sta cadendo il mondo come lo conoscevamo? Siamo in una di quelle pagine della storia che tutti ricorderanno come un punto di non ritorno? A me sembra che l’allegra globalizzazione costruita ottimisticamente negli ultimi 30 anni sia fallita in un soffio. Ci siamo illusi che i trasporti veloci, l’interdipendenza reciproca e l’interconnessione del globo simile a quella di un sistema nervoso, fossero la cosa più bella da cinquemila anni a questa parte. E invece sorge il dubbio, e la paura, che potremmo aver costruito un sistema fragilissimo e pericoloso, nel quale il punto debole di un anello è in grado di riverberarsi a cascata in tutti gli anelli di una catena, senza possibilità di chiusure o di argini. Mai come in questi giorni sto capendo (e apprezzando) il medioevo. Quell’epoca in cui sì, il mondo era crollato, e gli uomini, dimenticato il glorioso Impero Romano, avevano continuato a vivere a piccolo raggio, spostandosi non più di qualche chilometro da casa. Ognuno produceva da sé il cibo e le cose necessarie per vivere, lo Stato era un pulviscolo di mini autorità. Dio vegliava su tutti e nessuno desiderava altro. Fu la cosiddetta modernità che cominciò a vogare in una direzione opposta. Le città, una globalizzazione in miniatura, iniziarono ad infoltirsi verso il Mille, e poi di secolo in secolo, vennero i grandi Stati nazionali europei, poi gli imperi coloniali, ed infine la nostra globalizzazione dopo gli anni ‘90 del XX secolo. Questo processo ci sembrava irreversibile, non accorgendoci di quel subdolo storicismo col quale Hegel aveva avvelenato le nostre capacità di giudizio. E invece adesso la storia si è interrotta, è tornata ad essere quella che probabilmente sempre è stata. Una storia realmente umana, fatta di eventi imprevedibili, di condizioni che mutano, di vite reali che impattano con la durezza dell’esistenza. E, in questo momento in cui l’onnipotente scienza tentenna, il futuro incombe grigio e cadono le libertà individuali nelle maggiori democrazie del mondo, torniamo a desiderare le cose più semplici. Una passeggiata, una stretta di mano, un sorriso privo di quelle mascherine di plastica che ci dicono la misura del nostro isolamento. Viene da ridere amaramente. In televisione ancora scorrono le pubblicità di cellulari con 2, 4, 6 fotocamere integrate. O di miracolose creme per il modellamento dei visi muliebri offuscati dalle rughe. Sono cose che non servono a un bel niente, ora lo capiamo benissimo. I leader spirituali, il papato in testa, ce lo dicevano di continuo. C’era, in quest’alba di XXI secolo, un’inquietudine di fondo, taciuta, nascosta, che sembrava manifestarsi soltanto nel movimento ambientalista in difesa di una Madre natura umiliata dal nostro dissennato ritmo di consumo. Ma c’era ben altro. Tornano più che mai in mente le recenti parole dell’enciclica Laudato si’, quando Papa Francesco fa notare che tutto è collegato: scelte morali, ecologia, modelli sociali, modelli di sviluppo. E che l’uomo non può fare niente senza Dio. Solo se guarda in alto, là dove siede il suo creatore e il suo Padre, allora è veramente libero di edificare qualcosa di buono quaggiù. E adesso non perdiamoci in battibecchi teologici di piccolo cabotaggio. Se questo virus del 2020, cioè, sia un castigo divino o no. Dio soffre con noi, si è incarnato proprio per condividere le nostre sofferenze e insieme riscattarle, ma non dobbiamo dimenticare che il peccato umano è in grado di scatenare forze tremende nel mondo. E il nostro peccato è sempre lì a inchiodarci. In Italia non piove da oltre un mese. Alcuni vescovi, da qualche giorno, hanno cominciato a pregare Dio perché faccia piovere. Torna in mente quel romanzo che avevamo sottovalutato come una storia d’amore o qualcosa di più, i Promessi Sposi del Manzoni, nel quale si parla appunto di un benedetto acquazzone durante la peste del 1630. Un diluvio liberatore che mise fine al contagio. Vorremmo tanto, o Dio, che tornassimo in pace con te, con il nostro prossimo e con la nostra terra.