giovedì 14 aprile 2016

"Amoris Laetitia". Aperture e continuità di Francesco

Da giorni, tutta l’attenzione mediatica è concentrata sulla famigerata nota 351 dell’esortazione post-sinodale firmata da Papa Francesco il 19 marzo 2016, e giunta al termine di un lungo percorso preparatorio (ben 2 sinodi, una serie di 27 catechesi del mercoledì, un incontro mondiale delle Famiglie a Filadelfia). Si scrive e si straparla di rivoluzioni e di strappi, con eccessi che non permettono di capire la reale portata del documento.
Nel caso dell’accesso alla comunione per i divorziati risposati, la nota in questione suona come una possibilità del tutto ipotetica e relativa a casi specifici, bisognosi di attento discernimento, e in vista di una crescita “nella vita di grazia e di carità”. Paletti ben precisi, quindi. E non l’indiscriminata apertura che sconfesserebbe d’un sol colpo i precedenti orientamenti pastorali di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI. Certamente, quella di Francesco è una coraggiosa “uscita” verso i feriti e i lontani, che proprio in quanto tali necessitano di attenzione speciale e di accoglienza misericordiosa. È la Chiesa che Francesco sta plasmando dal primo giorno del suo pontificato, in dinamica continuità con i suoi predecessori e con il Vaticano II. La cosa da sottolineare è la reale funzionalità del sinodo dei vescovi che, nell’ultima Relatio, aveva proprio invitato ad un attento “discernimento pastorale”. E c’è poi un aspetto assolutamente significativo che non è stato notato. Francesco, a proposito della nuova disciplina sacramentale, specifica che questa è possibile solamente a livello di caso particolare, prendendo in esame la situazione delle persone coinvolte, e che non può avere significato di norma generale. Illuminante al riguardo una citazione della Summa Theologiae di San Tommaso d’Aquino che, a proposito delle norme generali, scrive che “tanto più aumenta l’indeterminazione quanto più si scende nel particolare”. Scrive il Papa subito dopo: “È vero che le norme generali presentano un bene che non si deve mai disattendere né trascurare, ma nella loro formulazione non possono abbracciare assolutamente tutte le situazioni particolari. Nello stesso tempo occorre dire che, proprio per questa ragione, ciò che fa parte di un discernimento pratico davanti ad una situazione particolare non può essere elevato al livello di una norma. Questo non solo darebbe luogo a una casuistica insopportabile, ma metterebbe a rischio i valori che si devono custodire con speciale attenzione”. Insomma, nessuna rivoluzione copernicana della dottrina. Un approccio nuovo, invece, della pastorale (di per se stessa sempre riformabile), calibrato sui singoli casi specifici.