giovedì 6 febbraio 2020

Emerito sì Emerito no. La riflessione su un momento eccezionale della storia del papato

Nel 1954 lo scrittore Ennio Flaiano scrisse un racconto surreale, tra la fantascienza e la commedia. Immaginò l’atterraggio di un extraterrestre proveniente da Marte a Roma, a Villa Borghese. Dopo l’iniziale stupore, la gente cominciava a disinteressarsene, fino a considerarlo “normale” e a ignorare la sua presenza. Ho la sensazione che stia succedendo qualcosa di simile, oggi, relativamente alla situazione straordinaria nella quale sta vivendo la Chiesa dopo le dimissioni di Benedetto XVI il 28 febbraio 2013. Sono passati sette anni da quell’evento epocale, che ha cambiato e sta cambiando radicalmente il papato, molto di più di tutte le riforme messe assieme dal Concilio Vaticano I al Concilio Vaticano II.
Perché le prime dimissioni di un Pontefice nell’epoca moderna non hanno chiuso un ciclo, tutt’altro, hanno aperto un percorso ignoto, spiazzante, completamente buio sul rapporto che si viene a creare tra il papa dimissionario e quello subentrante. Tante volte, nella storia, la successione papale ha mostrato una grande e legittima (è nel DNA della Chiesa) pluralità di stili e di forme dell’esercizio petrino, come pure degli approcci alle varie questioni. Che so, dal Pio IX del Sillabo al Leone XIII  della Rerum novarum, da un Pio VII dialogante con la modernità a un Gregorio XVI bastonatore dei carbonari rivoluzionari. E gli esempi potrebbero essere infiniti. Ma oggi le cose sono diverse, perché la differenza pur legittima non è più in successione, ma in contemporanea. Se ne sono avute alcune prove durante questi sette anni, soprattutto, mi sembra, nel corso dei due sinodi, il primo sulla famiglia, l’altro sull’Amazzonia. Ora, la cosa eccezionale, da fantascienza alla Flaiano, non è che nella Chiesa si discuta di queste cose, ma che a farlo sia l’ex Papa che si è dimesso e il Papa in carica. Mediaticamente, complice una turbolenta polarizzazione in alcuni settori della Chiesa, ci viene raccontato di continuo, come se nulla fosse, di due fronti che si combattono a nome dei rispettivi Papi. Complice, soprattutto, una difficoltà linguistica ad esprimere quell’anomala situazione nella quale si trova l’ex Benedetto XVI dopo le dimissioni. Mi riferisco al titolo di Papa Emerito, che ad oggi non è contemplato dal codice di diritto canonico e che risulta sempre più problematico visti i casi giornalistici che si sono verificati. Il caos è dietro l’angolo. Il rischio è che si cominci a vedere il Papato non più come un ufficio legato al singolo che ne viene investito, ma a qualcosa (non si sa cosa, siamo nella fantateologia allo stato puro) di allargato, che si riverbera e che non si esaurisce del tutto. Il che è pericolosissimo e non appartiene alla costituzione divina della Chiesa, tantomeno alla storia del Papato. Il Pontefice è uno. Ma quando si dimette? Dobbiamo continuare a usare l’appellativo di Papa? Non sembra opportuno. Di cardinale? Chissà. Dobbiamo continuare a indicarlo con il suo nome da Papa? Ci sono dei dubbi. Casomai premettendo un “ex” come ho fatto io in questo articolo, in via sperimentale. La mia riflessione nasce da motivi puramente pratici, vista la problematicità crescente che la coabitazione tra Francesco e appunto l’ex Benedetto XVI sta fomentando (indicativo l’ultimo balletto sul libro edito dalla Fayard). Scrivo questo perché spero che non ci si rassegni flaianamente allo straordinario momento che sta vivendo la Catholica, lo si circoscriva e lo si riconosca per quello che è. Ovviamente non è il caso di ribadire la stima enorme che tutti nutriamo verso Joseph Ratzinger, probabilmente la più grande personalità religiosa del nostro secolo, né di riaffermare che la cruda contrapposizione tra lui e Francesco è soltanto una montatura mediatica. Ma da cattolico e papista quale sono, sento che il rischio di scivolare sulla buccia di banana è altissimo, soprattutto a causa, come dicevo, di scelte linguistiche che creano confusione. Sento quindi di condividere, in linea di principio, forse non in tutto ma in buona parte, il ragionamento che ha fatto il filosofo Massimo Borghesi poche settimane fa nell'articolo intitolato Francesco e Ratzinger. I due "papi" e la crisi dell'autorità nella Chiesa proprio su questo problema che sta emergendo in tutto il suo coefficiente di rischio. Ha scritto Borghesi che il titolo di Papa Emerito “ha offerto lo spazio della fantateologia e delle manovre di palazzo. Se infatti a trattare dell’argomento del celibato dei sacerdoti, un tema trattato dal Sinodo dei vescovi su cui il Papa regnante deve ancora pronunciarsi, fosse stato il “cardinal” Ratzinger, il suo discorso, pur con tutta la sua autorevolezza, non avrebbe creato il problema di cui discutiamo. La querelle diventa accesa quando viene presentata come la disputa tra ‘due papi’. È in questa presunta dialettica, tra l’emerito e il regnante, che si inserisce la fronda anti-Francesco rivendicando la sua forza e la sua legittimità. Siamo con ciò di fronte ad un’impasse che segna il momento presente, drammatico, della Chiesa". Forse, continua Borghesi, sarebbe opportuno che il papa dimissionario seguisse "la regola del silenzio nelle materie che sono oggetto di discussione da parte dei vescovi e del Papa. Potrebbe intervenire solo nel caso in cui la sua parola risultasse di sostegno all’azione papale. Laddove rimangono margini di dubbio le sue osservazioni, autorevoli e preziose, dovrebbero essere offerte, in forma personale e diretta, al Papa al quale spetta il giudizio sulla loro utilità o meno". In caso contrario, "la possibilità di esprimere pubblicamente la sua opinione su temi sensibili per la Chiesa" implicherebbe "la dismissione dell’abito bianco e dell’appellativo di Papa emerito. (...) Se il problema della comunicazione si pone oggi per le pubblicazioni di Ratzinger non è per i due diretti protagonisti, ma a causa dell’opposizione militante di una parte, minoritaria, della Chiesa che tenta, ogni volta, di strumentalizzare le parole del Papa emerito per screditare l’autorità del Pontefice. Donde la necessaria discrezione richiesta a Ratzinger. Discrezione che, in condizioni normali, non sarebbe richiesta”. Mi sembra che questa riflessione di Borghesi possa costituire quantomeno un punto di partenza per iniziare a circoscrivere con razionalità l’eccezionale che stiamo vivendo, affinché non diventi una mediocre normalità.